Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-04-2011, n. 8326 Opposizione al precetto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28 dicembre 2007 la Corte di appello di Campobasso, su gravame di R.G.L., ha riformate la sentenza del Tribunale di Larino – sezione distaccata di Termoli – del 20 maggio 2004, che aveva accolto l’opposizione a precetto, proposta dal R. nei confronti di D.D. sul rilievo che il precetto era stato intimato in base a scrittura privata, che non costituisce titolo esecutivo, per cui l’intimante difettava del diritto a procedere ad esecuzione forzata, ma accoglieva la domanda riconvenzionale, dispiegata dal D., circa il riconoscimento del suo diritto ad ottenere la somma di L. 48 milioni, oltre interessi e spese.

Con la sentenza impugnata il giudice dell’appello ha rigettato la domanda riconvenzionale del D. e ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale dello stesso.

Va precisato che nel dispositivo si rinviene un errore materiale circa il nome del D., indicato come V. e non come D., quale soggetto nei cui confronti il R. aveva fatto appello.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il D., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il R..
Motivi della decisione

1.-Osserva il Collegio che i primi tre motivi del ricorso vanno esaminati congiuntamente e si articolano sempre sotto il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5:

a) circa un fatto controverso e decisivo, quale sarebbe quello sull’asserito disconoscimento della firma apposta sull’assegno bancario n. (OMISSIS), di cui il pubblico ufficiale ha attestato la conformità all’originale della sua trascrizione antistante l’atto di precetto, per non aver rilevato il giudice dell’appello e spiegato in che modo e quando nel corso del processo il R. – opponente – avrebbe disconosciuto tale firma (primo motivo):

b) censura sempre attinente all’asserito disconoscimento dell’assegno sopraindicato, perchè il giudice dell’appello ha ritenuto che il R. avesse disconosciuto la firma ed , a suo avviso, in modo inconciliabile con la sua tesi difensiva,secondo la quale il titolo, rilasciato in bianco, era stato abusivamente riempito (secondo motivo);

c) la Corte di appello non avrebbe considerato le circostanze obbiettive acquisite agli atti di causa, dalle quali sarebbe risultato che l’opponente – il R. – aveva riconosciuto come propria la firma apposta sull’assegno sopra indicato e non aveva mai disconosciuto la stessa, limitandosi a disconoscere la conformità all’originale della copia fotostatica del titolo, di cui, però, l’ufficiale giudiziario aveva certificato la conformità della sua trascrizione antistante l’atto di precetto (terzo motivo, in estrema sintesi).

2.- Questi tre motivi sono inammissibili perchè prospettati sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, mentre andava dedotta la nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 e, comunque, alla fine del secondo e del terzo non contengono il momento di sintesi, che ne circoscriva compiutamente i limiti.

Infatti, in essi non è evidenziato il vizio del procedimento logico- giuridico che possa essere rinvenuto come determinante la decisione impugnata (v. per tutte Cass. n. 23591/08).

Peraltro, come si evince dalla sentenza impugnata, il D. "nella comparsa di costituzione in appello mette in discussione la tempestività del disconoscimento della scrittura privata e non pure degli assegni".

Il R. ebbe a disconoscere tempestivamente l’assegno trascritto e certamente aveva la possibilità di proporre querela di falso, ma non già l’obbligo di farlo e il giudice dell’appello ha ritenuto che, comunque, non avesse interesse a proporre la querela sia perchè in virtù del disconoscimento della sottoscrizione l’assegno era stato riempito absque pactis sia perchè, una volta disconosciuta la sottoscrizione, esso non valeva nemmeno come promessa di pagamento.

La motivazione è appagante sotto il profilo logico giuridico e in quanto tale le censure sono infondate.

3.- Con il quarto motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., artt. 214, 215 e 216 c.p.c., artt. 2719, 2700 e 1998 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello, una volta ritenuto che il R. avesse disconosciuto tempestivamente e validamente la firma contenuta nell’assegno dall’importo di L. 49.800.000, avrebbe affermato che sarebbe stato onere del D. – opposto – proporre istanza di verificazione, in mancanza della quale, il titolo di credito non assumeva alcuna efficacia e ciò a fronte del fatto che lo stesso R. si era limitato a disconoscere, tra l’altro impropriamente, unicamente in conformità all’originale della copia fotostatica di tale assegno, per il quale l’Ufficiale giudiziario aveva certificato la conformità della sua trascrizione antistante il precetto, senza disconoscere la firma apposta sul titolo, della quale, al contrario, aveva riconosciuto la paternità (p. 28-29 ricorso).

A questa doglianza, successivamente illustrata con il. porre in rilievo circostanze che dimostrerebbero la cadenza temporale ed il contenuto fattuale della doglianza (v.p. 33-36 ricorso), il ricorrente fa seguire quesiti multipli, come espressamente dichiarato a p. 34 del ricorso, in cui testualmente è scritto."In ordine all’illustrato motivo si propongono alla Suprema Corte adita i quesiti", formulati da p. 35 a p. 36 ricorso.

Per ciò solo il motivo è inammissibile (giurisprudenza costante e tra le altre, Cass. n. 9470/08).

Ma, ad abundantiam, va detto che proprio quanto si rinviene nel motivo in ordine all’attività difensiva dispiegata al riguardo consente di ritenere che le modalità del disconoscimento integrano una dichiarazione che contiene una inequivoca negazione della paternità del titolo nel suo contenuto (Cass. n. 16232/04), per cui il giudice dell’appello non ha affatto invertito l’onere della prova.

Ed, infine, la funzione privilegiata della certificazione dell’Ufficiale giudiziario – nella specie, certificazione di conformità all’originale di una trascrizione dello stesso titolo in un atto antistante il precetto e notificato insieme a questo alla parte, non si estende a fatti che vengono enunciati come compiuti non nella contestualità della formazione dell’atto, ma in un momento anteriore quale la sottoscrizione, ovvero la provenienza della medesima da colui che ne risulta sottoscrittore, ma non al suo contenuto, allorchè questo, come nel caso in esame è pacifico, è stato tempestivamente disconosciuto.

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *