Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 02-02-2011) 25-02-2011, n. 7554 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 28-1-2004 il Tribunale di Massa dichiarava M. colpevole del reato di ricettazione e, ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 648 c.p., comma 2, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Con sentenza del 7-6-2005 la Corte di Appello di Genova, in riforma di tale decisione, appellata dal P.G., esclusa l’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, prevalente, insieme alle già concesse attenuanti generiche, rispetto alla contestata recidiva, condannava l’imputato alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Con sentenza in data 8-4-2009 la Corte di Cassazione annullava la sentenza di appello relativamente all’esclusione del capoverso dell’art. 648 c.p., rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.

Con la sentenza indicata in epigrafe il giudice del rinvio, ritenuta, per l’apprezzabile gravità del fatto nel suo complesso, l’ipotesi di cui all’art. 648 c.p., comma 1, con le già riconosciute attenuanti di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e art. 62 bis c.p., prevalenti sulla contestata recidiva, rideterminava la pena in anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Il M., per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, dolendosi con un primo motivo della mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonchè dell’erronea applicazione della legge penale, in relazione all’esclusione dell’ipotesi attenuata di cui al capoverso dell’art. 648 c.p.. Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata è sostanzialmente identica a quella della decisione precedentemente annullata, e che il giudice del rinvio ha omesso di valutare, come richiestogli dalla Corte di Cassazione, tutti gli aspetti della vicenda ex art. 133 c.p., di cui la personalità dell’imputato costituisce solo uno degli elementi da prendere in considerazione.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza ed illogicità della motivazione, nonchè l’erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. e art. 62 c.p., n. 4, in relazione della mancata applicazione della massima riduzione di pena per le concesse attenuanti. Sostiene che la mancata corretta riduzione di pena per le dette attenuanti ha comportato una reformatio in peius rispetto alla sentenza di appello precedentemente annullata.

Con lo stesso motivo il ricorrente eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato contestato, commesso il (OMISSIS).
Motivi della decisione

1) Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte di Cassazione, con sentenza in data 8-4-2009, nel l’annullare la precedente decisione emessa dalla Corte di Appello, nella parte in cui ha escluso il riconoscimento dell’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dal capoverso dell’art. 648 c.p., ha dato atto della contraddittorietà della motivazione, con la quale il valore dell’assegno ricettato è stato ritenuto nello stesso tempo "indeterminabile" ai fini dell’esclusione dell’attenuante in parola, e "di speciale tenuità" ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.

Nella stessa sentenza, il giudice di legittimità ha richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza, secondo cui, in tema di ricettazione, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è compatibile con la forma attenuata del delitto nel solo caso in cui la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto (Cass. Sez. 2, 16-10-2007 n. 43046); mentre l’esclusione di tale unica specifica circostanza ai fini dell’applicazione della disciplina del capo verso dell’art. 648 c.p. esclude che possa essere concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.

Il giudice del rinvio, nel rivalutare la vicenda, ha ritenuto anch’esso di dover escludere la sussistenza dell’ipotesi attenuata di cui al capoverso dell’art. 648 c.p.. A tali conclusioni esso è pervenuto ponendo in risalto le circostanze, inerenti alle modalità della condotta (l’assegno ricettato è stato consegnato dal M. a titolo di cauzione per un contratto di locazione, con l’evidente intento di realizzare un ulteriore reato ai danni della controparte, per il quale non si è proceduto) ed alla negativa personalità dell’imputato (desunta dai suoi reiterati precedenti penali) che, nonostante l’obiettiva non rilevanza del valore della cosa ricettata, impediscono di considerare il fatto, nel suo complesso, di particolare tenuità. Il tutto in linea con i criteri direttivi impartiti nella sentenza di annullamento e col più generale principio enunciato dalla giurisprudenza, secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’ipotesi di particolare tenuità prevista dall’art. 648 cpv. c.p., non ci si può riferire esclusivamente al valore della cosa ricettata, ma si deve aver riguardo a tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto, complessivamente considerato; sicchè fra gli elementi da prendere in considerazione ai fini dell’ipotesi in discorso vanno compresi tutti quelli previsti dall’art. 133 c.p. e, quindi, anche la capacità a delinquere dell’agente (Cass. Sez. 2, 8-1-2009 n. 3188; Sez. 2, 29-10-90/10-6- 1991 n. 6292, S.U. 26-4-1989 n. 13330; Sez. 2, 8-1-1988 n. 590).

Ne consegue che costituisce motivazione corretta sul piano logico e giuridico quella con cui, nell’ambito di una valutazione globale della vicenda, si neghi l’applicazione dell’attenuante in parola in ragione delle modalità dell’azione e dei plurimi precedenti penali dell’imputato.

2) Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La determinazione della riduzione della pena conseguente alla concessione di una o più attenuanti costituisce espressione del potere discrezionale del giudice di merito, il quale non ha l’obbligo di spiegare espressamente le ragioni per le quali ha ridotto la pena in una misura inferiore a quella massima, allorchè, come nel caso di specie, dalla motivazione resa possa desumersi che è stata applicata la diminuzione ritenuta congrua in rapporto all’obiettiva gravità del fatto.

Non meritano migliore fortuna le deduzioni svolte dal ricorrente per sostenere la violazione, da parte del giudice del rinvio, del divieto di reformatio in peius.

E’ vero che, secondo la giurisprudenza richiamata nel ricorso, il divieto di "reformatio in peius" previsto dall’art. 597 c.p.p. si applica anche al giudizio di rinvio, determinato dall’annullamento di una prima sentenza d’appello di accoglimento del ricorso dell’imputato; e che in tal caso, per accertare se vi sia stata la denunciata violazione, non deve aversi riguardo alla pena inflitta dal giudice di primo grado, ma a quella irrogata con la sentenza di appello annullata con rinvio, se la stessa risulti inferiore a quella inflitta in primo grado, pur non essendo mutati i singoli elementi (reati e circostanze dichiarate equivalenti) che hanno concorso a determinarla (Cass. Sez. 5, 9-7-1996 n. 483).

Tale principio, tuttavia, non si addice al caso in esame, in cui l’accoglimento dell’appello del P.M. ha portato, con la sentenza poi annullata dalla Corte di Cassazione, ad un aggravamento di pena rispetto a quella inflitta in primo grado. In ogni caso, nella specie non vi è stata alcuna reformatio in peius rispetto alla precedente sentenza di appello, avendo il giudice del rinvio applicato l’identica pena, previo riconoscimento delle medesime attenuanti, prevalenti rispetto alla contestata recidiva.

3) Del tutto priva di fondamento, infine, si palesa anche r eccezione di prescrizione, non essendo ancora maturato il termine di quindici anni stabilito, a norma del combinato disposto degli artt. 157, 158, 160 e 161 c.p. (nel testo, applicabile alla fattispecie, anteriore alla novella apportata dalla L. n. 251 del 2005), per la prescrizione del reato contestato.

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *