Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-01-2011) 24-02-2011, n. 7165 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il GIP presso il Tribunale di Pordenone, con sentenza del 12 luglio 2010, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ha condannato M.M. alla pena di anni uno di reclusione per i delitti di lesioni personali e di atti persecutori in danno dell’ex convivente A.S..

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando la violazione di legge sotto il profilo dell’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 2 c.p. con particolare riferimento alla L. 23 aprile 2009, n. 38. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è, all’evidenza, da rigettare.

2. In diritto si afferma pacificamente come: "Nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti ( art. 444 c.p.p., e seg.), (queste) non possono prospettare con il ricorso per Cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione.

L’applicazione concordata della pena, infatti, presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato.

Cosicchè, in questa prospettiva, l’obbligo di motivazione del giudice è assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto tra le parti e dell’effettuato controllo degli elementi di cui all’art. 129 c.p.p. conformemente ai criteri di legge", (v. Cass., Sez. 2, 14 gennaio 2009, n. 5240 e da ultimo Sez. 5, 25 marzo 2010 n. 21287).

3. Nella specie, questa volta in fatto, il Gip ha dato conto del controllo effettuato circa la sussistenza dei fatti e la loro qualificazione giuridica, del riconoscimento della continuazione e, quindi, dell’impossibilità di addivenire ad una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p..

In ogni caso, del tutto pretestuoso è il richiamo del ricorrente alla erronea applicazione dell’art. 612 bis c.p. essendo lo stesso entrato in vigore il 25 febbraio 2009 (v. D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 14) e, quindi, prima della commissione del contestato reato (in (OMISSIS)).

4. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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