Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-02-2011, n. 1025

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

E’ tornato all’esame del Collegio l’atto di appello n. 37/2005, notificato il 13 dicembre 2004, col quale la s.r.l. I. impugnava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. III, n. 9128/04 del 3 giugno 2004, con la quale veniva respinto il ricorso dalla medesima proposto avverso il decreto n. 2065 del 24 luglio 2001 del Genio Civile di Caserta, implicante rigetto di una istanza di prosecuzione di attività di coltivazione di cava e ordine di presentazione di un progetto di recupero ambientale.

Nella citata sentenza entrambe le misure sopra indicate erano ritenute legittime: la prima, con riferimento a particelle non comprese nella originaria denuncia di esercizio, la seconda, per irregolarità riscontrate nell’attività estrattiva.

L’originaria domanda di coltivazione della cava di cui trattasi, infatti, sarebbe stata presentata nel 1980 senza indicazione delle particelle catastali interessate, con specificazioni al riguardo solo nel 1983, ma non con riferimento a tutte le particelle, rese poi oggetto di istanza di prosecuzione nel 1986; per le altre particelle, inoltre, gli scavi sarebbero risultati eccedenti rispetto ai limiti consentiti, con conseguente necessità di recupero ambientale.

In sede di appello, la società interessata riconosceva di avere acquisito fra il 1983 e il 1985 la disponibilità di ulteriori particelle (nn. 289, 130, 187 e 126) contigue a quelle già coltivate (141, 128 e 132), senza aggiornamento della denuncia di esercizio in quanto "per prassi diffusa", prima dell’entrata in vigore della legge della Regione Campania n. 54/1985 sarebbe stato ritenuto sufficiente "ai fini della coltivazione a cava, l’avvenuta denuncia dell’attività", con specificazione della relativa area di incidenza (nel caso di specie: località Squille di Castelcampagnano).

Con l’aggiornamento della denuncia di esercizio, pertanto, l’attuale appellante avrebbe inteso soltanto comunicare il proprio subentro nella conduzione dell’attività – in luogo del precedente gestore, CE.CA. s.r.l. – con tempestiva istanza di prosecuzione, in un secondo tempo, ex art. 36 L. reg. n. 54 del 1985 cit., mentre il diniego di prosecuzione era emesso nel 2001.

Tale diniego sarebbe illegittimo per violazione del D.P.R. n. 128/1959 e della già citata legge regionale n. 54 del 1985, sia in quanto la particella n. 139 sarebbe stata indicata per mero errore materiale (poiché non coltivata), sia per omessa considerazione delle indicazioni più precise, contenute nella relazione tecnica esplicativa. I dati catastali, inoltre, non avrebbero dato conto della reale situazione dei luoghi, "prodottasi a seguito di fenomeni di accessione fluviale, indotti dallo spostamento del letto del Fiume Volturno" (con conseguente incremento della superficie coltivata, non riportata nei dati catastali).

A norma del D.P.R.. n. 128 del 1959 (art. 24) – e prima dell’entrata in vigore della più volte citata legge reg. n. 54 del 1985 – d’altra parte, avrebbe dovuto ritenersi sufficiente l’indicazione della località in cui fosse ubicato il giacimento, peraltro nella fattispecie integrata dal foglio di mappa. Si sarebbe in ogni caso dovuto ritenere, inoltre, che ricadesse nella cava in atto "ogni particella nella disponibilità dell’esercente prima del 31.12.1985….adibita a cava in forza della denuncia di esercizio".

Quanto alle contestate difformità dal progetto di coltivazione, mancherebbero al riguardo qualsiasi specificazione e verificazione effettuata in loco, con conseguente "impossibilità di individuare le ragioni logicogiuridiche dell’operato della p.a.", né potrebbe ritenersi sufficiente giustificazione dei gravi provvedimenti assunti il mancato rilascio di polizza fideiussoria. In tale contesto si ribadivano censure di violazione o falsa applicazione dell’art. 36 della legge regionale n. 54/1985 e dell’art. 28 del D.P.R. n. 128/1959, nonché di mancata valutazione di elementi determinanti ai fini della decisione ed omessa pronuncia su alcuni motivi di ricorso: la disciplina del 1985, infatti, sarebbe stata volta ad assicurare in via transitoria che le situazioni di fatto e di diritto, sorte in vigenza del precedente regime giuridico, proseguissero anche nel nuovo assetto normativo; in tale ottica, sarebbe stato richiesto soltanto che la domanda di prosecuzione fosse relativa a cave, già coltivate e in esercizio al primo gennaio 1986, mentre il regime delle denunce di esercizio sarebbe risultato ancora riconducibile al D.P.R. n. 129 del 1959.

Conformemente al predetto quadro interpretativo, la circolare dell’assessorato n. 242 del 19 gennaio 1996 si occupava dei casi in cui le "denunce di esercizio dovessero risultare carenti dei titoli o delle particelle catastali o delle mappe", con rinvio per tali situazioni a "criteri di indagine ulteriori".

Il verbale di contestazione posto a fondamento del provvedimento impugnato, inoltre, sarebbe stato redatto senza il dovuto accertamento dello stato dei luoghi interessati mediante apposita strumentazione topografica, ovvero sulla base di mera osservazione "ictu oculi", senza reale accertamento anche delle asserite modalità di coltivazione difformi dal progetto, in modo tale da poter costituire pericolo per le risorse ambientali e naturali del fiume Volturno, nonché per l’incolumità delle persone (mentre sarebbe stata assicurata, al contrario, una maggiore stabilità delle sponde, tramite apposita piantumazione di specie arboree ed arbustive).

La Regione Campania, costituitasi in giudizio, depositava una relazione del settore provinciale del Genio Civile di Caserta (n. prot. 320 dell’8 gennaio 2002), nella quale veniva ribadito come solo la denuncia di esercizio fosse titolo legittimante ai fini della prosecuzione dell’attività di cava, con conseguente carattere illegittimo e abusivo dell’attività di scavo, effettuata su particelle mai rese oggetto di tale denuncia; anche per le particelle a suo tempo denunciate, inoltre, l’attività in concreto riscontrata sarebbe stata "difforme dal piano di coltivazione", con ulteriore pericolosità dell’area in questione per la sicurezza delle persone, in quanto la maggior parte dell’area stessa sarebbe "già prossima al fiume Volturno", con sponde "tenute a strapiombo con rischio di frana", dati "i notevoli scavi effettuati e la mancanza di un’adeguata recinzione, nonché di cartelli ammonitori".

Anche l’attuale appellante ha depositato una perizia tecnica di parte redatta nell’aprile 2004 e contenente conclusioni di segno opposto, sia per quanto riguarda la disponibilità, per atti risalenti al periodo 1983/1985, di tutte le particelle oggetto di istanza di prosecuzione dell’attività, sia per l’avvenuta presentazione di polizza fideiussoria, sia per le condizioni di sicurezza riscontrabili nel sito, con modalità di coltivazione della cava del tutto legittime.

In tale situazione – rilevati punti di discordanza in fatto, in ordine alle situazione dedotta in giudizio – con la decisione n. 3738 del 15 giugno 2010 il Collegio riteneva opportuno disporre una verificazione in contraddittorio, fra il Dirigente del settore provinciale del Genio civile di Caserta (o un funzionario di adeguata competenza tecnica, dal medesimo delegato) e l’appellante società IN.CAL, in persona del legale rappresentante pro tempore, anche assistito da un proprio tecnico di fiducia, al fine di produrre in giudizio una documentata relazione, in cui risultassero attestate – a seguito di verifica diretta dello stato dei luoghi, ovvero in base alla documentazione istruttoria reperibile presso l’Amministrazione (in ordine sia all’attività di cava di cui si discute che a pratiche coeve dello stesso tipo) – le seguenti circostanze:

1) riferibilità, o meno, dell’aggiornamento della denuncia di esercizio, presentata dall’attuale appellante dopo il proprio subentro al precedente gestore, all’area interessata dall’attività estrattiva di cui trattasi alla data di emanazione del provvedimento impugnato; quanto sopra sulla base di accertamenti che, per prassi operativa esistente, avrebbero dovuto essere effettuati, ovvero per avvenuta allegazione – come afferma la società interessata – di un foglio di mappa sufficientemente dettagliato, nonostante l’omessa specifica indicazione delle particelle catastali coltivate;

2) dettagliate precisazioni sulle difformità riscontrate rispetto al progetto di coltivazione, nonché in ordine alle situazioni di pericolosità rilevate ed alla prestazione di adeguate garanzie;

3) ogni altra informazione ritenuta utile per la soluzione della controversia.

In esito a tale pronuncia, veniva depositato il verbale dell’incontro, svoltosi il 18 novembre 2010 fra il legale rappresentante della società I. s.r.l., assistito dal proprio tecnico di fiducia, e due rappresentanti del Genio Civile di Caserta.

Questi ultimi – dopo avere ravvisato l’inutilità di un sopralluogo – ribadivano quanto segue:

– con riferimento al primo quesito: carattere esclusivo della denuncia di esercizio, quale titolo legittimante dell’attività estrattiva prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 54 del 1985;

– con riferimento al secondo quesito: non precisabilità delle difformità riscontrate, a causa dei mutamenti intervenuti nello stato dei luoghi; mancata realizzazione, comunque, degli interventi previsti in progetto ed omessa sistemazione delle sponde con scarpatine e piantumazione di specie vegetali autoctone, con conseguente situazione di pericolo;

– con riferimento alla terza richiesta: rinvio alle informazioni contenute nel decreto impugnato e nelle note difensive dell’Avvocatura regionale.

Il tecnico intervenuto per la società I. sottolineava, invece, come la denuncia di esercizio, ai sensi degli articoli 24 e seguenti del D.P.R. n. 128 del 1959, dovesse contenere solo la specificazione della località e non necessariamente di tutte le particelle interessate dall’attività di coltivazione di cava, ai fini dell’applicazione del regime transitorio, di cui all’art. 36 della citata legge regionale n. 54 del 1985; nella situazione in esame altre ditte – nominativamente individuate – avrebbero presentato denunce del tipo sopra indicato senza incontrare problemi, mentre per la predetta società I. l’effettiva estensione della cava, alla data di entrata in vigore della legge regionale in questione, sarebbe deducibile da tavole progettuali presenti nel fascicolo ed indicanti le particelle richieste in prosecuzione (tavola n. 2, denominata "mappa catastale" e tavola n. 1, denominata "planimetria al 5/1986").

In relazione al secondo quesito, inoltre, il medesimo tecnico insisteva sulla necessità di un sopralluogo, non essendo "ipotizzabile una sostanziale modifica dello stato dei luoghi", per l’assenza di qualsiasi "attività antropica" segnalata, "dall’emissione del decreto di rigetto alla data odierna".

Preso atto delle opposte argomentazioni delle parti, il Collegio rileva che i chiarimenti richiesti non risultano esaustivi, essendo mancati approfondimenti sulle argomentazioni della società appellante, meramente ribadite dalla medesima nel verbale sopra sintetizzato.

Ritenuto, pertanto, che detta verifica sia necessaria per la definizione della controversia, il Collegio ne dispone la rinnovazione, ai sensi dell’art. 66, comma 1, del D.Lgs. n. 104 del 2010, affidandone lo svolgimento ad un collegio di tre tecnici, due dei quali nominati dal Prefetto di Napoli ed uno dal Prefetto di Caserta tra i funzionari dei rispettivi uffici, i quali procederanno, nei termini precisati in dispositivo, alle operazioni di verifica documentale e sopralluoghi, previa comunicazione alle parti con almeno dieci giorni di anticipo, al fine di predisporre una documentata e dettagliata relazione sui quesiti, formulati nella decisione interlocutoria n. 2738/2010, come riportati nella presente decisione.

Ogni ulteriore statuizione resta riservata.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) – non definitivamente pronunciando sull’appello n. 37 del 2005, come in epigrafe proposto – ordina alla Prefettura di Napoli e alla Prefettura di Caserta di procedere alla nomina del collegio incaricato degli accertamenti specificati in motivazione, entro il termine di 20 (venti) giorni decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ovvero dalla notifica della stessa a cura della parte più diligente, se anteriore, affinché detti funzionari procedano alle operazioni di verifica, dandone preavviso alle parti, nei 40 (quaranta) giorni successivi alla nomina; a titolo di anticipo sul compenso spettante, a ciascuno di detti funzionari sarà corrisposta la somma di Euro. 3.000,00, con onere provvisoriamente a carico della società appellante, che anticiperà il pagamento prima dell’inizio delle operazioni di verifica.

Rinvia per l’ulteriore trattazione alla pubblica udienza del 7 giugno 2011.

Dispone che, a cura della Segreteria della Sezione, copia della presente decisione e della precedente decisione n. 2738 del 2010 sia trasmessa anche alla Prefettura di Napoli e alla Prefettura di Caserta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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