Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-04-2011, n. 8504 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Nel 1981 le parti stipulavano scrittura privata di compravendita con la quale G.G. trasferiva a D.B.D. la comproprietà per un mezzo di un’abitazione sita In (OMISSIS).

Nel 1986 sottoscrivevano una scrittura che nell’odierno giudizio è stata invocata dal convenuto G. per fondare la risoluzione consensuale del contratto suddetto.

Nel (OMISSIS) i contraenti, già conviventi more uxorio, si univano in matrimonio.

Nel 2000 D.B.D. agiva per il riconoscimento dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte alla scrittura privata di compravendita del 1981 e per ottenere la trascrizione in proprio favore del trasferimento del bene.

Il 28 giugno 2004 il tribunale di Lucca, sez. Viareggio, accoglieva la domanda.

Con sentenza 30 novembre 2006 la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza del tribunale di Lucca e in accoglimento della tesi del G., ha dichiarato l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di compravendita.

La D.B. ha proposto ricorso per cassazione imperniato su tre motivi, ritualmente formulati ai sensi dell’art 366 bis c.p.c. e illustrato da memoria. G. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

2) Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1376, 1470, 2643 e 2644 c.c. Parte ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui ha affermato che alla data del 1 agosto 1986 l’atto di trasferimento del 1981 non era stato trascritto e quindi non si era regolarmente concretizzato, ancorchè fosse valido tra le parti.

La ricorrente sostiene che in forza del principio consensualistico l’atto era ormai concluso e che la mancanza della trascrizione non incideva sul prodursi dell’effetto traslativo.

Il secondo motivo lamenta la contraddittorietà della sentenza laddove ha affermato ad un tempo la validità dell’atto e la sua mancata concretizzazione. Il concetto di "concretizzazione" coincide secondo la ricorrente con quello di efficacia del contratto, realizzato con la manifestazione del consenso.

2.1) Le censure non colgono nel segno.

Il giudice di appello non ha negato che fosse stato concluso il contratto di compravendita, ma ha affermato che quel contratto era stato consensualmente risolto in forza dell’accordo contenuto nella scrittura del 1986. Ha chiarito che questa scrittura prevedeva: a) il recesso della attrice dalla società Gadel srl; b) la cessione alla attrice da parte del G., quale amministratore della società, di un immobile dalla stessa occupato in (OMISSIS);

c) la pattuizione (alla clausola 3) che tutti gli atti messi in opera tra le parti e riguardanti specialmente trasferimenti di proprietà, "che non abbiano avuto una regolare concretizzazione", dovevano essere considerati come mai avvenuti e di "nessun giuridico effetto".

La Corte territoriale ha ritenuto che le parti avessero così concordato la risoluzione consensuale del contratto del 1981. A tal fine ha interpretato la espressione "regolare concretizzazione" come riferibile a quel contratto del 1981, che prevedeva un trasferimento di proprietà immobiliare, in quanto la mancata trascrizione aveva comportato la mancata intestazione del bene. Ha valorizzato perciò la clausola n. 5 del medesimo accordo, in cui era stabilito che restava "di proprietà di ciascuna delle parti quanto a loro intestato".

Così ragionando, la Corte di appello non ha violato alcuna delle disposizioni indicate in ricorso, nè è entrata in contraddizione.

2.2) L’espressione concretizzazione di cui alla clausola 3 è stata infatti interpretata con riguardo alla eloquente clausola n. 5, cercando di cogliere il senso che le parti avevano inteso attribuirle, secondo il linguaggio comune e atecnico loro proprio, alla luce di basilari concetti giuridici (l’intestazione del bene) idonei a manifestare la loro volontà.

Giova ricordare che è legittimo lo scioglimento per mutuo consenso di un contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per la conclusione del quale è richiesta la formula scritta ad substantiam ex art. 1350 c.c., n. 1 purchè anch’esso risulti (come nella specie) da atto scritto (Cass. n. 14524/02; n. 2040/97, in contratti, 1997, 545,; SU n. 8878/90, NGCC, 1991, 1, 194;6959/88; 4906/88).

Pertanto, posto che alle parti era consentita la risoluzione consensuale del contratto, appare corretto il percorso motivazionale, volto a individuare la volontà dei contraenti non in relazione a un’astratta nozione giuridica di "concretizzazione" di un contratto, quale proposta in ricorso, ma del senso comune delle parole usate, in concreto, per esprimere la volontà dei contraenti, come ha fatto la Corte d’appello.

3) Il terzo motivo espone violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1470 e 1346 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorso nega che le parti abbiano concluso un contratto avente natura solutoria e liberatoria, perchè esso non avrebbe avuto oggetto determinato e determinabile, in quanto non conteneva "alcun riferimento al bene immobile che doveva essere oggetto di ritrasferimento".

Parte resistente ha prontamente rilevato che trattasi di questione nuova, prospettata senza allegare l’avvenuta deduzione nelle fasi di merito.

Ha rilevato inoltre che era stata la stessa parte ricorrente, in un passo della comparsa conclusionale testualmente riportato, ad affermare che l’unico negozio intervenuto tra le parti prima dell’agosto 1986 era stato quello del 1981, restando così determinabile l’oggetto del negozio. Infine ha osservato che l’accertamento sulla determinabilità dell’oggetto del contratto è questione rimessa al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità per soli vizi di motivazione. Le difese di parte G. colgono nel segno.

Al rilievo sulla novità della questione e sulla mancata specificazione dell’atto difensivo in cui era stata specificata la deduzione della indeterminatezza dell’oggetto dell’accordo risolutorio, parte ricorrente non ha potuto replicare con pertinenti rilievi.

Ha sostenuto infatti in memoria che si tratterebbe di questione "di puro diritto", già compresa nel dibattito processuale, nel corso del quale era stato controverso il tema dell’efficacia risolutiva dell’accordo.

Orbene, fondatamente il resistente ha ricordato che in tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 22540/06/ 9765/05).

La replica contenuta sul punto nella memoria della ricorrente conferma invece che la questione della non determinabilità dell’oggetto del contratto risolutorio non era stata esplicitamente sollevata in sede di merito, non essendo stato indicato alcun passaggio difensivo a ciò riferibile. L’abile difesa della ricorrente ha tentato infatti di far ritenere la questione già compresa nella materia del contendere, ma così non è.

E’ vero invece che stabilire se l’oggetto dì un contratto relativo a compravendita immobiliare sia determinato è accertamento che integra la risultante di un apprezzamento di fatto, come tale rimesso al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione ed immune da vizi logici ed errori di diritto (Cass. 12506/07; 4849/07). Poichè la Corte di appello ha ritenuto sussistenti i presupposti di fatto per la configurabilità di una risoluzione consensuale del contratto del 1981, senza che venisse in sede di merito sollevata alcuna contestazione sul punto, non può la Corte di Cassazione esaminare una questione nuova, che implicherebbe un accertamento di fatto su aspetti rimasti incontroversi nella sede propria. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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