Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-04-2011, n. 8079 contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Poste Italiane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata il 12 aprile 2006 della Corte di appello di Roma, confermativa della decisione di primo grado, la quale aveva dichiarato la nullità del termine apposto all’assunzione di D. M.G. in Poste Italiane s.p.a., per il periodo dal 2 marzo al 30 giugno 2000, e la conversione del rapporto in quello di lavoro a tempo indeterminato, con la condanna della società a pagare alla lavoratrice le retribuzioni maturate dal 21 febbraio 2002, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Nel disattendere l’impugnazione della società, la Corte di merito accertava che l’apposizione del termine al contratto di lavoro era stata giustificata dalla datrice di lavoro con il richiamo alla disciplina legale e all’art. 8 ccnl 26 novembre 1994, nonchè al successivo accordo integrativo del 25 settembre 1997, in particolare per far fronte alle esigenze di carattere straordinario conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dei progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. Per tali ipotesi, aveva proseguito la Corte territoriale, le assunzioni erano legittimate dalla contrattazione collettiva fino al 30 aprile 1998, data di scadenza della proroga per l’esercizio della facoltà per l’azienda di procedere ad assunzioni a termine per sopperire alle dette esigenze, ma poichè nella specie il contratto di lavoro era stato stipulato successivamente a quella data, il termine era stato illegittimamente apposto.

L’intimata ha resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione

Il ricorso è articolato in due motivi. Con il primo la società denuncia violazione dell’art. 1362 cod. civ. e insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla efficacia dell’accordo del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 ccnl 1994. Deduce l’errore in cui è incorso il giudice del merito per aver affermato l’esistenza un limite temporale di efficacia all’accordo di 25 settembre 1997 e per aver posto sullo stesso piano la clausola contenuta nell’accordo collettivo nazionale e dei successivi accordi attuativi, affermando che questi ultimi potevano prevalere e derogare alla "clausola madre" integrativa dell’art. 8 ccnl 1994.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., addebitando alla Corte territoriale di non avere svolto alcuna indagine in ordine alla sussistenza della mora accipiendi a carico di essa società e di avere determinato il risarcimento del danno senza considerare la possibilità della percezione da parte della lavoratrice di redditi, dopo la cessazione del rapporto di lavoro in questione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

Il ricorso è inammissibile.

Trattandosi di impugnazione proposta contro una sentenza pubblicata il 28 aprile 2006, si devono applicare le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e in particolare la disposizione dettata dall’art. 366 bis cod. proc. civ., senza che a nulla rilevi la sua abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha effetto soltanto per i ricorsi per cassazione contro provvedimenti pronunciati dopo l’entrata in vigore della legge stessa (Cass. 24 marzo 2010 n. 7119).

Secondo quanto dispone il citato art. 366 bis cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, e nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

A queste prescrizioni la ricorrente non ha adempiuto, poichè per nessuno dei due motivi formulati e in relazione alle dedotte violazioni di legge, non è stato enunciato alcun quesito di diritto, nè con riferimento al vizio di motivazione, anche lamentato nel primo mezzo di annullamento, è stata riportata la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso.

Si deve perciò concludere per l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, in applicazione del criterio della soccombenza, vanno poste a carico di Poste Italiane s.p.a. e liquidate come in dispositivo, sono attribuite direttamente all’avv. Gianni Emilio Iacobelli, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore della resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 25,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. Gianni Emilio Iacobelli, per dichiarata anticipazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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