Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8198 Imponibile Imposta di successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 2.4.2003 la commissione tributaria provinciale di Viterbo accolse l’impugnazione proposta da M.A. e Z.L. avverso un avviso di liquidazione d’imposta principale di successione in morte di Z.A..

Gli eredi, invero, avevano annoverato in dichiarazione, tra gli altri beni, anche gli importi dei depositi su conti correnti intestati al de cuius, per un totale di L. 109.741.402. E l’amministrazione finanziaria, sul rilievo che tali somme concorressero alla costituzione dell’attivo ereditario ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 18 aveva liquidato l’imposta principale ai sensi dell’art. 9, comma 2, previo aumento del valore globale netto imponibile dell’asse in virtù della presunzione di esistenza di denaro, gioielli e mobilia.

La commissione tributaria provinciale ritenne in tal modo integrata una illegittima doppia imposizione. Avverso la sentenza l’amministrazione propose appello, insistendo nella tesi che i saldi di conto corrente dovessero essere considerati come crediti, e non come denaro.

L’appello fu respinto dalla commissione tributaria regionale del Lazio con la sentenza 13.1.2005. il giudice d’appello premise che la dichiarazione di successione aveva compreso, nel quadro b2, sotto la dicitura "altri beni", gli importi rinvenienti dai saldi dei conti correnti intestati al de cuius, così come previsto dal D.Lgs. cit., art. 9, comma 2 Sicchè -sostenne – tali "altri beni" non potevano essere considerati anche ai fini della maggiorazione presuntiva del 10%, essendo esclusa la presunzione dalla presenza di inventario analitico dei beni ( art. 769 c.p.c.), il Ministero dell’economia e finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione, notificato in data 3.3.2006 a mezzo posta (con spedizione avvenuta il 1.3.2006) e affidato a un motivo. Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione

1. – Con unico motivo i ricorrenti censurano la sentenza per "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, artt. 18 e 9 e del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8 nonchè dell’art. 769 c.p.c. e segg.".

Sostengono che il 10% di cui al ripetuto art. 9, calcolato sul valore globale netto dell’attivo ereditario, è relativo alla quantificazione in via presuntiva dì denaro, gioielli e mobilia;

mentre i saldi di conto corrente non sono ivi annoverabili, trattandosi di crediti e non di denaro. A sua volta l’inventario idoneo a vincere la presunzione di cui all’art. 9 è solo quello redatto dal notaio, non anche la risultanza della dichiarazione di successione.

2. – Il motivo è fondato, fermo restando che, peraltro, il ricorso proposto dal Ministero dell’economia e finanze va dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, i non essendo stato il Ministero parte del giudizio di merito. Risulta dalla sentenza esservi stata, difatti, negli anteriori gradi di merito, assunzione in via esclusiva, da parte dell’agenzia delle entrate, della gestione del contenzioso, con conseguente spettanza a essa soltanto dell’esercizio dei correlati poteri processuali in ordine all’impugnazione in sede di legittimità (per tutte, sez. un. 2006/3116).

3. – In tema di imposta di successione, del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9 premesso che l’attivo ereditario è costituito da tutti i beni e i diritti che formano oggetto della successione, prevede, al comma 2, che il denaro, i gioielli e la mobilia si presumono compresi nell’attivo ereditario per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse, salvo che da inventario analitico, redatto a norma dell’art. 769 c.p.c., non ne risulti l’esistenza per un importo diverso.

L’inventario deve rispondere, per consolidata e ovvia affermazione, ai requisiti di validità formale e sostanziale fissati dal codice di rito ( art. 769 c.p.c.), atteso che, per l’applicazione del tributo, il presupposto indefettibile rimane l’appartenenza dei beni al patrimonio del defunto (cfr. Cass. 2007/5974; Cass. 2006/15532).

Con riguardo a ciò, si rinviene un primo errore dell’impugnata sentenza, nella misura in cui, invece, ha ritenuto integrato il presupposto idoneo a vincere la presunzione nel mero fatto dell’inserimento degli importi dei saldi attivi dei conti correnti in un apposito capo della dichiarazione di successione.

4. – A ogni modo, come da questa Corte già evidenziato (v. Cass. 2003/19161), la disposizione de qua, facendo riferimento a denaro, gioielli e mobilia di diretta pertinenza del defunto, non trova applicazione rispetto ai saldi attivi dei conti correnti bancari, nel concetto di "denaro" rientrando soltanto quello su cui il defunto, al momento della morte, eserciti il diritto di proprietà; mentre, rispetto al saldo attivo di un conto corrente bancario, rileva la titolarità, in capo al correntista, di un mero diritto di credito, in coerenza con le caratteristiche del contratto-base.

Tale contratto (di conto corrente bancario) è difatti quello su cui si innestano tutte le eventuali differenti operazioni del rapporto banca-cliente con partite di dare e di avere. La somma algebrica delle poste annotate in conto, consentendo di determinare in ogni momento il saldo (attivo o passivo) sulla base di un consolidato meccanismo contabile (peraltro in questo non divergente da quello caratteristico del conto corrente ordinario), costituisce l’ammontare del credito di cui il cliente può disporre in ogni momento. Come tale concorre alla costituzione dell’attivo ereditario in sè e per sè, ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, comma 1, e art. 18 senza interferenza con la condizione di applicabilità della presunzione di ulteriore appartenenza di denaro, gioielli e mobilia di cui all’art. 9, comma 2.

In coerenza con quanto sopra va quindi enunciato il principio di diritto inteso a regolare la controversia, in ragione del quale l’impugnata sentenza è soggetta a cassazione.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio può essere definito nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso degli eredi Z. avverso l’avviso di liquidazione d’imposta.

Le spese processuali, nel rapporto tra gli intimati e l’Agenzia delle entrate, seguono la soccombenza, previa liquidazione secondo globalità di quelle relative ai gradi di merito.

Meritano invece integrale compensazione, per giusti motivi, quelle relative al rapporto processuale instaurato in esito al ricorso del Ministero.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara l’inammissibilità del ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze, con compensazione delle spese processuali relative al giudizio di legittimità; accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate. Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso avverso l’avviso di liquidazione. Condanna gli intimati alle spese processuali in favore della detta Agenzia, liquidandole, quanto ai gradi di merito, in complessivi Euro 2.573,00, di cui Euro 773,00 per diritti, e, quanto al giudizio di legittimità, in euro 1.200,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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