Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-04-2011, n. 8233 Tutela delle condizioni di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 11 aprile 2006, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva il gravame svolto dalla s.p.a. Poste italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, contro la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda risarcito ria proposta da C., per danni alla salute, per violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, per non aver il datore di lavoro ridotto al minimo i rumori inquinanti ed esiziali per la salute dei lavoratori, e riconosciuto il nesso di causalità tra malattia diagnosticata al lavoratore ed ambiente lavorativo.

2. La Corte territoriale, a sostegno del decisum, riteneva:

– l’esenzione del datore di lavoro dagli obblighi di adozione di misure di protezione sussistendo nell’ambiente lavorativo una rumorosità oggettivamente tollerabile (71,5 dBA accertata nel corso della consulenza tecnica d’ufficio disposta in sede cautelare); – la mancanza di prova dell’eziologia delle malattie e del loro aggravamento a causa dell’attività lavorativa, prova della quale era onerato il lavoratore, la cui modesta ipoacusia era ricollegabile all’età e il generale disturbo d’ansia dovuto a generica situazione di stress indipendente dall’ambiente di lavoro.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C. C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due articolati motivi. Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. e per vizio motivazionale, per aver il Giudice del gravame omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità del gravame e sul dedotto giudicato interno ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

5. Con il secondo motivo la decisione impugnata è censurata per violazione dell’art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 277 del 1991 e per insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

6. Osserva il Collegio, a parte il rilievo che la decisione della causa nel merito evidentemente comporta l’implicito rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, il vizio di omessa pronuncia non è configurabile in ordine alle eccezioni di rito e, più in generale, in ordine alle questioni impedienti di ordine processuale ma solo nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito. Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza è configurabile esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano necessariamente una statuizione di accoglimento o di rigetto. In ordine alle questioni processuali può, invece, profilarsi un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se ed in quanto la soluzione implicitamente data dal Giudice alla problematica prospettata dalla parte si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata (cfr., ex multis, Cass. 1701/2009; Cass. 13373/2008).

7. Le censure per violazione di legge sono, inoltre, inammissibili per la mancata formulazione del quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal citato decreto legislativo e in vigore fino al 4 luglio 2009 ( L. n. 69 del 2009; art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5, ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).

8. Per il resto, le doglianze della ricorrente si risolvono in un’inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio del Giudice di merito, non sussumibile nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, (ex multis, Cass. 6694/2009; Cass. 4766/2006).

9. Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 14,00 oltre ad Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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