Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-12-2010) 23-02-2011, n. 7030 Falsità in scrittura privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione B.G. avverso la sentenza della Corte di appello di Genova in data 30 novembre 2009 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine al reato di falsità in scrittura privata, commesso il (OMISSIS).

L’accusa ritenuta provata era quella di avere contraffatto la firma della moglie G.R., in calce ad una richiesta, rivolta al servizio Fastweb, di attivazione di una prestazione aggiuntiva.

La Corte osservava che non vi era dubbio sulla riferibilità del falso al ricorrente per la duplice ragione che egli era l’unico ad avvantaggiarsi degli effetti della istanza alla Fastweb ed inoltre era stata riconosciuta la sicura paternità (in capo al ricorrente) del testo della scrittura stessa.

In ordine alla procedibilità del reato, contestata dalla difesa, la Corte rilevava che si tratterebbe di un reato perseguibile di ufficio e che comunque la difesa aveva eccepito la non tempestività della querela con riferimento al momento di conoscenza del falso da parte della persona offesa, senza dimostrare il proprio assunto.

Deduce:

1) il vizio di motivazione e la mancata assunzione di prova decisiva oltre che la mancata disposizione di una perizia grafica.

Era stato dedotto nei motivi di appello che la tesi della accusa era fondata soltanto sulle affermazioni della G., moglie separata dell’imputato e protagonista, assieme ad esso, di un serrato confronto nella sede giudiziaria civile, ove la donna aveva mosso al ricorrente svariate contestazioni sul piano patrimoniale. La G. aveva dunque affermato di riconoscere la grafia dello scritto come appartenente al marito ma, contestava la difesa, un simile assunto non solo non era supportato da alcuna cognizione specifica della materia grafologica: per di più era contraddetto dalla comparazione con la grafia sicuramente propria dell’imputato presente sull’atto di elezione di domicilio da esso sottoscritto.

Era stata criticata nei motivi di appello anche la tesi dell’essere il solo ricorrente la persona che avrebbe potuto beneficiare dell’abbonamento aggiuntivo Fastweb, essendovi nel nucleo familiare anche una figlia all’epoca non maggiorenne.

Era stata per questo avanzata, in primo grado, richiesta di perizia grafica, respinta dal Tribunale.

Per tale ragione la richiesta era stata riproposta come motivo di appello.

La Corte non si era pronunciata espressamente sul punto ed anzi aveva formulato affermazioni sulla riferibilità della firma falsa al B., del tutto apodittiche e manifestamente illogiche.

La perizia si rendeva indispensabile alla luce della giurisprudenza che ritiene che la deposizione della persona offesa possa sorreggere anche da sola l’impianto accusatorio, sempre che non vi siano elementi per dubitare della sua attendibilità: e nella specie, l’aspro contenzioso giudiziario fra i due protagonisti della vicenda imponeva di non fondare la condanna esclusivamente sulle affermazioni della querelante.

Il mancato espletamento della perizia, richiesta in primo grado a controprova, avrebbe d’altro canto integrato una violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2, sanzionabile con ricorso per cassazione.

2) il vizio di motivazione sulla ritenuta tempestività della querela.

Nell’atto di appello era stato dedotto che la consapevolezza della asserita falsità doveva farsi risalire ad una data ben antecedente a quella del 30 giugno 2007 (rectius, 2004) poichè tale era la data entro cui avrebbe dovuto effettuarsi il pagamento della fattura della Fastweb che aveva come causale il nuovo servizio richiesto con la scrittura asseritamente falsa.

La persona offesa aveva invece affermato di avere avuto contezza del falso il 5 luglio 2007 (rectius 2004).

Per tale ragione era di fondamentale importanza escutere la teste P., dipendente della Fastweb e indicata nella lista dei testi del PM, la quale avrebbe chiarito le circostanze anche di tempo in cui essa aveva mostrato alla G. il documento in contestazione.

L’ordinanza ammissiva di tale deposizione era stata tuttavia revocata pur in presenza di opposizione della difesa.

La istanza di escutere tale teste, previa rinnovazione della istruttoria in appello, era stata formulata dalla difesa ma ignorata dalla Corte, con la motivazione illogica, per di più, secondo cui la eccezione di parte sulla tardività dell’atto propulsivo non era stata provata. Il giudice avrebbe invece dovuto accertare la tempestività della querela.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo di ricorso, a prescindere dalla dettagliata rievocazione delle questioni in fatto sottoposte al giudice dell’appello e riportate dall’estensore del ricorso nell’ottica di dimostrare la indispensabilità del ricorso ad una perizia grafica, consiste nella deduzione della mancata disposizione della perizia stessa, volta ad accertare la riferibilità o meno della scrittura al ricorrente.

Deve tuttavia darsi atto al riguardo del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la perizia, per il suo carattere "neutro" sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto giudizio di fatto che se sorretto da adeguata motivazione è insindacabile in cassazione (Rv. 236191; Massime precedenti Conformi: N. 6861 del 1993 Rv. 195139, N. 9788 del 1994 Rv. 199279, N. 275 del 1997 Rv. 206894, N. 6074 del 1997 Rv. 208090, N. 13086 del 1998 Rv. 212187, N. 12027 del 1999 Rv. 214873, N. 4981 del 2003 Rv. 229665, N. 9279 del 2003 Rv. 225345, N. 17629 del 2003 Rv. 226809, N. 37033 del 2003 Rv. 228406, N. 4981 del 2004 Rv.

229665).

Nella specie il ragionamento formulato dalla Corte per respingere la relativa richiesta non appare viziato da gravi carenze argomentative o da manifeste illogicità.

La Corte territoriale si è affidata, al riguardo, al riconoscimento della grafia del testo dell’atto oggetto di querela come proveniente dal ricorrente, secondo le dichiarazioni della persona offesa oltre che al criterio del "cui prodest", formulando una implicita valutazione di attendibilità della stessa dichiarante.

In proposito la sentenza di primo grado, confermata in appello aveva valorizzato le medesime circostanze di fatto unitamente a quella della mancata rappresentazione, da parte del ricorrente, di una tesi difensiva alternativa.

Ne consegue che anche la questione della violazione dell’art. 495 c.p.p. è infondata dal momento che la mancata assunzione di prova decisiva, alla cui ammissione la parte aveva diritto, è deducibile ai sensi dell’art. 606, lett. d) ma con i limiti, ove si tratti di una perizia, di cui alla giurisprudenza appena evocata.

Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.

Del tutto corretta è l’affermazione contenuta in sentenza, secondo cui il giudice, a fronte della eccezione di parte sulla intempestività della querela, si arresta di fronte alla carenza totale di prove in tal senso.

Si tratta della applicazione dell’orientamento, costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della querela, occorre che la persona offesa abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto in modo da essere in possesso di tutti gli elementi di valutazione onde determinarsi. In ogni caso l’onere della prova dell’intempestività incombe su chi la allega e a tal fine non è sufficiente affidarsi a semplici presunzioni o supposizioni, ma deve essere fornita una prova rigorosa (Rv. 189706; Rv. 158083 Rv. 181405; Rv. 211740; Rv. 212621, secondo cui, poichè il decorso del termine comporta decadenza dal diritto di proporre il relativo atto, l’onere probatorio circa la dedotta tardività compete alla parte che intende paralizzare l’esercizio del menzionato diritto).

Nella specie la difesa lamenta di non avere avuto la possibilità, escutendo la teste P., di verificare la intempestività della querela, avuto riguardo al momento in cui la persona offesa ha avuto contezza della esistenza del presunto falso.

La questione, dedotta nella forma del vizio della motivazione riguardo alla carattere ingiustificato della revoca della ordinanza ammissiva della testimonianza, è illustrata, nella sostanza, sub specie di mancata assunzione di prova decisiva, senza dare conto però degli esatti termini della asserita decisività del teste.

Non sono indicate infatti le ragioni in fatto per le quali tale teste avrebbe dovuto essere in grado di fornire elementi di conoscenza essenziali sul momento in cui la persona offesa ha avuto conoscenza del falso.

Non sono specificate le sue specifiche mansioni nè la effettività dell’incontro sull’oggetto di causa o il suo contenuto, limitandosi la parte ricorrente ad ipotizzare che la teste potrebbe avere incontrato la querelante, secondo criteri meramente prudenziali, prima della data di scadenza (30 giugno) della bolletta contenente la maggiorazione della tariffa e quindi sensibilmente prima della data (5 luglio) indicata dalla querelante.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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