Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-04-2011, n. 8501 Azioni a difesa della proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24 novembre 1999 la T P G & F s.n.c. evocava, dinanzi al Tribunale di Lecco, l’IMPRESA EDILE R s.n.c. per sentirla condannare all’esecuzione di tutto quanto necessario per l’eliminazione delle opere abusivamente realizzate nell’immobile di sua proprietà ed al ripristino della situazione ex ante, oltre al risarcimento dei danni subiti in conseguenza delle opere edili abusivamente realizzate, da determinarsi anche in via equitativa.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta, che deduceva la legittimità della ristrutturazione edilizia del proprio immobile e l’irrilevanza dei lamentato ostacolo della porta basculante al piano terreno, svolgendo domanda riconvenzionale con la quale chiedeva di inibire alla T P di produrre emissione acustiche eccedenti i livelli del Piano di Zonizzazione acustica del Comune di Lecco, nonchè di inibire le emissioni gassose residuali in atmosfera, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannava la società convenuta alla eliminazione delle tre vedute realizzate verso la proprietà dell’attrice, poste nel piano sottotetto dell’immobile dalla stessa ristrutturato, nonchè dello sporto di gronda di cm. 50 e della porta basculante di chiusura dell’apertura realizzata sulla strada consorziale in sostituzione della preesistente finestra, assegnato termine di sei mesi per l’esecuzione dei lavori; rigettava la domanda attorea di risarcimento dei danni e quella riconvenzionale.

In virtù di rituale appello interposto dalla IMPRESA EDILE R s.n.c., con il quale deduceva l’omessa ed erronea valutazione delle prove assunte, il vizio di extrapetizione e la carenza di motivazione rispetto alle conclusioni del c.t.u., la Corte di Appello di Milano, nella resistenza della società appellata, rigettava integralmente l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che il giudice di prime cure correttamente aveva esaminato la documentazione prodotta dalle parti (atto di compravendita della società convenuta, la scheda catastale citata in detta scrittura, la richiesta di sanatoria del 28.2.1995 dell’Impresa R, il progetto di ristrutturazione del settembre 1997) e le deposizioni testimoniali di entrambe le parti, anche in relazione agli accertamenti eseguiti dal C.T.U., pervenendo alla conclusione che le violazioni denunciate dall’attrice erano effettivamente state realizzate dalla appellante e le nuove opere erano pregiudizievoli per la proprietà dell’appellata.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione la IMPRESA EDILE REGAZZONI s.n.c., affidato ad un unico motivo, sebbene articolato su più censure, al quale ha resistito con controricorso la T P G & F s.n.c. Ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c., la società ricorrente.
Motivi della decisione

Con un unico motivo la ricorrente ha esposto numerose censure alla decisione impugnata: con la prima doglianza la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia per avere la Corte meneghina sostanzialmente non affrontato i motivi di appello, in particolare la circostanza che l’atto di compravendita e la piantina catastale dell’immobile non corrispondessero al reale stato del fabbricato, essendo i piani effettivi dell’edificio venduto tre e non due, con aperture da sempre esistenti nella parete da qualificarsi quali vedute e non luci, ed avendo omesso di considerare le dichiarazioni del teste F..

La ricorrente, inoltre, si duole della scarsa considerazione in cui è stata tenuta la perizia asseverata dell’Ing. T., affermando che nulla dice sulla collocazione temporale della soletta, mentre era stata valutata la testimonianza resa da M..

Pure oggetto di censura risultano essere gli esiti della consulenza tecnica di ufficio, per non avere il consulente accertato la preesistenza rispetto all’acquisto dell’immobile da parte della ricorrente del terzo piano dell’edificio e ciò nonostante il giudice del gravame, confermando l’iter argomentativo del primo giudice di merito, ha osservato che il c.t.u. avrebbe verificato che la domanda di sanatoria presentata riguardava la realizzazione di un nuovo piano avente la superficie di 110 mq. e non la ristrutturazione di una soletta di legno.

Aggiunge la ricorrente che la Corte di Milano avrebbe evitato di pronunziarsi anche sulle aperture poste al secondo piano.

La lettura del motivo evidenzia come l’esposizione con cui vengono illustrate le censure indichi questioni che nel loro complesso investono l’interpretazione data dal giudice del merito alle risultanze probatorie e delle quali, soprattutto il giudice del gravame, ha dato ampio conto su tutte le prove raccolte, contenendo il ricorso una specifica attività assertiva diretta a sottolineare gli errori denunciati in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella ricostruzione della quaestio facti, rilevante, soprattutto, sotto il profilo del vizio di motivazione. Ciò precisato, va subito richiamato il costante indirizzo di questa Corte secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte da giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti de proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il previsto vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando si ravvisi insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. ex plurimis: Cass. 22 maggio 2001 n. 6975; Cass. 16 novembre 2000 n. 14858; Cass., Sez. Un., 27 dicembre 1997 n. 13045).

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale, nel pervenire alla determinazione che le violazioni denunziate dall’attrice erano state effettivamente realizzate dall’Impresa Regazzoni ed erano pregiudizievoli per la proprietà della Trafileria Piazza, ha considerato l’atto di compravendita della Impresa Regazzoni (scrittura privata con firma autenticata dal notaio Ottavio Cornelio del 31.12.1993 rep. N. 620.860), la scheda catastale n. 269 del 12.9.1991 citata nelle predetta scrittura, la richiesta di sanatoria presentata dalla stessa Impresa Regazzoni in data 28.2.1995, il progetto di ristrutturazione del settembre 1997 redatto dall’Ing. S. presentato dalla stessa Impresa Regazzoni, nonchè le dichiarazioni testimoniali di entrambe le parti, valutandone la logicità ed attendibilità anche in relazione agli accertamenti del c.t.u., che tenendo conto della successione delle opere ivi realizzate, ha verificato che i lavori di ristrutturazione del corpo di fabbrica eseguiti dalla società convenuta avevano radicalmente modificato la situazione nella quale l’immobile si trovava al momento dell’acquisto. In particolare, era stato realizzato al piano sottotetto un nuovo piano di calpestio della superficie di mq. 110, con trasformazione delle preesistenti luci in vedute prospicienti sulla proprietà attrice, con conseguente incidenza sulla proprietà confinante. Tale giudizio non si è, dunque, concretizzato in un mero atto formale, avendo evidenziato anche come al piano sottotetto era stato realizzato un nuovo piano calpestarle in calcestruzzo e cemento in sostituzione di una nuova precaria struttura in legno, realizzata per ottenere la sanatoria edilizia.

A tale riguardo non può sottacersi, altresì, che la Corte di Milano ha sottolineato come il c.t.u. avesse evidenziato che la domanda di concessione in sanatoria riguardava proprio la realizzazione di un nuovo piano e non la ristrutturazione di un preesistente piano calpestarle. Del resto lo stesso R. in sede di interrogatorio formale aveva ammesso di avere costruito in calcestruzzo un preesistente piano realizzato in legno.

Elementi questi che hanno indotto la Corte territoriale a ritenere, con puntuale applicazione di ineccepibili principi giuridici, che nella fattispecie trovi applicazione la disciplina delle distanze fra edifici fronteggianti, conclusioni che risultano supportate da una motivazione adeguata, priva di salti logici e del tutto corretta sul piano giuridico, sicchè le sue statuizioni non sono suscettibili di alcuna censura in questa sede di legittimità.

Più specificamente, circa l’assunto della ricorrente della erronea e insufficiente motivazione sulla collocazione temporale della soletta – svalutata la perizia asseverata dell’Ing. T., e la testimonianza resa dal M. – occorre osservare che l’esposizione del motivo è inosservante del principio di autosufficienza, in quanto ha totalmente omesso di trascrivere quanto meno le parti della consulenza e della deposizione su cui fa leva la censura, in tal modo facendo un implicito riferimento per rinvio alla perizia e alla testimonianza, il che contraddice il principio de quo, affidando alla Corte di individuare nella relazione e nella deposizione le parti dalle quali emergerebbe la fondatezza della propria tesi (sull’onere del ricorrente in cassazione, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, della indicazione, riportandole per esteso, delle pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, si veda, ex multis, Cass. 20 agosto 2004 n. 17369).

Quanto, infine, alla denunzia del giudizio di attendibilità dei testi la cui deposizione è stata posta a fondamento del convincimento del giudice, trattasi di tipica valutazione di merito che non è sindacabile in sede di legittimità nei limiti di una adeguata motivazione (v. Cass. 16 ottobre 1969 n. 3384).

Del pari difetta dell’autosufficienza anche la doglianza in ordine alle aperture poste ai secondo piano, non avendo chiarito parte ricorrente in quale modo sarebbe contraddittorio l’iter argomentativo della decisione del giudice di merito in riferimento alle risultanze dell’accertamento tecnico di ufficio.

Con ulteriore censura la ricorrente lamenta il vizio di ultra petizione in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, reiterato da quello del gravame, circa la sporgenza della gronda non richiesta dalla resistente, nè nell’atto introduttivo nè in quelli successivi. Pur vero che la Corte di appello esamina frettolosamente la doglianza relativa alla gronda, ma la questione era stata già trattata dal giudice di primo grado, per cui al più sarebbe incorso in un difetto di motivazione e non già nel vizio di ultrapetizione.

Le censure sono, dunque, prive di pregio e non possono trovare accoglimento.

L’ultimo motivo attiene alla carenza di motivazione in ordine alla eliminazione della porta basculante, che pacificamente non impedisce l’accesso alla proprietà della resistente, ma potrebbe esclusivamente costituire un impedimento all’ampliamento del portone carraio della controparte, mai realizzato; peraltro mancherebbe dell’attualità il pregiudizio per avere la società posto in vendita il bene.

Anche detta doglianza non può trovare accoglimento.

Dalla decisione emerge che l’opera rende impossibile o quanto meno menoma l’esercizio del diritto degli altri utitizzatori della strada consortile, frapponendovi un ostacolo, che si traduce in un pregiudizio giuridicamente rilevante ed apprezzabile, per cui ciascuno degli altri condomini può chiedere la rimozione dell’opera che altera e sconvolge il rapporto di equilibrio della comunione (v.

Cass. 11 marzo 1992 n. 2940).

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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