Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-10-2010) 24-02-2011, n. 7176

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 31.3.2009 il g.i.p. del Tribunale distrettuale di Bologna ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere ad P.A., indagato per il delitto di concorso in corruzione continuata di due agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Modena, ove trovavasi detenuto in regime di "dita sicurezza", aggravato da modalità camorristiche per la sua qualità di membro del clan dei Casalesi operante nell’area modenese/emiliana, per aver instaurato con detti agenti di custodia rapporti non regolamentari, nell’ambito dei quali – remunerandoli in varie forme dirette o indirette – otteneva la disponibilità di telefoni cellulari e altri oggetti non consentiti, diverse informazioni e la possibilità di comunicare con l’esterno dell’istituto. Condotta criminosa, sviluppatasi dal febbraio 2008 al febbraio 2009, per la quale il P. è stato rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Modena (decreto dispositivo 28.1.2010).

2. Decidendo sull’istanza di declaratoria di inefficacia della misura cautelare carceraria avanzata dall’imputato ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3 in relazione all’esistenza di altri due titoli custodiali esistenti a suo carico, il Tribunale di Modena, giudice di merito di primo grado, con ordinanza del 20.4.2010 ha respinto la richiesta correlata all’esistenza di due procedimenti penali pendenti l’uno davanti all’A.G. di Napoli e l’altro davanti a quella di Bologna, entrambi per reati associativi ex art. 416 bis c.p. e per reati connessi. Il Tribunale di Modena ha rilevato che: a) il procedimento per corruzione in corso nei confronti del P. attiene a un reato affatto diverso da quelli oggetto dei separati procedimenti pendenti a (OMISSIS); b) il reato di corruzione è stato commesso dopo l’emissione dell’ordinanza cautelare emessa nel procedimento in corso presso il Tribunale di Bologna (aprile 2006); c) il titolo cautelare afferente alla corruzione è di data anteriore a quello concernente il procedimento di Napoli (luglio 2009); d) nessuna ragione di connessione, qualificata o non, emerge tra i contegni corruttivi e i reati associativi indagati da tre diverse autorità giudiziarie in ragione delle diverse rispettive competenze territoriali, non potendosi neppure sostenere che gli elementi storici su cui è basata l’ordinanza cautelare per i fatti di corruzione siano stati già noti (desumibili dagli atti) al momento dell’emissione degli altri provvedimenti coercitivi (in realtà soltanto quello dell’A.G. di Bologna, quello dell’A.G. di Napoli essendo successivo).

3. Adito ex art. 310 c.p.p. dall’appello dell’imputato contro l’ordinanza reiettiva del Tribunale di Modena, il Tribunale distrettuale di Bologna con il provvedimento in data 25.5.2010, richiamato in epigrafe, ha rigettato il gravame del P., escludendo l’esistenza di situazioni riconducibili nell’area dell’art. 297 c.p.p., comma 3, non potendosi individuare – al contrario di quanto addotto dall’appellante – una regola di generale applicazione della retrodatazione, al di fuori delle ipotesi di connessione qualificata, in tutti i casi di procedimenti "diversi".

In via preliminare il Tribunale ha disatteso la censura di nullità dell’ordinanza impugnata perchè intervenuta oltre il termine di cinque giorni dalla presentazione della istanza (il 31.3.2010) previsto dall’art. 299 c.p.p., comma 3, trattandosi di termine ordinatorio a differenza di quanto previsto per il termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 10.

Nel merito dell’incidente cautelare il Tribunale di Bologna ha condiviso le ragioni di rigetto enunciate dal giudice della cognizione, osservando come il raffronto tra i titoli cautelari che attingono il P. possa effettuarsi unicamente tra l’ordinanza cautelare per i reati associativi emessa dall’A.G. di Bologna nel 2006 e quella emessa per il reato di corruzione il 31.3.2009, nessun problema di retrodazione della custodia cautelare per detto ultimo titolo potendosi porre in rapporto all’ordinanza coercitiva dell’A.G. di Napoli emessa in epoca successiva (luglio 2009), dalla quale non potrebbe certo farsi decorrere, per "postdatazione", la custodia carceraria per i fatti di corruzione. Quanto ai rapporti con l’ordinanza custodiale relativa ai fatti associativi, è agevole constatare che nessuna tematica di connessione ex art. 297 c.p.p., comma 3 può mai porsi, dal momento che i comportamenti dell’imputato integranti la contestata corruzione aggravata sono stati realizzati (anni 2008/2009) molto tempo dopo la commissione dei reati oggetto del primo provvedimento restrittivo (fatti anteriori al 2006).

4. Per la Cassazione dell’ordinanza dei giudici dell’appello cautelare P.A. ha proposto personalmente ricorso, deducendo erronea applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 303 c.p.p. e congiunta violazione del disposto dell’art. 299 c.p.p., comma 3, in punto di addotta perentorietà del termine per la decisione sulle istanze de libertate, altresì eccependone l’incostituzionalità ove interpretato come termine ordinatorio secondo quanto sostenuto dal Tribunale di Bologna.

Ad avviso del ricorrente la sua posizione custodiale cautelare va sussunta nella casistica delle ordinanze cautelari successive adottate in procedimenti diversi, perchè il reato di corruzione di cui all’art. 321 c.p. è ritenuto aggravato dalla natura camorristica della condotta ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. E’ detta aggravante, "che è un delitto a sè stante", che istituisce la connessione tra le due serie di fatti criminosi considerati nel procedimento per reati associativi e nel procedimento per il reato di corruzione.

In forma incidentale il ricorrente contesta, inoltre, la parzialità del giudicante collegio di appello felsineo per avere il presidente dello stesso fatto parte del collegio del riesame che ha respinto l’originaria istanza di riesame avverso l’ordinanza cautelare emessa dal g.u.p. del Tribunale di Bologna il 31.3.2009. 5. Il ricorso di P.A. è inammissibile, perchè basato su motivi di censura per un verso generici (id est aspecifici), siccome riproduttivi di argomenti giuridici già enunciati con l’originaria istanza di scarcerazione e con il successivo appello contro l’ordinanza reiettiva del Tribunale di Modena nonchè, per altro verso, manifestamente infondati a fronte della logicità e correttezza giuridica delle valutazioni espresse dall’impugnata decisione dell’appello cautelare.

5.2. In virtù dei referenti applicativi dell’istituto della retrodatazione dei termini di custodia cautelare quali puntualizzati dagli interventi interpretativi della Corte Costituzionale (sentenza n. 408 del 2005) e da questa S.C. (Cass. S.U., 22.3.2005 n. 21957, Rahulia; Cass. S.U. 19.12.2006 n. 14535/07, Librato) la vicenda riguardante il ricorrente P. ricade nella casistica della emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura carceraria per fatti reato diversi, tra i quali non sussiste la connessione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3. Casistica in cui i termini delle misure disposte con le successive ordinanze decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se al momento dell’emissione di questa erano desumibili dagli atti gli elementi giustificanti l’ordinanza successiva, purchè le misure cautelari non siano state adottate in procedimenti diversi e la diversità dei procedimenti non sia frutto di anomala o strumentale scelta del pubblico ministero.

Situazioni, tutte queste ultime, da escludersi in modo radicale nel caso del ricorrente P., dal momento che -come puntualmente dedotto dall’impugnata ordinanza del Tribunale di Bologna – le due serie di reati contestati al P. con le sole due ordinanze cautelari suscettibili di attenzione ai fini della eventuale applicabilità dell’art. 297 c.p.p., comma 3 sono state adottate in procedimenti diversi, da autorità diverse (diversi essendo anche i pubblici ministeri procedenti) e soprattutto in relazione a fatti reato pacificamente consumati a notevole distanza di tempo gli uni dagli altri. L’attività di corruzione degli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Modena attribuita al P. è avvenuta ben due e più anni dopo i reati per i quali è stata emessa nei suoi confronti la prima ordinanza cautelare. A nulla rileva, a tal fine, l’evenienza che al ricorrente sia stata contestata l’aggravante della mafiosità dell’azione criminosa, che è e rimane una circostanza aggravante che non snatura la specificità e diversità dei fatti reato di corruzione rispetto a quelli oggetto della precedente contestazione cautelare. Nè è possibile ipotizzare, ovviamente, che l’ordinanza cautelare emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già presenti nel primo, elementi da reputarsi per definizione inesistenti, perchè sopravvenuti e accertati soltanto in epoca successiva.

5.2. Nessuna causa di incompatibilità è ravvisatale, ai sensi dell’art. 34 c.p.p., per il giudice che, avendo fatto parte del collegio del riesame che ha confermato una ordinanza cautelare, si trovi a giudicare dell’appello avverso decisione incidentale reiettiva di istanza di scarcerazione per motivi diversi da quelli riguardanti il merito indiziario e le ragioni di cautela processuale poste a base dell’ordinanza coercitiva ed attinenti alla eventuale applicabilità dell’istituto della retrodatazione della (data di inizio della) custodia cautelare. A tacer d’altro, il rigetto dell’istanza di riesame di una misura custodiale non può costituire alcuna anticipazione del giudizio sulla ipotetica e susseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, che non investe la valutazione del fatto reato e dei connessi indizi e motivi di cautela, ma soltanto la sequenza dei rapporti procedimentali con altri fatti reato pure contestati con altra o altre misure cautelari al medesimo indagato.

5.3. Alla genericità della doglianza relativa alla natura del termine previsto dall’art. 299 c.p.p., comma 3 anche con riguardo agli insussistenti connotati di incostituzionalità dedottane in subordine dal ricorrente, ha già offerto una idonea e giuridicamente corretta risposta l’ordinanza impugnata nel ribadire il carattere ordinatorio del termine, la cui inosservanza non produce alcuna automatica perdita di efficacia della misura cautelare (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 6,11.2.2009 n. 7319, Albanese, rv. 242925).

All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del P. al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in misura di Euro 1.000,00 (mille). La cancelleria provvedere agli incombenti informativi connessi allo stato di detenzione del ricorrente.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di euro trecento in favore della cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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