Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 6889

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Svolgimento del processo

Il p.m. presso il Tribunale di Venezia, in data 28/9/09, emetteva nei confronti di F.M. decreto di convalida di perquisizione e sequestro di sostanza stupefacente e della somma di denaro pari ad Euro 14.660,00, rinvenuta nella abitazione dell’indagato.

Il p.m., di poi, con provvedimento del 3/4/210. ha rigettato la istanza di dissequestro e restituzione della predetta somma, avanzata dalla difesa del prevenuto, rigetto confermato, successivamente dal Gip del Tribunale di Venezia, con ordinanza del 17/6/2010, a seguito della opposizione proposta nell’interesse del F. dal di lui difensore.

Propone ricorso per Cassazione l’indagato personalmente, con i seguenti motivi:

– nullità della ordinanza per omesso riscontro ai motivi con la opposizione libellati;

– il decidente non ha fornito argomentazione alcuna sulla necessità del mantenimento del vincolo sul denaro;

– la motivazione adottata dal decidente, peraltro, risulta profondamente incongruente nel punto in cui, erroneamente ritenendo il sequestro probatorio una misura di natura cautelare, opta per il mantenimento del medesimo sulla mera base del fumus boni juris;

– il provvedimento impugnato va in ogni caso annullato in quanto per aversi sequestro probatorio su cosa pertinente al reato è necessaria la dimostrazione della relazione di immediatezza, ovvero del rapporto di pertinenza intercorrente tra lo stupefacente e la somma di denaro sequestrata.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Osservasi che il procedimento per la restituzione delle cose sequestrate è regolato dall’art. 263 c.p.p., che attribuisce la competenza a provvedere, nel corso delle indagini preliminari, al pubblico ministero, che decide con decreto motivato.

La eventuale decisione negativa può essere impugnata con la procedura della opposizione, ex art. 263 c.p.p., comma 5, davanti al Gip, che provvede nelle forme dell’art. 127 c.p.p.. nel contraddittorio delle parti, con procedimento camerale.

A questo punto è bene evidenziare come sia pacifico in giurisprudenza, in ordine al sindacato esercitabile dal Gip in sede di opposizione, che il giudice non debba valutare (nè ciò può costituire oggetto di opposizione) la legittimità o la opportunità del provvedimento di sequestro, trattandosi di controllo attribuito al Tribunale del riesame, ma sia tenuto esclusivamente ad accertare se tuttora permangano le condizioni che avevano giustificato l’adozione di detto provvedimento (ex plurimis Cass. 25/11/03, Armenise).

Orbene dal vaglio di legittimità a cui è stato sottoposto il provvedimento impugnato si rileva che il decidente ha ritenuto le somme in sequestro beni pertinenti al reato, che è quello di spaccio di sostanze stupefacenti, e che la validità e vigenza del sequestro si basa sul fumus boni juris del delitto astrattamente ipotizzato, che, sulla base del contenuto degli atti, lo stesso decidente ha ritenuto sussistente, così assolvendo pienamente al compito ex lege attribuitogli, quale giudice della opposizione.

Di contro, le censure mosse in ricorso ruotano tutte intorno alla contestata legittimità del sequestro e non sul venir meno delle condizioni che avevano indotto il p.m. a disporlo.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186. della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il F. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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