Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-04-2011, n. 8503 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel 1995 i signori R.M.M., M.E. e M.D. chiedevano al pretore di Brescia di ordinare la rimozione di un box prefabbricato e di una tettoia edificati dal loro vicino, M.P., sul terreno sito in (OMISSIS), adiacente la loro porzione di casa con terreno censita alla partita n. 1394, mappali 6747/1 e 6747/2.

Lamentavano la violazione delle distanze previste dal piano regolatore e dell’art. 907 c.c. in relazione ai fabbricati costruiti in prossimità dei confini M.P. resisteva e, a seguito di sua eccezione, la causa veniva rimessa al tribunale di Brescia, che, con sentenza del settembre 2001, accoglieva la domanda e condannava il convenuto ad arretrare i manufatti e risarcire il danno.

L’appello del M.P. veniva accolto quanto alla domanda risarcitoria, atteso che ad essa gli attori avevano rinunciato nel corso del giudizio di primo grado e respinto per il resto. La Corte d’appello di Brescia confermava che la scrittura prodotta dal M.P. e firmata da M.L., con la quale il convenuto intendeva legittimare la costruzione in violazione delle distanze non costituiva negozio costitutivo di servitù. A tal fine ribadiva che trattavasi di dichiarazione unilaterale che non indicava la specie del titolo, nè il corrispettivo pattuito, nè precisava l’individuazione dei fondi interessati, l’estensione del diritto e le altre modalità di esercizio della pretesa servitù.

Evidenziava che la dichiarazione era stata rilasciata dal dante causa degli attori prima che egli stesso diventasse proprietario del terreno; che la scrittura faceva riferimento a una via diversa dalla strada in cui era posta la proprietà de qua.

Quanto all’ordine di demolizione della pensilina abusiva, la Corte territoriale ribadiva che la stessa era stabilmente infissa al muro, costituendo costruzione eretta in violazione delle distanze.

M.P. ricorre per cassazione con unico complesso motivo di ricorso. I R. e M. resistono con controricorso.
Motivi della decisione

Nella rubrica del motivo di ricorso non vengono indicate le norme che si asseriscono violate dalla sentenza impugnata, ma il ricorso prospetta tre profili di doglianza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Con il primo il ricorrente sostiene che – sebbene la scrittura non "parli di distanze legali" sarebbe certo: che il M.L. lo avrebbe autorizzato "a realizzare il box a distanza inferiore a quella legale";

che il box sarebbe stato posto nell’unica area disponibile;

che il terreno cui la scrittura si riferiva non poteva essere che quello confinante con il fondo M.P.;

che era onere di controparte provare una diversa interpretazione della scrittura;

che sarebbe stata sufficiente una consulenza tecnica per verificare i luoghi, onde superare eventuali dubbi.

La censura è inammissibilmente formulata. Essa si esprime apoditticamente, chiedendo al giudice di legittimità una nuova valutazione di merito, mentre alla Corte di cassazione è consentito solo il controllo della logicità e congruità della motivazione, sulla base della specifica indicazione delle risultanze, ritualmente già acquisite in causa, asseritamene trascurate od omesse.

Va inoltre rilevato che la Corte d’appello aveva rigettato l’appello sulla base di una ratio decidendi assorbente, costituita dalla circostanza che M.L. non era ancora proprietario del terreno limitrofo, allorquando rilasciò la scrittura invocata dal ricorrente per giustificare la costruzione in deroga alle distanze legali.

Questa ratio decidendi è rimasta praticamente priva di censura, poichè il ricorso si limita a dedurre che il M.L. al momento della dichiarazione "era già sostanzialmente proprietario del terreno in attesa di stipulare il rogito notarile".

In tal modo rimane confermato che il M.L. al momento della sottoscrizione non aveva ancora alcun titolo per far sorgere la servitù vantata dal ricorrente, essendo solo il futuro proprietario.

Il secondo profilo di censura, che attiene alla demolizione della pensilina, è, del pari, inammissibilmente formulato. In poche righe il M.P. si duole del mancato riferimento in sentenza alle dimensioni della pensilina e alle norme vigenti al momento della costruzione.

Non viene però censurata la motivazione effettivamente data dai giudici di appello, ineccepibilmente basata sul riscontro fotografico, sufficiente a valutare il mancato rispetto della "distanza legale di metri tre dal confine".

Infine il ricorrente si duole della mancata condanna della parte appellata alla refusione delle spese per la perizia grafica, resa necessaria dal disconoscimento della scrittura del dante causa dei convenuti.

Anche questa censura, soprattutto se si considera l’integrale compensazione delle spese di lite, appare priva di fondamento.

L’esito del giudizio e la circostanza, risultante dagli atti, che la dichiarazione privata de qua risaliva al 1971 e che la causa venne introdotta contro gli eredi dell’autore dello scritto nel 1995, cioè ben 25 anni dopo, rendeva congrua la motivazione della decisione di compensazione, sorretta dalla reciproca soccombenza. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna di parte ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 2.000,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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