Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-11-2010) 23-02-2011, n. 6898

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 11 gennaio 2010 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del 4 marzo 2009 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Varese che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato D.V.A. e L. E. colpevoli, in concorso, dei delitti di rapina aggravata e lesioni personali lievi in danno di G.E. e di tentato omicidio in danno del carabiniere N.D., commessi in (OMISSIS), e il L. anche del delitto di furto aggravato di un’autovettura FIAT Marea SW in danno di R.C., commesso in (OMISSIS).

Il Giudice d’appello ha riformato la sentenza di primo grado solo in ordine al trattamento punitivo in relazione all’applicazione dell’aumento della pena per la recidiva, rideterminando la pena finale in anni sei, mesi nove e giorni diciotto di reclusione per D. V. e in anni sei, mesi quattro e giorni tredici di reclusione per L..

2. Da entrambe le decisioni di merito emergeva che:

– il (OMISSIS) D.V.A., mentre si trovava nel parcheggio del centro commerciale (OMISSIS), si era appropriato della borsetta appartenente a G.E. agganciata al carrello della spesa, vincendo la resistenza opposta dalla donna che veniva trascinata per terra;

– D.V. si era allontanato risalendo a bordo dell’auto Fiat Marea condotta da L.E., che era subito ripartita;

– detta auto, che era risultata rubata il (OMISSIS), e che, immediatamente intercettata, era stata inseguita dai carabinieri di Malnate anche in centri abitati, attraversati a velocità sostenuta senza rispettare le intimazioni di alt dei carabinieri e la segnaletica semaforica, si era fermata a (OMISSIS) in una strada senza uscita;

– il carabiniere N.D. che, con la mitraglietta di ordinanza, era uscito dall’auto posta di traverso per impedire la fuga dell’auto inseguita e aveva intimato l’alt ai suoi occupanti, era stato investito dalla detta auto, che aveva accelerato la marcia dopo la sua inversione, ed era caduto a terra dopo essere stato scagliato sul cofano e sul parabrezza della stessa auto;

– durante la caduta un colpo d’arma da fuoco, esploso accidentalmente, aveva frantumato i finestrini laterali anteriori dell’auto, nella quale erano D.V. e L., e aveva ferito il conducente;

– la marcia dell’auto, nuovamente in fuga, era stata impedita dai danni riportati collidendo con altra auto dei carabinieri di Tradate, giunti in ausilio sul posto.

3. Secondo il primo Giudice era corretta la qualificazione giuridica dei fatti contestati, atteso che la violenza esercitata per l’impossessamento della borsetta e per impedire alla vittima di riprenderla concretava il delitto di rapina aggravata; le lesioni riportate dalla donna trascinata per terra erano perseguibili d’ufficio per la contestata aggravante del nesso teleologia) con il delitto di rapina; la condotta attuata dirigendo l’auto a forte velocità contro il carabiniere, valutata con giudizio di prognosi postuma, era idonea alla realizzazione dell’evento morte e consentiva di ricavare la prova del dolo alternativo sulla base dell’id quod plerumque accidit; l’attribuzione della responsabilità concorsuale anche per il delitto di tentato omicidio ai due imputati trovava fondamento nell’espresso mantenimento dell’accordo criminoso tra gli stessi senza la manifestazione di alcuna dissociazione da parte di D.V.; del delitto di furto dell’auto doveva rispondere il solo L. che, rendendo credibile confessione, se n’era attribuita l’esclusiva paternità. 4. La Corte d’appello, dopo aver sintetizzato le doglianze mosse con gli atti di appello da parte degli imputati, riteneva, in particolare, che la qualificazione della condotta contestata come tentato omicidio, ampiamente e condivisibilmente motivata con la decisione di primo grado superando gli argomenti difensivi dedotti, riproposti con i motivi di appello, trovava sicuro fondamento nella idoneità della condotta, dimostrata dalla "violenza proiettata" contro il carabiniere, irrilevante essendo la presenza di lesioni clinicamente e giuridicamente apprezzabili, e nella messa in pericolo della vita umana attraverso detta condotta, valutata con giudizio di prognosi postuma formulabile da chiunque.

Secondo la Corte era certa la sussistenza del dolo alternativo per l’accettazione dell’evento morte e di quello minore (resistenza e fuga), dopo la rappresentazione del primo come probabile in alternativa al secondo, da parte dell’agente, che non aveva receduto dal proposito criminoso.

Entrambi gli imputati avevano concorso nel delitto di tentato omicidio, atteso che, pur non avendolo programmato, non avevano espresso l’intenzione, L. "per facta" e D.V. "per dato processuale", di porre fine alla, ormai inutile, fuga.

Con riguardo al trattamento sanzionatorio, la Corte d’appello riteneva corretta l’individuazione nel tentato omicidio del delitto base ai fini della continuazione, escludeva la concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, riteneva sussistente la circostanza aggravante del nesso teleologia), che rendeva procedibile d’ufficio il delitto di lesioni personali, non ravvisava elementi valorizzabili per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, riteneva la pena adeguata alla gravità dei fatti, e rideterminava l’incidenza dell’aumento della recidiva sulla pena base, tenendo anche conto del disposto di cui all’art. 99 c.p., comma 6. 5. Avverso la detta sentenza, passata in giudicato per L. E., ha proposto ricorso per Cassazione, per mezzo del suo difensore di fiducia, D.V.A. il quale ne chiede l’annullamento sulla base di quattro motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 56, 110, 337 e 575 c.p., con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di tentato omicidio volontario in concorso, che si assume fondata sulla sola univocità degli atti; con riferimento alla qualità del dolo in capo agli imputati che, se si sono rappresentati come certa la resistenza, non si sono rappresentati come evento alternativo la morte del carabiniere che non hanno voluto; e con riferimento alla qualità del dolo in capo ad esso ricorrente, il cui concorso nel delitto di tentato omicidio aggravato è stato affermato senza alcuna sua compartecipazione nè attiva, nè morale omissiva, e sulla base della sola sua presenza a bordo dell’auto condotta da L..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 62 bis c.p., con riferimento all’omessa valutazione in sentenza del suo comportamento post delictum, rappresentato dalla volontaria richiesta di disintossicazione, incidente sul chiesto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 99 c.p., con riferimento al trattamento sanzionatorio, al carattere facoltativo della recidiva contestata e al giudizio di bilanciamento da farsi con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 62 c.p., n. 4, con riferimento alla erronea individuazione del reato base nel tentato omicidio invece che nella rapina, cui accede la chiesta circostanza attenuante, e all’assenza di alcun danno per essere la vittima subito rientrata in possesso di quanto sottrattole.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione, avendo la sentenza impugnata, che si salda coerentemente con quella di primo grado, esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, e illustrato in modo logico e coerente, con riguardo alla posizione del ricorrente, gli elementi su cui è fondata l’affermazione di penale responsabilità dello stesso in ordine al delitto di tentato omicidio, al quale D.V. A. aveva limitato, con i motivi di appello, le sue censure in punto responsabilità, ripropositive peraltro degli argomenti già dedotti in prime cure.

2. Quanto al primo motivo non meritano accoglimento i rilievi, formulati dal ricorrente, circa l’insussistenza degli estremi del delitto di tentato omicidio con riguardo alla univocità degli atti e all’elemento psicologico del dolo.

Le sentenze di merito, facendo riferimento a una non contestata ricostruzione della vicenda, hanno fatto corretto uso dei principi, costantemente affermati da questa Corte con riferimento al tentato omicidio in merito alla idoneità degli atti e alla loro non equivocità, intesa quest’ultima come requisito della condotta e non come connotato dell’elemento soggettivo (tra le altre, da ultimo, Sez. 1, n. 35174 del 23/06/2009, dep. 11/09/2009, M., Rv. 245204;

Sez. 1. n. 5029 del 16/12/2008, dep. 05/02/2009, De Montis, Rv.

243370), e in merito alla compatibilità con lo stesso dell’elemento soggettivo del dolo alternativo (tra le altre, Sez. 1, n. 27620 del 24/05/2007, dep. 12/07/2007, Mastrovito, Rv. 237022).

2.1. L’auto sulla quale erano il ricorrente e il coimputato non ricorrente L.E., che la conduceva, dopo l’inversione di marcia nella strada senza uscita, è stata lanciata, in accelerazione, contro il carabiniere sceso dall’auto di servizio per intimare l’alt e chiudere la via di fuga.

Mentre il carabiniere investito e scagliato sul cofano cadeva a terra, l’auto ha proseguito la marcia fermandosi solo per i danni riportati con l’impatto con altra auto dei carabinieri pure intervenuti.

Il riferimento alla violenza "proiettata" contro la persona del carabiniere, posta a breve distanza, con la marcia dell’auto in accelerazione e la messa in pericolo della vita della persona offesa con giudizio di prognosi postuma, evidenziato dai Giudici di merito, rende esaustivo conto dell’iter logico dagli stessi seguito per ritenere, in conformità alla previsione normativa dell’art. 56 c.p., integrato il tentativo e corretta la qualificazione giuridica del fatto.

Il giudizio di idoneità, è stato, infatti, correttamente formulato, con prognosi ex post, con riferimento alla capacità potenziale della condotta quale ricostruita a mettere in pericolo la vita umana, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare, e l’univocità degli atti a realizzare il più grave evento è stata rapportata alla condotta tenuta in concreto, attraverso la valutazione della posizione delle auto, delle modalità della condotta, del mezzo usato e della posizione della parte offesa.

2.2. Anche con riferimento all’elemento psicologico del dolo in ordine al reato di tentato omicidio, la cui prova – ove, come nel caso in esame, manchino esplicite ammissioni da parte dell’imputato – ha natura essenzialmente indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente, ineccepibili sono le conseguenze che sul piano giuridico la Corte di merito ha tratto dalla ricostruzione della vicenda.

Facendosi, infatti, corretto riferimento agli elementi sintomatici tratti dalla valutazione della condotta tenuta dall’agente secondo l’id quod plerumque accidit si è individuata la direzione teleologica della volontà verso l’evento morte, accettato come probabile in alternativa alla resistenza e alla fuga nel momento in cui non vi è stato recesso dal proposito criminoso. La volontà di accettazione anche dell’evento morte con valenza alternativa all’evento minore, ritenuta dalla costante giurisprudenza di questa Corte, come già rilevato, pienamente compatibile con il tentativo, è stata logicamente ritenuta esteriorizzata e rappresentata dalla direzione del veicolo a forte velocità contro una persona a piedi.

2.3. A fronte di tale motivazione la difesa dell’imputato, nuovamente reiterando argomenti già dedotti nelle fasi di merito e analizzati con argomentazioni giuridicamente corrette e logicamente articolate, si è limitata da un lato a rilevare la non sufficienza della univocità degli atti per la sussistenza del delitto di omicidio volontario e a richiamare un precedente di questa Corte (Rv. 206137), relativo al reato di resistenza a pubblico ufficiale, e dall’altro a rilevare che l’unico scopo avuto di mira dagli agenti è stato quello di allontanarsi dal luogo senza volere la morte del carabiniere che avrebbe ancor più intralciato la via alla fuga.

Le deduzioni sono generiche e astratte dal contenuto della decisione impugnata e del precedente giurisprudenziale richiamato, atteso che, contrariamente a quanto dedotto, l’idoneità e univocità degli atti è stata tratta dalla specifica valutazione della condotta e dalla direzione della violenza contro la persona del carabiniere, che escludono la configurabilità di fattispecie delittuose diverse e meno gravi, e l’indifferenza all’evento che poteva conseguire all’impatto dell’auto, diretta in accelerazione contro una persona a piedi, equivale a rappresentazione dell’evento e a volontà della sua accettazione.

3. E’ infondata anche la censura difensiva relativa all’insussistenza del ritenuto contributo causale del ricorrente nel delitto di tentato omicidio, sul rilievo che detto contributo non avrebbe potuto essere tratto dalla omessa manifestazione da parte dello stesso dell’intenzione di interrompere l’azione criminosa, resa impossibile dal suo svolgimento fulmineo e dalla circostanza riferita dal ricorrente in sede di interrogatorio che egli, terrorizzato, si era "accucciato" sotto il cruscotto dell’auto non rendendosi conto di quello che stava accadendo.

La censura in buona parte si risolve in critica in linea di fatto e di puro merito, peraltro autoreferenziale nella parte in cui si riferisce a dichiarazioni rese dallo stesso ricorrente in sede di interrogatorio, inammissibile in sede di legittimità.

Essa, in ogni caso, omette di rilevare che la prosecuzione della fuga, con la già rilevata rappresentazione dell’evento più grave, senza che nè il ricorrente nè il correo avessero manifestato l’intenzione di interromperla, nonostante divenuta "senza speranze di successo", come rilevato conclusivamente dalla Corte di merito, ha dimostrato la ricorrenza in capo al ricorrente del dolo di concorso nell’evento del reato alla stessa conseguito, esprimendo una volontà criminosa nei termini detti, uguale a quella del correo, ed ha rappresentato, alla stregua della ricostruzione fattuale, l’iniziativa utile per conseguire l’impunità da condotte sincronicamente attuate (tra le altre, Sez. 1, n. 12089 del 11/10/2000, dep. 23/11/2000, Moffa e altri, Rv. 217347).

4. Non fondato è il secondo motivo con il quale si lamenta il diniego delle circostanze attenuanti generiche, correttamente fondato sulla particolare gravità della condotta, sulla capacità e personalità criminale dell’imputato, gravato da precedenti penali, e sulla pervicacia dimostrata nella condotta delittuosa tenuta.

Si tratta di motivazione del tutto corretta, che, in adesione ai principi costantemente enunciati da questa Corte (da ultimo, Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, dep. 13/09/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv. 247959), ha valorizzato gli elementi ostativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla base dei criteri normativi di riferimento di cui all’art. 133 c.p., in rapporto ai quali la circostanza esposta in ricorso, e che si assume dimostrata in sede di udienza preliminare, non priva di genericità è in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso.

5. Infondato è anche il terzo motivo, attesa la sua genericità nella parte in cui si censura il trattamento sanzionatorio solo in relazione al confronto con il trattamento riservato al coimputato L.E..

6. Quanto al detto motivo nella parte in cui si contesta il carattere obbligatorio della recidiva, e al quarto motivo con il quale si denuncia l’erronea individuazione del reato base nel tentato omicidio invece che nella rapina, cui accede la chiesta circostanza attenuante, e l’assenza di alcun danno per essere la vittima subito rientrata in possesso di quanto sottrattole, deve rilevarsi che l’omessa sottoposizione della censura da parte del ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, al giudice di appello è ostativa alla sua valutazione in sede di legittimità. 6.1. Secondo l’orientamento costante di questa Corte, la denuncia di violazione di legge non dedotta con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione.

Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è, infatti, delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, che ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti, funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata e all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per Cassazione. La correlazione di detta disposizione con quella dell’art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in Cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello, impedisce la proponibilità in Cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, dep. 15/09/1999, Piepoli, Rv. 213981; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214793), a meno che non si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo della Corte costituzionale (Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983, dep. 17/03/1984, Guner Cuma, Rv. 163151; Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 06/02/2004, Criscuolo e altri, Rv. 229373).

6.2. Nel caso di specie, le doglianze, inammissibili nella parte in cui si denuncia la violazione di legge non insorta dopo il giudizio di appello, sono infondate nella parte in cui si censura genericamente il difetto di motivazione, compiutamente, invece, espresso nell’esame dei motivi sul punto proposto dal coimputato L., non ricorrente.

7. Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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