Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-04-2011, n. 8328 Vendita forzata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La Agricola Lapo società agricola a r.l. , resasi aggiudicataria provvisoria di beni venduti all’incanto in una procedura esecutiva immobiliare, propose opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento col quale il giudice dell’esecuzione aveva fissato l’udienza per la gara tra gli offerenti a seguito di offerta in aumento di sesto presentata dal signor D.P., ai sensi dell’art. 584 c.p.c., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005. L’opponente sostenne che tale offerta doveva reputarsi inefficace poichè l’offerente non aveva depositato la somma relativa alle spese di procedura.

2.- Il Tribunale di Siena ha accolto l’opposizione, ha dichiarato l’inefficacia dell’offerta in aumento formalizzata dal signor D., ha dichiarato la nullità e l’inefficacia di ogni attività svolta nella procedura esecutiva in conseguenza dell’offerta in aumento ed ha dichiarato definitiva l’aggiudicazione dei beni oggetto dell’esecuzione in favore della Agricola Lapo società agricola a r.l.; ha quindi compensato le spese processuali.

3.- Avverso la sentenza del Tribunale di Siena propone ricorso per cassazione il signor D.P., a mezzo di un unico motivo.

Resiste la società intimata con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 584, 571, 573, 574 e 580 c.p.c. (tutti nel testo in vigore prima delle modifiche ad essi apportate dal D.L. n. 35 del 2005, convertito dalla L. n. 80 del 2005), ponendo la questione se l’offerta in aumento ai sensi dell’art. 584 c.p.c. (nel testo oggi non più in vigore, ma applicabile al caso di specie ratione temporis) dovesse essere accompagnata o meno, oltre che dalla cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo offerto – come è avvenuto nel caso di specie – anche, a pena di inefficacia, dal deposito dell’ammontare approssimativo delle spese di vendita come previsto dall’art. 580 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che, sebbene questa Corte si sia espressa in senso affermativo con le pronunce n. 7233/06 e n. 12544/00, richiamate anche nella sentenza impugnata, tale orientamento sarebbe meritevole di un revirement, in ragione delle critiche svolte nel ricorso, delle quali si darà atto nel prosieguo.

1. 1.- Il motivo è infondato.

I fatti e le vicende processuali non sono in contestazione e, per quel che rileva ai fini della presente decisione, è sufficiente evidenziare che, aggiudicati i beni alla Agricola Lapo società agricola a r.l., a seguito di incanto, per il prezzo di Euro 1.100.000,00, il signor D.P. fece offerta in aumento di sesto, offrendo il prezzo di Euro 1.284.000,00, e depositando a titolo di cauzione l’importo di Euro 128.500,00. Non venne depositata somma alcuna a titolo di spese, sebbene l’ordinanza di vendita dell’8 luglio 2005 prevedesse a titolo di spese un importo di Euro 180.000,00.

Parimenti, non è in contestazione che al caso di specie si applichino le norme vigenti prima delle modifiche apportate con il D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, sicchè ogni riferimento della presente motivazione alle norme del codice di rito dovrà intendersi fatto al testo di tali norme quale era prima di dette modifiche (salvo apposita precisazione in senso diverso).

1.2. – Ritiene la Corte che debba essere confermato il principio di diritto espresso nella sentenza n. 12544/2000, secondo cui "nell’esecuzione forzata per espropriazione immobiliare la fase che si apre con l’aumento del sesto è retta dall’ordinanza di vendita prevista dall’art. 576 cod. proc. civ. come integrato dall’art. 580 cod. proc. civ.; pertanto l’offerente deve prestare la cauzione e depositare la somma corrispondente approssimativamente alle spese di vendita nella misura fissata dal giudice"; principio ribadito dalla sentenza n. 7233/2006, secondo cui "in tema di espropriazione immobiliare, l’offerta di aumento di sesto ex art. 584 cod. proc. civ. (nel testo in vigore antecedentemente alle modifiche ad esso apportate dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80) deve essere accompagnata, oltre che dalla cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo offerto, altresì, a pena di inefficacia, dal deposito dell’ammontare approssimativo delle spese di vendita, come imposto dall’art. 580 cod. proc. civ., poichè dal sistema normativo – il quale prescrive il rispetto del termine perentorio di dieci giorni ai fine di assicurare la sollecita definizione della procedura nella quale, in caso di sua inosservanza, la già avvenuta aggiudicazione provvisoria è destinata a diventare definitiva – si rileva che non sono consentite successive integrazioni dell’offerta e che i provvedimenti successivi alla sua formulazione sono soltanto l’indizione della gara sull’offerta più elevata e la relativa pubblicità, rimanendo escluse l’audizione delle parti e la deliberazione sull’offerta ai sensi dell’art. 572 cod. proc. civ.".

Non si ritiene che il principio generale così come sopra espresso, nè la motivazione che lo sorregge siano meritevoli di revisione, in ragione delle critiche mosse dal ricorrente.

1.3.- La ratio decidendi della prima decisione (ribadita dalla seconda) è argomentata in motivazione nei seguenti termini: "… qualora si ritenesse applicabile la intera disciplina della vendita senza incanto e chiuso definitivamente il procedimento dello incanto, le offerte non sarebbero regolate da alcuna ordinanza di vendita che ne precisi tempi e modalità e verrebbero così lasciate, unitamente alla determinazione della cauzione, alla discrezionalità dell’offerente che potrebbe anche revocare l’offerta per rendere infruttuosa la gara conseguente all’aumento del sesto ed impedire così la definitività dell’aggiudicazione. Tutto ciò in contrasto con la finalità della previsione dell’aumento del sesto che è quella di conseguire dalla vendita il miglior rendimento possibile.

Anche se non può considerarsi un mero proseguimento del procedimento che ha condotto all’aggiudicazione provvisoria, deve ritenersi che la fase del rincaro sia retta tuttavia dalla stessa ordinanza che dispose la vendita con incanto ai sensi dell’art. 516 c.p.c., integrato dall’art. 580 c.p.p., con ogni conseguenza in ordine alla necessità di provvedere al deposito non solo della cauzione ma anche delle spese di vendita".

Il ricorrente non muove alcuna critica che sia in grado di confutare l’affermazione di questa Corte, che va ribadita, per la quale anche la fase dell’aumento di sesto è retta dalla medesima ordinanza di vendita con la quale era stato disposto l’incanto.

Il principale argomento critico del ricorrente è quello secondo cui l’art. 571 c.p.c. sarebbe applicabile anche senza tenere conto dell’art. 572 c.p.c., poichè soccorrerebbe comunque la previsione dell’art. 573 c.p.c.: esso ben può essere condiviso, se riferito alla fase della delibazione delle offerte e, quindi, della gara, poichè, come rilevato dalle Sezioni Unite che ebbero ad occuparsi dell’art. 584 c.p.c. ad altri fini (cfr. Cass. S.U. n. 8187/1993), l’art. 572 c.p.c. disciplina la delibazione di un’unica offerta, che non si ha mai nella fattispecie dell’aumento di sesto. Tuttavia, la questione oggetto della presente controversia – di cui si è occupata questa Corte con la sentenza criticata – riguarda non il momento procedurale della delibazione delle offerte (e, quindi, della gara) , ma la fase che lo precede, cioè quella della presentazione delle offerte in aumento. L’art. 571 c.p.c. disciplina le modalità di presentazione delle offerte, ed a tale scopo è richiamato dall’art. 584 c.p.c.: però, il contenuto delle offerte, che la norma prevede in astratto, non può essere determinato, in concreto, che con riferimento all’ordinanza di vendita; vale a dire, che l’art. 571 c.p.c. presuppone un’ordinanza che regoli la fase delle offerte nella singola procedura e la sua applicazione in concreto non può prescindere da tale ordinanza.

L’emissione dell’ordinanza di vendita è disciplinata, in via generale, dall’art. 569 c.p.c. e, con specifico riguardo alla vendita con incanto, dall’art. 576 c.p.c.; quest’ultima norma, a sua volta, è completata, per la vendita all’incanto, dall’art. 580 c.p.c., che, sotto il titolo "prestazione della cauzione" prevede non solo il deposito della cauzione, ma anche il deposito dell’"ammontare approssimativo delle spese di vendita". A quest’ultimo proposito giova il richiamo della motivazione della sentenza n. 7233/2006 laddove si afferma che non "… può dubitarsi dell’applicabilità del menzionato art. 580 c.p.c., anche all’offerta di aumento di un sesto, atteso che soltanto nella fase ad essa successiva si applicano le norme sulla vendita senza incanto, richiamate dal citato art. 584 c.p.c., comma 2 mentre di per se l’offerta costituisce prosecuzione – eventuale – del procedimento di vendita con incanto".

Il richiamo che l’art. 584 c.p.c. fa all’art. 571 c.p.c., per disciplinare la fase della presentazione delle offerte in aumento, presuppone il richiamo delle norme che disciplinano l’ordinanza di vendita, quale atto del giudice necessario e sufficiente a regolare l’intera procedura di vendita, dall’indizione dell’incanto all’aggiudicazione provvisoria e, quindi, a quella definitiva, ovvero, quale possibile fisiologica alternativa, alla presentazione delle offerte in aumento di sesto; fatto salvo, in tale ultima ipotesi, lo svolgimento della gara ai sensi dell’art. 573 c.p.c., a tale fine richiamato dall’art. 584 c.p.c..

Quando la sentenza n. 12544/2000, facendo propria peraltro un’affermazione della sentenza a Sezioni Unite n. 8187/1993, evidenzia che il richiamo agli artt. 571 e 573 c.p.c. operato dall’art. 584 c.p.c. non possa significare un rinvio all’intera disciplina della vendita senza incanto, non fa altro che sottolineare come la fase dell’aumento di sesto – nel sistema originario del codice – si svolga dopo la fase dell’incanto e non possa che essere retta dalla medesima ordinanza che quell’incanto abbia indetto.

Questa d’altronde era una conseguenza necessitata del sistema precedente la novella del 2005, poichè, in questo, la vendita con incanto era prevista come alternativa alla vendita senza incanto, sicchè il giudice dell’esecuzione poteva, a sua discrezione, scegliere l’una ovvero l’altra e non necessariamente l’una e l’altra, in successione cronologica, come è per l’attuale previsione dell’art. 569 c.p.c., comma 3 (nel testo introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005).

Pertanto, prima della riforma da ultimo citata, quando il giudice dell’esecuzione avesse scelto il sistema dell’incanto, l’ordinanza di vendita veniva conformata alle previsioni dell’art. 576 e segg. c.p.c., in quanto destinata a regolare appunto una vendita che si sarebbe dovuta svolgere con quel sistema. Essendo unica l’ordinanza di vendita ed essendo essa finalizzata a disciplinare un incanto, se si fosse ritenuta applicabile alla fase dell’aumento di sesto, per intero, la disciplina della vendita senza incanto, tale fase si sarebbe trovata priva di un apposito provvedimento del giudice che ne regolasse lo svolgimento con riguardo alla procedura in corso. In questo senso, ben può essere affermato che l’art. 571 c.p.c., in sè considerato, sarebbe stato inapplicabile, non tanto se privato del riferimento al successivo art. 572 c.p.c., quanto se privato del riferimento all’ordinanza che aveva disposto la vendita; allora, era questa soltanto che finiva per regolare la fase delle offerte in aumento di sesto e lo faceva alla stregua del contenuto determinato a norma dell’art. 576 c.p.c., che, a sua volta, presupponeva l’applicazione dell’art. 580 c.p.c..

1.4.- Tutto quanto sin qui detto consente di superare l’argomento del ricorrente fondato sul nuovo testo dell’art. 580 c.p.c. (che, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, non prevede più come obbligatorio il deposito di una somma per spese). Sostiene il ricorrente che, pur non essendo questo applicabile al caso in esame, consentirebbe di dare una diversa lettura al testo previgente, in senso favorevole all’offerente in aumento. L’esito dell’operazione interpretativa invocata dal ricorrente è invece opposto poichè la nuova norma è stata dettata proprio in conseguenza della modificazione apportata dalla novella al sistema della vendita.

Secondo la disciplina attualmente vigente, la vendita coattiva immobiliare si svolge, come detto sopra, secondo un procedimento necessariamente bifasico, che prevede l’incanto, non quale modalità di vendita alternativa a quella senza incanto, ma quale fase che segue sempre una vendita senza incanto, che non abbia raggiunto l’esito suo fisiologico; nell’attuale sistema la vendita senza incanto va necessariamente esperita prima dell’altra. Pertanto un’unica ordinanza di vendita, emessa ai sensi dell’art. 569 c.p.c., comma 3, è destinata a disciplinare sia la fase della vendita senza incanto che quella dell’incanto: allo scopo di rendere omogenei i due sistemi, il legislatore della riforma ha eliminato il deposito per spese, che, prima della riforma, era elemento peculiare dell’incanto e, invece, mancava nella vendita senza incanto.

Tutto quanto sopra, però, sta a significare che in un sistema diverso, quale quello ante riforma, l’interpretazione dell’art. 580 c.p.c. non poteva essere altra che quella sopra esposta.

1.5.- Superfluo si appalesa l’esame delle altre critiche mosse dal ricorrente all’orientamento consolidato di questa Corte, che qui si intende ribadire, poichè trattasi di argomenti (essere l’offerta in aumento di sesto irrevocabile; non sussistere in concreto alcuna disparità di trattamento tra l’offerente in aumento di sesto e gli offerenti originari, se il primo fosse esentato dal deposito per spese, perchè, nella maggioranza dei casi, sarebbe comunque costretto a versare un importo maggiore degli altri a titolo di cauzione; essere comunque possibile l’imposizione da parte del giudice dell’esecuzione di un ordine rivolto all’aggiudicatario in aumento di versare quanto dovuto per spese; valorizzare l’interesse dei creditori a conseguire un prezzo di vendita più elevato) che, come è evidente, per un verso, non intaccano la ratio decidendi ribadita con la presente decisione, per altro verso, hanno trovano già adeguata confutazione nelle sentenze sopra richiamate.

2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in favore della società resistente nell’importo di Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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