Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 24-02-2011, n. 7123

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza emessa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 3 Febbraio 2010 è stata applicata al Sig. G. la misura della custodia in carcere (restando peraltro egli latitante) per il reato di associazione per delinquere e per plurimi reati di riciclaggio connessi ad una vasta attività di frodi "carosello" poste in essere in Italia e all’estero. In particolare, l’indagato, consulente finanziario, avrebbe concorso nelle attività illecite sia quale consulente presso la "Virage Consulting Ltd" sia quale titolare di fatto della società "Wolstin Ltd", con sede in Cipro, sia, infine, quale gestore con altro coindagato (il Sig. F.) di altre società di comodo utilizzate al fine di far transitare ingenti somme di denaro.

Avverso tale misura la Difesa del Sig. G. ha proposto istanza di riesame, chiedendo che la misura fosse revocata sia perchè difettava la traduzione della stessa in lingua Inglese sia perchè dilettavano i presupposti della gravità degli indizi e dell’esistenza di concrete ragioni cautelari.

Con l’ordinanza qui impugnata il Tribunale di Roma ha respinto tutte le questioni sollevate. Quanto alla mancata traduzione in lingua Inglese, il Tribunale rileva che non sussiste allo stato alcuna compressione del diritto di difesa dell’indagato, che si è reso latitante, così che l’esigenza di consegnargli il provvedimento tradotto in lingua a lui nota dovrà trovare risposta nel momento della consegna dell’atto così da permettere all’indagato il pieno esercizio delle proprie difese. Quanto alla gravità degli indizi in ordine al reato associativo e alle ipotesi di riciclaggio, il Tribunale espone in modo articolato (pagg. 3 e 4) la pluralità degli elementi indizianti che connotano l’attività svolta dall’odierno ricorrente sia con riferimento alla materialità delle condotte sia con riferimento all’esistenza in capo a lui della piena consapevolezza e intenzionalità delle stesse. Quanto all’attualità delle esigenze cautelari, il Tribunale (pag. 5) afferma che le operazioni di riciclaggio del denaro proveniente dalle attività di frode è ancora in atto; che sussiste l’esigenza di garantire la genuinità delle acquisizioni probatorie; che la gravità dei fatti e l’intensità del dolo rendono probabile la commissione di nuove condotte illecite; che la latitanza costituisce elemento che deve essere tenuto in considerazione.

Avverso la decisione del Tribunale il Sig. G. propone ricorso tramite la propria Difesa.

Con primo motivo si lamenta la violazione del diritto di difesa, come previsto dall’art. 24 Cost. e art. 6 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con n. 848 del 1955) in relazione all’art. 143 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. c) per non essere stata tradotta il lingua Inglese la misura cautelare. Se nel sistema italiano la scelta dell’indagato di sottrarsi all’esecuzione della misura non costituisce un illecito, il generale principio di garanzia dei diritti della difesa non può conoscere alcuna limitazione neppure nell’ipotesi di latitanza, così che la persona indagata ha diritto di poter esaminare la misura cautelare in una lingua a lui nota al fine di compiere le proprie valutazioni, ivi compresa quella di consegnarsi o meno alle autorità.

Con secondo motivo si lamenta vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) per avere il Tribunale omesso di motivare in ordine ad un punto decisivo sollevato con l’istanza di riesame, e cioè l’assenza in capo al ricorrente dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio e, a maggior ragione, del reato associativo. Sul punto il Tribunale individua come elemento decisivo la circostanza che l’allontanamento del Sig. Gi. dalla compagine societaria sarebbe avvenuta a seguita della richiesta da lui avanzata di verificare la regolarità delle attività della soc. Planetarium;

tale circostanza è smentita in fatto proprio dalle acquisizioni svolte dalla Procura della Repubblica di Roma, come emerge dal contenuto di pag. 1375 (nota 508) della richiesta di applicazione della misura ove si legge che tale allontanamento fu causato dalla sottrazione di una somma di denaro di cui lo stesso Gi. si era reso protagonista.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso ha natura pregiudiziale e richiede di essere trattato con priorità. Osserva il ricorrente che la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare nella lingua da lui conosciuta comporta una violazione radicale del diritto di difesa e la conseguente nullità della misura ai sensi dell’art. 143 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. c). Ritiene la Corte che i principi costituzionali e le disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con L. n. 848 del 1955) richiamati dal ricorrente debbano costituire parametro diretto e essenziale di interpretazione delle norme codicistiche.

Ciò comporta, come prima conseguenza, che non possa condividersi quella parte dell’ordinanza impugnata che fa conseguire in ogni caso alla condizione di latitanza la non attualità del diritto dell’indagato a ricevere copia della misura cautelare, o almeno delle sue parti essenziali, in lingua a lui comprensibile. Tale passaggio, che si fonda sul principio affermato con la sentenza delle Sezioni Unite n. 5052 del 24 Settembre 2003 – 9 febbraio 2004, Zalagaitis (rv 226717). a parere di questa Corte meriterebbe di essere esaminato in maniera più articolata al fine di valutare se l’esercizio del diritto di difesa comprenda anche la possibilità per l’indagato di adottare in modo informato la scelta in ordine alla presentazione all’autorità giudiziaria e alla facoltà di non rendere dichiarazioni in sede di primo interrogatorio.

Tuttavia, ciò che deve essere esaminato in questa sede non è l’esistenza di un generale diritto dell’indagato latitante ad avere copia dell’ordinanza cautelare tradotta nella lingua a lui conosciuta, quanto la sussistenza nel caso concreto degli estremi di una nullità dell’atto per essere in contrasto con l’obbligo di assicurare nella sua effettività "l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza" dell’indagato. A tale proposito deve rilevarsi che l’indagato, per quanto latitante, ha proposto tramite i suoi Difensori un’istanza di riesame e quindi un ricorso articolati, puntuali nel riferirsi al contenuto delle contestazioni e ai fatti che le fondano, nonchè contenenti specifici richiami ai passaggi motivazionali più significativi. Un esame attento dell’istanza e del ricorso consentono di concludere che l’indagato ha avuto nei fatti la possibilità di conoscere le contestazioni di reato e le ragioni di emissione della misura, con conseguente piena possibilità di esercitare le proprie difese. Ciò esclude che si sia in presenza della lamentata nullità. 2. Venendo alle censure mosse al contenuto dell’ordinanza, la Corte osserva che la motivazione offerta dal Tribunale è molto più ampia del singolo punto sollevato dalla Difesa, e cioè le ragioni di allontanamento del Sig. Gi. dalla compagine societaria.

Inoltre, la circostanza che il Sig. G. svolgesse attività di consulente finanziario è stata dal Tribunale considerata non sufficiente per spiegare tutte le attività poste in essere in favore dei coindagati. La sussistenza di gravi indizi di consapevole partecipazione alle attività illecite è stata desunta dal Tribunale dall’insieme degli elementi di fatto, a partire dalla costituzione con operatori italiani di società estere destinate a movimentare ingenti flussi di denaro provenienti da società operative italiane per giungere all’organizzazione degli incontri londinesi e alle modalità con cui il denaro veniva gestito e movimentato. In questo quadro, sinteticamente ma puntualmente esposto nella motivazione dell’ordinanza, le ragioni dell’allontanamento del Sig. Gi. dalla società gestita dal ricorrente appaiono un elemento nè unico nè decisivo, per quanto certamente significativo, così che non sussiste il vizio invocato col secondo motivo di ricorso. Il conclusione, la Corte ritiene che le argomentazioni con le quali l’ordinanza impugnata giunge ad affermare che la condotta del ricorrente di supporto alle attività illecite degli indagati italiani aveva carattere di piena consapevolezza e rilevanza causale non appaiono nè contrastanti con le premesse in fatto, con l’eccezione di quanto si è detto, nè manifestamente illogiche.

Resta così precluso a questa Corte ogni ulteriore esame, dovendosi in tema di limiti del giudizio di legittimità condividere i principi fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi confermati dalla più recente giurisprudenza, come emerge, tra le altre, dalla sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio – 7 giugno 2006. n. 19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e dalla sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo – 20 aprile 2006, n. 14054, Strazzanti (rv 233454).

Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso dev’essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento ex art. 616 c.p.p. delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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