Cons. Stato Sez. IV, Sent., 24-02-2011, n. 1229

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con due distinti ricorsi proposti in primo grado, sia alcuni proprietari di specifiche aree e fabbricati, sia alcuni abitanti dei Comuni di Rottofreno e Calendasco impugnavano la delibera del Consiglio Comunale di Rottofreno n. 39 del 20 luglio 2007 con la quale era stato approvato il piano particolareggiato di iniziativa privata "Boscone Cusani" per attività estrattiva nel polo 5 (di seguito: Piano Boscone), nonché la bozza di convenzione presentata nel novembre 2000 dalla ditta "Il Boscone s.r.l.", interessata ad ottenere l’autorizzazione alla coltivazione della cava.

2. – Con altro ricorso la Ditta P.B.C. s.r.l., controinteressata nei primi due, impugnava, a sua volta, la nota del Comune di Rottofreno n. 6244 del 3 luglio 2009 con la quale era stata rettificata l’autorizzazione all’attività di trasporto da e per la cava precedentemente rilasciata a seguito dell’approvazione.

3. – Il Giudice territoriale adito, previa riunione di tutti detti ricorsi per connessione, ha accolto i primi due soltanto con riguardo alla domanda di annullamento della delibera consiliare citata, in quanto ha respinto la pure formulata domanda di risarcimento danni ed ha dichiarato improcedibile il terzo ricorso per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione.

In particolare, con riferimento ai primi due ricorsi, respinte le eccezioni sollevate dalla ditta controinteressata di carenza di un interesse giuridicamente tutelato in capo ai ricorrenti e di difetto di legittimazione di questi ultimi, ha ritenuto:

– fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 8 della legge regionale n. 17 del 1991 in quanto l’Amministrazione Comunale avrebbe errato a non dare attuazione, nella fattispecie, alla sopraggiunta normativa di cui alla legge regionale n. 9 del 1999 e, quindi, a non rispettare l’obbligo di sottoporre il piano particolareggiato in questione alla procedura di valutazione di impatto ambientale disciplinata dalle citate norme regionali, come agevolmente ricavabile da una corretta interpretazione del’effettivo contenuto dispositivo di dette norme;

– infondata, invece, la domanda di risarcimento danni "…nessuna prova essendo stata fornita dagli interessati circa l’an ed il quantum del pregiudizio eventualmente subito, medio tempore, in conseguenza delle determinazioni censurate…".

Con riguardo, invece, al ricorso della Ditta P.B., lo stesso TAR ne ha dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione, in quanto "…il travolgimento automatico del provvedimento abilitativo, per effetto dell’eliminazione dal mondo giuridico dell’atto presupposto, secondo lo schema della c.d. invalidità caducante, priva di oggetto la controversia instaurata con il terzo ricorso e rende di conseguenza inutile una decisione che in alcun modo potrebbe giovare ad una ditta ormai sprovvista del titolo ad esercitare l’attività estrattiva…".

4. – Con l’appello in epigrafe la P.B.C. s.r.l (di seguito: la Società) ha impugnato detta sentenza chiedendone la riforma per i seguenti motivi:

1)- erroneità della sentenza del TAR per violazione e falsa applicazione del terzo comma dell’art. 30 della legge regionale n. 9 del 1999, così come modificato dall’art. 1, comma cinque, della legge regionale n. 35 del 2000, nonché per violazione della direttiva regionale approvata con deliberazione della Giunta Regionale n. 1238 del 15 luglio 2002;

2)- erroneità della sentenza appellata nella parte in cui dichiara procedibili ed ammissibili i ricorsi n. 353 del 2007 e n. 377 del 2007, perché, con riferimento al primo di detti gravami, il TAR non avrebbe tenuto conto che non è stata contestata in sede giurisdizionale il nuovo tracciato della strada di accesso alla cava; perché, con riferimento al secondo di detti gravami, i proponenti non avrebbero interesse alla contestazione attesa la notevole distanza delle loro abitazioni e proprietà in genere dei ricorrenti dall’area interessata dal piano particolareggiato contestato; perché omessa l’impugnazione di atti presupposti determinanti;

3)- erroneità della sentenza appellata nella parte in cui dichiara improcedibile il ricorso n. 310 del 2009.

5. – Si sono costituiti nel presente grado di giudizio soltanto alcuni dei ricorrenti di primo grado ed in particolare i sigg. L.C., G.P., B.R., L.S.M., F.F., G.P.F., L.F., S.C., A.B. e F.F., i quali con più memorie, corredate di documentazione, hanno diffusamente argomentato, anche in replica, alle argomentazioni di parte appellante affermandone l’infondatezza e chiedendo, conseguentemente la reiezione dell’appello.

6. – I medesimi sigg. L.C., G.P., B.R., L.S.M., F.F., G.P.F., L.F., S.C., A.B. e F.F. hanno proposto anche appello incidentale con il quale hanno chiesto, in caso di ritenuta fondatezza dell’appello principale, che vengano accolti i motivi di ricorso di primo grado, dichiarati assorbiti con la sentenza in esame, che a tal fine sono stati riproposti nella seguenmte formulazione:

– violazione e falsa applicazione della L.R. n. 17 del 1991 art.8, artt. 21, 22, 25 L.R. 47 del 1978, art. 30 L.R. 39 del 1999, nonché eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, violazione del procedimento istruttorio e travisamento, illogicità ed assurdità della motivazione; mancanza di identità soggettiva tra il richiedente l’approvazione del piano particolareggiato ed il soggetto autorizzato; violazione ed errata applicazione degli articoli 2506 e 20506quater del codice civile;

– violazione e falsa applicazione della L.R. n. 17 del 1991 art.8, artt. 21, 22, 25 L.R. 47 del 1978, art. 30 L.R. 39 del 1999 sotto diverso profilo, nonché eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, violazione del procedimento istruttorio e travisamento, illogicità ed assurdità della motivazione, illogicità dell’istruttoria sotto il profilo della previsione della viabilità di accesso alla cava;

– violazione e falsa applicazione della L.R. n. 17 del 1991 art.8, artt. 21, 22, 25 L.R. 47 del 1978, art. 30 L.R. 39 del 1999 sotto diverso profilo, nonché eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, violazione del procedimento istruttorio e travisamento, illogicità ed assurdità della motivazione, illogicità dell’istruttoria sotto il profilo della mancata valutazione dei pareri presupposti e delle prescrizioni contenute negli atti sovrordinati con riferimento allo studio idrogeologico richiamato nell’art. 70 del PIAE, per mancato recepimento dello studio da parte del Comune di Rottofreno, per mancata espressione del parere dell’Autorità del bacino del Po, per errata valutazione dell’Amministrazione Provinciale di Piacenza, per violazione del parere ARPA, per mancata espressione del parere della Commissione Edilizia Comunale, per mancata valutazione del parere dell’Autorità di bacino, per mancata considerazione del parere AIPO e per illegittimità del parere della Regione sulla valutazione di incidenza della zona SIC;

– violazione e falsa applicazione della L.R. n. 17 del 1991 art.8, artt. 21, 22, 25 L.R. 47 del 1978, art. 30 L.R. 39 del 1999 sotto diverso profilo, nonché eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, violazione del procedimento istruttorio e violazione del d.lgs. n. 42 del 2004;

– violazione e falsa applicazione della L.R. n. 17 del 1991 art.8, artt. 21, 22, 25 L.R. 47 del 1978, art. 30 L.R. 39 del 1999 sotto diverso profilo, nonché eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità manifesta, dell’errata valutazione dei presupposti e del travisamento e dello sviamento per espressione del voto da parte di consiglieri comunali in situazioni di incompatibilità es art. 78 del d.lgs. n. 267 del 2000;

– rinnovazione, in via subordinata, anche della domanda di risarcimento dei danni per equivalente che è stata respinta dal TAR.

7. – Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2011 l’appello principale e l’appello incidentale sono stati rimessi in decisione.

8. – L’appello principale è infondato.

8.1 – Con il primo motivo di impugnazione la Società sostiene che il TAR avrebbe errato ad interpretare le disposizioni contenute nell’art. 30, comma 3, della L.R. n. 9 del 1999, così come modificate dall’art. 1, comma 5, della L.R. n. 35 del 2000, nonché avrebbe violato la direttiva regionale vincolante prevista proprio per la corretta applicazione di dette disposizioni legislative, approvata con delibera della G.R. n. 1238 del 15 luglio 2002, in quanto l’effetto abrogativo delle norme del 1991 non decorrerebbe dalla data in entrata in vigore della relativa legge, bensì dalla data di entrata in vigore della legge n. 35 del 2000.

Prosegue, ancora, affermando che, dunque, il Comune avrebbe correttamente approvato il piano particolareggiato in questione in applicazione della disciplina vigente al momento della sua presentazione perché, diversamente opinando, non sarebbe neppure logicamente ipotizzabile che il legislatore regionale del 2000, nel far venire meno il rinvio mobile (approvazione della direttiva regionale) previsto dall’art. 8 della L.R. n. 17 del 1991, abbia fatto decorrere tale abrogazione da una data anteriore rispetto alla norma che la sancisce e risulterebbero automaticamente, quanto irrazionalmente, vulnerati tutti piani particolareggiati presentati in un momento in cui l’art. 8 era pacificamente in vigore.

Dette tesi non possono essere condivise per le seguenti considerazioni.

La legge regionale EmiliaRomagna 16 novembre 2000 (di seguito: la LR 2000) dispone col suo articolo 1, concernente "Modifiche alla legge regionale 18 maggio 1999, n, 9", al quinto comma che "…Nell’art. 30, comma 3, sono soppresse le seguenti parole: "a decorrere dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione delle direttive previste dall’art. 8 della presente legge".".

La norma regionale modificata (art. 30 citato LR 2000) disponeva, nel suo testo originario, intitolato "Disposizioni integrative ed abrogative", quanto segue: "…L’art. 8 e la lettera b) dell’art. 7 della L.R. 18 luglio 1991, n. 17, e successive modificazioni ed integrazioni, sono abrogati a decorrere dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione delle direttive previste dall’art. 8 della presente legge per le attività estrattive sottoposte alla procedure disciplinate dalla presente legge. È fatta salva per i piani particolareggiati adottati ovvero per i piani particolareggiati di iniziativa privata presentati in data precedente la possibilità di concludere il procedimento di approvazione secondo quanto previsto dal medesimo art. 8 della L.R. n. 17 del 1991".

L’art. 8 richiamato nella norma testè riportata, intitolato "Direttive", dispone, a sua volta, per quel che qui rileva:

"1. Le modalità ed i criteri di attuazione delle procedure disciplinate dalla presente legge sono stabiliti dalla Giunta Regionale con direttive vincolanti pubblicate sul Bollettino Ufficiale della Regione. Le direttive, in particolare, per tipologia di progetto, specificano:

a) i contenuti e le metodologie per la predisposizione degli elaborati relativi alla procedura di verifica (screening) e dei SIA;

b) le autorizzazioni e gli atti di assenso comunque denominati ricompresi nella valutazione di impatto ambientale (VIA) positiva ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 17;

c) i casi e le modalità di autocertificazione di stati di fatto e del possesso di requisiti nel rispetto della normativa statale e della disciplina comunitaria.

2. Gli elementi richiesti dalle direttive di cui al comma 1 devono essere coerenti con il grado di approfondimento progettuale necessario e strettamente attinenti alle caratteristiche specifiche di ciascuna tipologia di progetto e delle componenti dell’ambiente che possono subire un pregiudizio, anche in relazione alla localizzazione, tenuto conto delle conoscenze e dei metodi di valutazione disponibili."

In relazione a tale quadro normativo il Giudice di prima istanza ha ritenuto che già dalla sola lettera della norma sia agevolmente ricavabile la volontà del Legislatore regionale di fare salvi i soli piani particolareggiati di iniziativa privata presentati prima che la LR n. 9 del 1999 fosse entrata in vigore, posto che la soluzione interpretativa imperniata sull’assunto per cui la locuzione "…presentati in data precedente…" debba, invece, riferirsi alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 35 del 2000, non trova alcun fondamento lessicale in un testo che presenta una sua compiutezza e logicità, affidandosi ad espressione normativa che è chiara in base al suo valore semantico tipico, ai sensi dell’art. 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale. Né si perviene con la tesi prescelta a risultati interpretativi incongrui poiché l’unico limite che incontra l’interpretazione che attribuisca valenza retroattiva alla norma è costituito dai "c.d. rapporti esauriti" che, nella specie, è ipotesi non ricorrente.

Il Collegio ritiene di poter confermare l’avviso interpretativo espresso dal primo Giudice con le seguenti precisazioni.

L’art. 1, comma 5, della LR n. 35 del 2000, nel contesto delle modifiche da essa introdotte alla "disciplina della procedura di valutazione dell’impatto ambientale" utilizza, come risulta dal testo sopra riportato, unicamente la locuzione "…sono soppresse le seguenti parole…" per modificare la data di decorrenza delle abrogazioni in esso disposte con riguardo all’art. 8 e dell’art. 7, comma 2, lettera b), della LR n. 17 del 1991.

Infatti, il Legislatore regionale si è limitato ad eliminare la parte della norma del 1999 che collegava l’efficacia dell’effetto abrogativo incidente sulla LR n. 17 del 1991 alla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di apposita direttiva "vincolante", a sua volta prevista dall’art. 8 della stessa LR n. 35 del 2000, senza alcuna specificazione in ordine alla decorrenza di tale "soppressione".

Occorre, allora avere riguardo alla disposizione che ne risulta dopo l’intervento correttivo della legge del 2000 la quale, secondo il testo ricavabile "per elisione", altrettanto laconicamente, come la modifica che l’ha generata, è composta, per quel che qui rileva, solo dalla locuzione "sono abrogati", in collegamento con l’indicazione delle norme cui si riferisce.

Orbene, in tale situazione, non pare irragionevole ritenere che l’operazione correttiva posta in essere dal Legislatore regionale, avuto presente, come già detto, il testo conseguente alla modifica apportata, sia rivolta a conferire alla norma, con effetto retroattivo, una decorrenza certa, quale quella dell’entrata in vigore dell’intero testo legislativo, proprio perché è stata eliminata la parte per così dire speciale della norma originaria che collegava l’entrata in vigore di quella disposizione specifica alla pubblicazione di un atto amministrativo.

Va da sé che soltanto in presenza di situazioni o posizioni già irreversibilmente definite si arresta l’efficacia retroattiva della nuova disposizione dell’art. 30, comma 2, della LR del 2000 che è cosa, però, che non concerne la fattispecie in esame in quanto la disposizione in questione, nella sua nuova formulazione, è intervenuta in corso di procedimento.

Pertanto, il Giudice di prima istanza correttamente ha ritenuto che "la salvezza" dei piani particolareggiati di iniziativa privata, prevista dal citato art. 30, é collegata alla data di entrata in vigore della LR n. 9 del 1999, non potendosi non riferire la locuzione specificamente utilizzata dal Legislatore a tal fine ("presentati in data precedente") se non alla data di entrata in vigore della LR del 1999, rispetto alla quale il piano dell’appellante Società è successivo e come tale non poteva che soggiacere alla nuova normativa regionale sulla VIA.

Né condivisibile è la critica, pure mossa con il motivo in esame, che la tesi privilegiata dal primo Giudice si scontrerebbe con l’obbligo dei Comuni di attenersi alla direttiva regionale di cui alla delibera di GR n. 1238 del 15 luglio 2002, reso palese dalla valenza vincolante espressamente attribuita alle "direttive regionali" dall’art. 8 della stessa LR n.9 del 1999, in quanto:

– per un verso, è proprio il contenuto della norma da ultimo citata che mostra come certamente non rientrava, né rientra, tra i "vincolanti contenuti" del predetto atto amministrativo anche la definizione del momento di efficacia dell’art. 30 della LR del 2000, dopo la modifica apportata dall’art. 1, c. 5, della LR n. 35 del 2000, riferendosi l’art. 8 su citato " agli elaborati relativi alle procedure di screening e dei SIA", ai provvedimenti emanabili ex art. 17 della stessa legge ed alle "autocertificazioni di stati di fatti e del possesso di requisiti" e cioè a contenuti procedimentali e tecnici che nulla hanno a che vedere con il profilo strettamente giuridico in esame;

– per altro verso, la valenza vincolante conferita dalla legge all’atto si impone soltanto nei confronti delle Amministrazioni chiamate ad applicare la normativa sul procedimento di VIA, nei limiti più innanzi indicati per il caso di specie, ma non anche nei confronti del Giudice chiamato a decidere sull’eventuale controversia insorta, essendo evidente che neppure l’eventuale forza regolamentare di un atto impedisce al Giudicante di pervenire ad interpretazioni della norma primaria diverse da quella privilegiata dall’atto secondario.

Osserva, infine, il Collegio che, quand’anche si volesse ritenere, in via di mera ipotesi, non esaustive le ragioni sin qui espresse per rigettare il motivo in esame, pur tuttavia si perverrebbe alle stesse conclusioni, avuto presente il quadro comunitario in materia di VIA.

Ed invero, la risposta alla doglianza che non vi sarebbe alcuna spiegazione o ragione per ritenere che la Regione EmiliaRomagna, modificando la norma in questione, abbia voluto, con riferimento alle attività estrattive, sopprimere il differimento dell’entrata in vigore della LR n. 9 del 1999 originariamente disposto, così reinserendo il tutto nell’alveo ordinario di entrata in vigore delle norme di legge, può agevolmente derivare proprio dall’esame degli atti comunitari (in particolare della Commissione Europea) che in materia di VIA sono stati emanati nei confronti dello Stato italiano: come si vedrà di seguito, essi portano agevolmente a ritenere che la ragione specifica della citata modifica è da ricercare proprio nell’intenzione di detta Regione di non posticipare più l’obbligo di VIA su determinate attività di particolare e rilevante impatto.

Al riguardo, è sufficiente richiamare il procedimento di infrazione comunitaria cui la predetta Regione, unitamente ad altre, era stata sottoposta con lettera di messa in mora della Commissione Europea del 13 aprile 2000 e con successivo parere motivato del 3 agosto 2000 della stessa Commissione Europea (atti entrambi di data anteriore alla data di approvazione della LR in questione n. 35 del 16 novembre 2000, che citano espressamente la LR n. 9 del 1999) con i quali è stato contestato, alla stregua della pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. 21 gennaio 1999, causa C150/97) come la specifica norma dell’art. 12, n. 1, della direttiva 85/337/CE non consentisse ad uno Stato membro che avesse recepito (come l’Italia) detta direttiva nel proprio ordinamento giuridico nazionale, dopo il 3 luglio 1988 (data di scadenza del termine di trasposizione) di esentare, mediante una disposizione transitoria, dagli obblighi relativi alla valutazione di impatto ambientale stabiliti dalla direttiva i progetti la cui procedura di approvazione fosse stata avviata prima dell’entrata in vigore della legge nazionale di trasposizione di detta direttiva.

Dunque, avuto presente che la contestazione mossa dalla Commissione Europea alla legislazione emilianaromagnola riguardava proprio l’esenzione dal regime comunitario della VIA dei progetti successivi alla data di pubblicazione delle direttive comunitarie, pare ragionevole al Collegio dedurne, consonando con l’avviso espresso sul punto dalla, parte appellata, che il Legislatore Regionale, dopo che il Governo nazionale aveva riconosciuto la validità dei rilievi comunitari, abbia inteso, con la specifica norma del comma 3 dell’art. 30, della LR n. 35 del 2000, adeguarsi al regime comunitario mediante norma che concretamente prestasse ossequio all’obbligo di sottoporre a VIA tutti i progetti indicati nelle direttive 85/337 e 97/11, quanto meno dalla data di scadenza dell’obbligo di recepimento della seconda di dette direttive, e cioè dal 14 marzo 1999.

In sintesi, anche in virtù delle ulteriori ragioni sin qui espresse, il piano particolareggiato "Polo Boscone", siccome presentato il 29 novembre 2000, come dichiarato dalla stessa Società appellante, non poteva essere esentato dalla sottoposizione a specifica procedura di VIA, come ha invece illegittimamente disposto la delibera consiliare annullata dal primo Giudice.

8.2 – Con il secondo motivo di appello la Società afferma che lo stesso Giudice territoriale avrebbe ancora errato a ritenere procedibile il ricorso n. 353 del 2007 ed ammissibile il ricorso n. 377 del 2007 perche i soggetti presentatori (attuali appellati):

a)- quanto al primo gravame, avrebbero perduto, nelle more del giudizio, ogni interesse alla decisione dello stesso stante il fatto che, con delibera comunale di data anteriore al passaggio in decisione del gravame stesso (C.C. n. 7 del 28 marzo 2009), l’originario e provvisorio tracciato della bretella stradale della quale i sigg. Fontana si dolevano, per essere allocate le rispettive abitazioni nelle vicinanze di detto tracciato, è stato "…radicalmente modificato proprio per far fronte alle loro esigenze…", con spostamento della definitiva bretella da realizzarsi (e poi realizzata) "…a notevolissima distanza…" dalle predette abitazioni;

b)- quanto al secondo gravame, perché "…nessuno dei cittadini che lo hanno proposto abita nelle vicinanze dell’area interessata all’attività di cava…" trovandosi essa "…a distanza di svariati chilometri dalla più vicina abitazione…", come sarebbe dimostrato dalle planimetrie relative, sia al tracciato iniziale di piano, sia a quello definitivo approvato, entrambe depositate in atti;

c)- che, infine, entrambi i ricorsi sarebbero improcedibili anche sotto altro profilo per non essere stati impugnati non solo atti presupposti essenziali e rilevanti, quale la direttiva regionale di cui alla delibera di G.R. n. 1238 del 15 luglio 2002, ma anche atti successivi alla delibera consiliare di approvazione del piano particolareggiato in questione, quale il sopraggiunto atto di autorizzazione all’esercizio della cava, atto invero autonomo perché concretamente conclusivo del complessivo procedimento di abilitazione della Società all’attività di estrazione.

Nessuna delle suddette eccezioni, già respinte dal Giudice di prima istanza, può essere condivisa.

Quanto alle prime due, è sufficiente ribadire, in consonanza con la decisione sul punto emessa dal primo Giudice e sulla base di un avviso giurisprudenziale ormai consolidato, che legittimati alla contestazione giurisdizionale degli atti autorizzatori della coltivazione di una cava debbono ritenersi tutti coloro che abitano o siano proprietari di immobili nella zona nella quale trovasi la cava, essendo motivo sufficiente a legittimarli, non soltanto l’incidenza negativa sugli interessi economici di ciascuno di essi conseguente all’attività estrattiva esercitata, ma anche l’interesse al corretto insediamento dell’impianto e di tutte le attività collaterali nel territorio e nell’ambiente.

Orbene, nella specie le affermazioni della Società, così come riproposte anche in questa sede di appello, sono resistite, da un lato, dalla documentazione, anche peritale, esibita in primo grado dagli attuali appellati con riguardo al profilo delle "escavazioni" ed alle conseguenze idrogeologiche sull’area; dall’altro, per ciò che concerne la nuova viabilità che il TAR non avrebbe adeguatamente considerato, dal rilievo che lo spostamento del tracciato non è tale, a parere del Collegio, da rendere gli appellati non interessati anche dalla nuova struttura che, peraltro, attesa la sua maggiore lunghezza, incide ancor più in termini ambientali, paesaggistici e di tutela dall’inquinamento sulle posizioni di ciascuno degli appellati.

Tutto ciò in disparte il rilievo che la modifica del tracciato stradale in questione costituisce soltanto una parte dell’intervento previsto dal piano particolareggiato contestato per cui, in teoria, avrebbe potuto incidere soltanto parzialmente sull’interesse dei ricorrenti.

Quanto all’eccezione sub c), è agevole rilevare:

– che la direttiva regionale invocata dall’appellante, siccome atto di mera interpretazione non vincolante, alla luce delle considerazioni espresse dal Collegio nei capi di motivazione che precedono, non costituisce presupposto necessario della delibera consiliare impugnata in primo grado e che, in ogni caso, la stessa direttiva, qualora ritenuta fonte normativa secondaria, è autonomamente disapplicabile per contrasto con l’ordinamento comunitario, sempre in ragione delle ragioni già espresse;

– che l’autorizzazione successivamente rilasciata alla Società per l’avvio dell’attività estrattiva è atto, con tutta evidenza, consequenziale al piano particolareggiato di iniziativa privata in questione che segue la sorte riservata a quest’ultimo, presupposto necessario e determinante del primo.

Consegue che anche sotto i profili esaminati merita conferma la sentenza impugnata.

8.3 – Con l’ultimo dei motivi di impugnazione l’appellante ritiene che il Giudice di prime cure avrebbe errato, non solo a non rilevare la piena autonomia del terzo ricorso da essa proposto per l’annullamento del provvedimento comunale di rettifica in pejus dell’autorizzazione all’utilizzo della bretella stradale, nelle more della conclusione dei lavori, ma anche ad applicare la specifica disposizione convenzionale relativa a tale utilizzazione, come ricavabile dal testo dell’art. 8 di tale convenzione e dal contenuto dell’originaria autorizzazione rilasciata. In breve, sarebbe la fondatezza dei motivi d’appello rivolti contro la decisione di accoglimento dei due ricorsi proposti dagli attuali appellati che dimostrerebbe l’erroneità della pronunzia di improcedibilità del (proprio) ricorso di primo grado che, dunque, andrebbe accolto per i motivi di diritto articolati in quella sede e riproposti in questa sede.

Neppure tali ultime deduzioni meritano di essere condivise per l’evidente carenza di ogni interesse dell’appellante alla decisione delle questioni proposte avverso l’atto di rettifica dell’autorizzazione convenzionata dell’attività estrattiva, in quanto la conferma in questa sede dell’annullamento della presupposta delibera consiliare di approvazione del piano particolareggiato rende superflua ogni valutazione dell’atto di attuazione di esso piano, risultando detto atto attuativo e la presupposta autorizzazione comunque travolti dalla pronunzia del Giudice sul piano particolareggiato.

9. – L’infondatezza dell’appello principale, così come rilevata con i capi di motivazione che precedono, rende superfluo, infine, l’esame dell’appello incidentale proposto dagli appellati sigg. L.C., G.P., B.R., L.S.M., F.F., G.P.F., L.F., S.C., A.B. e F.F., avendo esso natura di mezzo processuale derivato dalle sorti di quello principale, come peraltro riconosciuto dagli stessi proponenti, per cui non può il Collegio non constatarne l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

10. – Quanto alle spese del presente grado di giudizio, l’onere delle spesse stesse va posto a carico della soccombente Società, in persona del suo legale rappresentante, nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dei principi ricavabili dall’art. 26 del c.p.a.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 4539 del 2010, come in epigrafe proposto, respinge l "appello.

Condanna la Società soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 (euro cinquemila e centesimi zero) in favore dei resistenti sigg. L.C., G.P., B.R., L.S.M., F.F., G.P.F., L.F., S.C., A.B. e F.F..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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