Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-04-2011, n. 8498 Costituzione delle servitù per destinazione del padre di famiglia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierno ricorrente, S.P., adiva il Tribunale di Cagliari chiedendo la rimozione di una canna fumaria, proveniente dal camino del sottostante appartamento di proprietà dell’odierno intimato, passaggio che era stato consentito verbalmente in via precaria. Parte convenuta eccepiva l’esistenza della servitù per destinazione del padre di famiglia ( artt. 1061 e 1062 c.c.) per essere stata la canna fumaria realizzata dall’impresa costruttrice durante la costruzione dell’immobile e prima della cessione degli appartamenti in possesso e in proprietà alle odierne parti.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda, escludendo la sussistenza della servitù per destinazione del padre di famiglia, mancando il manufatto del requisito dell’apparenza. La Corte d’appello, adita dall’odierno resistente, rigettava le domande, rilevando che in fatto era pacifico che:

1) gli appartamenti erano stati assegnati alle parti ed agli altri soci della cooperativa con delibera di quest’ultima del 4 dicembre 1977 ed erano stati poi ceduti in proprietà il 13 dicembre 1989;

2) la canna fumaria in questione (come quelle realizzate per altri immobili) non era stata prevista in progetto ed era stata realizzata in epoca antecedente al 1979 durante l’edificazione del fabbricato, quando nè possesso nè proprietà erano stati trasferiti agli assegnatari, previo accordo tra le stesse parti, prestato "senza termine in ordine alla permanenza all’opera". Rilevava la Corte che sussistevano tutti gli elementi costitutivi dell’invocata servitù per destinazione del padre di famiglia. In particolare la servitù doveva intendersi apparente «posto che la canna fumaria è semplicemente ricoperta con muratura intonacata … e la relativa sporgenza .., che ha la forma del finto pilastro … è tale da renderne chiaramente percepibile l’esistenza. Inoltre, era risultato che la canna fumaria era stata realizzata dalla Cooperativa, seppure su accordo tra le odierne parti, in epoca precedente al 1979, quando non erano stati trasferiti nè possesso nè proprietà. Si trattava di una situazione obiettiva di asservimento creato dall’originario unico proprietario-possessore, situazione idonea alla costituzione della servitù. L’accordo tra le parti, pur intervenuto, risultava, quindi, irrilevante, perchè recepito dalla Cooperativa, come dante causa, ancora proprietario possessore dell’intero stabile. Risultava, infine, irrilevante la clausola apposta al contratto d’assegnazione in ordine alla garanzia prestata sulla libertà dell’immobile, posto che tale clausola nulla dice di specifico in ordine alla servitù di cui trattasi la cui sussistenza discende direttamente, a norma dell’art. 1062 c.c., dall’obiettiva, percepibile situazione di asservimento sopradescritta. Il ricorrente formula due motivi.

Resiste con controricorso l’intimato.
Motivi della decisione

1. – I motivi del ricorso.

1.1 – Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 1061 e 1062 c.c.. Non sussisteva l’apparenza in relazione alla copertura della canna fumaria:

quest’ultima non era visibile e quindi non era consentita la percezione dello stato di soggezione. Il finto pilastro poteva camuffare qualunque altra cosa (scarichi od altro). La motivazione della sentenza risultava, quindi, viziata sul piano logico e contraddittoria. I segni e le opere stabili dovevano indicare con chiarezza il rapporto esistente tra i due appartamenti. Inoltre al riguardo la Corte d’appello non aveva svolto neanche i necessari accertamenti in ordine alla natura dell’opera disponendo un’apposita CTU. 1.2 – Col secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1362 e 1062 c.c., non avendo il giudice del gravame considerato, nell’interpretare la clausola di garanzia contenuta nell’atto di trasferimento di proprietà, che l’art. 1062 c.c., nel momento in cui i fondi cessano di appartenere allo stesso proprietario, non richiede che vi sia alcun riferimento alla servitù, nè per escluderla, nè per costituirla. La clausola, invece, escludeva espressamente l’esistenza di pesi e vincoli. Al momento della separazione degli immobili si deve desumere la volontà di non lasciare immutata la situazione di fatto, dalla quale potrebbe sorgere la corrispondente servitù ex lege.

2. – Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1 – Il primo motivo è infondato, perchè nella sostanza la censura si riduce alla denuncia del vizio di motivazione in ordine alla ritenuta apparenza della servitù, posto che non vengono messi in discussione i principi di diritto applicabili. Si tratta di stabilire se nel caso in questione fosse o meno apparente la servitù relativa al passaggio del tubo di scarico del camino, pacificamente originariamente non previsto e coperto con la realizzazione di un finto pilastro. La Corte al riguardo ha effettuato un apprezzamento di fatto che, in quanto logicamente ed adeguatamente motivato, non è censurabile in questa sede. Infatti, la Corte territoriale, come già ampiamente chiarito, ha valutato la vicenda in tutti i suoi dettagli, giungendo a concludere che il finto pilastro, posto in corrispondenza del camino, doveva ritenersi riferibile proprio alla copertura dello scarico dello stesso, posto che il camino in questione pacificamente non faceva parte dell’originario progetto, era stato realizzato dall’originario proprietario – costruttore – possessore e che di tale circostanza tutti erano edotti. L’apparenza della servitù al riguardo doveva essere ovviamente valutata, come è stato fatto, nello specifico contesto cui essa si riferisce.

2.2 – Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, avendo correttamente il giudice dell’appello fatto uso dei criteri interpretativi dettati dall’art. 1362 c.c. e seguenti nell’interpretare la valenza della clausola in questione con riferimento alla situazione concreta che si era determinata. La clausola, come correttamente affermato dalla Corte territoriale, ha un contenuto ed una formulazione generici, tanto da essere normalmente utilizzati in tutti gli atti di trasferimento. Tale formulazione non è stata, quindi, ritenuta idonea a disciplinare anche la specifica situazione oggetto di giudizio. Di qui anche l’esatta conclusione, raggiunta dal giudice del gravame, secondo la quale sarebbe stato necessario regolamentare espressamente la questione relativa alla servitù in questione.

3. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 1.000,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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