Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 02-02-2011) 25-02-2011, n. 7553 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza in data 30-1-2007, con la quale il GUP del Tribunale di Crotone, all’esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato A.D.F. colpevole del reato di concussione ascrittogli al capo K) della rubrica (limitatamente alla condotta di dazione della somma di L. 800.000), del reato di abuso d’ufficio di cui al capo G) e del reato di turbata libertà degli incanti di cui al capo M) e, riuniti tali reati sotto il vincolo della continuazione, lo ha condannato, con le attenuanti generiche e la riduzione per il rito, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili E.T.R. s.p.a. (per tutti i capi), F.C. e R.A. (per il reato sub K), da liquidarsi in separata sede, nonchè al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della parte civile An.Ra. (per il reato sub G), liquidato in Euro 4.500,00.

L’ A., per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo dieci motivi.

Con i primi quattro motivi, riferiti al reato di abuso di ufficio contestato al capo G), il ricorrente lamenta:

1) Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 323 c.p., in relazione agli artt. 357 e 358 c.p..

La Corte di Appello ha errato nell’attribuire all’ A. la qualifica di preposto alle vendite relative alle procedure immobiliari, che spettava invece a C.L., funzionario dell’ETR. Il ricorrente non aveva alcun ruolo in occasione dell’asta di cui trattasi, e conseguentemente non avrebbe potuto porre in essere alcuna attività escludente.

2) Violazione dell’art. 323 c.p. e mancanza di motivazione riguardo alla configurabilità del dolo intenzionale del reato di abuso di ufficio.

La Corte di Appello ha reso una motivazione meramente assertiva e apparente in ordine all’elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio, che ha desunto dall’asserita illegittimità della mancata partecipazione pubblica alla vendita e dal sospetto collegato ai rapporti personali tra il ricorrente e il genitore dell’aggiudicataria, senza porre in evidenza concreti elementi dimostrativi della proiezione psicologica del ricorrente. In particolare, il giudice di merito non ha tenuto conto del fatto che l’aggiudicataria era l’unica offerente che aveva depositato la domanda di partecipazione all’asta ed aveva versato il deposito cauzionale; il che esclude qualsiasi parzialità nella condotta del ricorrente. Allo stesso modo, nessun danno ingiusto è stato subito dai debitori esecutati, in quanto il bene è stato venduto secondo le procedure previste dal D.P.R. n. 602 del 1973, e l’immobile non avrebbe potuto che essere aggiudicato all’unica offerente allo stesso identico prezzo.

3) Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione al danno ingiusto richiesto dall’art. 323 c.p..

L’E.T.R. non aveva promosso alcuna procedura esecutiva in danno di An.Ra.. Il predetto, inoltre, non aveva presentato alcuna offerta per partecipare all’asta, come riconosciuto espressamente a pag. 14 della sentenza di primo grado, in cui si da atto che il deposito cauzionale per partecipare a quell’asta era stato versato dalla sola F.M.T.. Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, nessun danno ingiusto è stato cagionato ad An.Ra.. La sentenza impugnata risulta erronea e immotivata anche nella parte in cui ritiene che con la sua condotta l’ A. ha impedito la partecipazione alla vendita nei confronti dell’avv. T.M.; e ciò sia perchè la Corte di Appello ha attribuito a quest’ultimo, nonostante la mancanza di formale mandato difensionale, la veste di legale di altri componenti della famiglia An., sia perchè l’avv. T., non avendo formalizzato alcuna offerta di vendita, non aveva titolo per partecipare all’asta, riservata ai soli offerenti.

4) Violazione del principio di devoluzione previsto dall’art. 597 c.p.p., avendo il giudice di appello, in assenza di impugnazione del P.M., affermato la sussistenza del reato di abuso d’ufficio non solo nei confronti di An.Ra. (come ritenuto dal GUP), ma anche nei confronti dell’avv. T. e, per esso, degli altri componenti della famiglia An..

Con ulteriori tre motivi il ricorrente deduce, con riferimento al reato di concussione di cui al capo K:

5) Omessa verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa R.A., assunte come unica fonte di prova della dazione della somma di denaro. La Corte di Appello non ha risposto ai rilievi mossi con l’atto di appello, con i quali è stata evidenziata la palese contraddittorietà delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e il fatto che F.C., debitrice e madre del R., nonchè parte civile, ha negato di aver mai ricevuto richieste di denaro dall’ A. e non ha confermato l’avvenuta dazione di denaro a quest’ultimo da parte del figlio.

6) Erronea applicazione dell’art. 317 c.p. e 192 c.p.p. e difetto di motivazione in relazione ai rilievi mossi con l’atto di appello riguardo alla inattendibilità del R. e alla mancanza di riscontri circa le pressioni dallo stesso subite.

7) Erronea applicazione dell’art. 317 c.p., avendo la Corte di Appello omesso di valutare che nella specie difettano gli elementi costitutivi del delitto di concussione, data l’assenza di una volontà costrittiva ed induttiva e la conseguente carenza, in capo al privato, del metus publicae potestatis.

Con gli ultimi tre motivi il ricorrente denuncia, con riferimento al reato di turbata libertà degli incanti si cui al capo M):

8) Vizio di motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p., per omessa verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa F.G., assunte come unica fonte di prova.

9) Violazione degli artt. 443 e 603 c.p.p., non avendo la Corte di Appello disposto l’integrazione probatoria finalizzata all’escussione della teste S.F., consorte di F.G.. Tale escussione si rendeva necessaria, risultando dalle dichiarazioni di F.G. che la moglie si era recata più volte presso gli uffici dell’E.T.R. di Crotone ed essendosi lo stesso F. espresso, in sede di ricognizione di persona dinanzi al GUP; in termini di mera somiglianza e non di sicuro riconoscimento riguardo alle sembianze dell’ A..

10) Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 353 e 157 c.p., essendo il reato in esame (commesso il (OMISSIS)) già prescritto alla data della sentenza di appello.
Motivi della decisione

1) In relazione ai reati di abuso d’ufficio e di turbata libertà degli incanti ascritti all’imputato ai capi G) e M) della rubrica, commessi il primo tra il (OMISSIS) e il secondo il (OMISSIS), è maturato il termine di prescrizione, stabilito, a norma del combinato disposto degli artt. 157, 158, 160 e 161 c.p. (nel testo novellato dalla L. n. 251 del 2005, entrata in vigore prima della pronuncia della sentenza di primo grado e, pertanto, applicabile alla fattispecie in esame), in anni sette e mesi sei.

Di conseguenza, poichè dagli atti non si evince la prova evidente dell’insussistenza dei fatti, della loro irrilevanza penale o della non commissione dei medesimi da parte dell’imputato, in relazione a tali reati la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con eliminazione della relativa pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione, determinata nella sentenza di primo grado.

2) Come è noto, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., il giudice di appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni, sono tenuti a decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili.

Nel procedere, a tali limitati fini, all’esame dei motivi di ricorso relativi ai fatti contestati al capo G), sì osserva che le deduzioni svolte per negare che l’imputato abbia avuto un ruolo in occasione dell’asta di cui trattasi involgono il merito delle valutazioni espresse dalla Corte di Appello, la quale, con motivazione esente da palesi vizi logici, basata sulle dichiarazioni rese dal responsabile P.M., ha accertato che l’ A. era la persona che nell’ambito dell’ETR di Crotone, concessionaria del servizio di riscossione tributi, curava direttamente ed in prima persona le procedure immobiliari.

Le doglianze in esame, pertanto, sono inammissibili, esulando dai poteri attribuiti alla Corte di Cassazione quello di procedere ad una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza e attendibilità delle fonti di prova.

Le censure di omessa motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio sono infondate, avendo la Corte di Appello sufficientemente argomentato riguardo alla sussistenza del dolo intenzionale richiesto ai fini della integrazione della fattispecie criminosa in esame. Essa ha evidenziato, infatti, che le modalità della condotta tenuta nell’occasione dall’ A. non lasciano dubbi circa la consapevolezza dell’imputato di violare le regole preposte alla pubblicità degli incanti, per agevolare F. M.T., figlia di un suo intimo amico. Tale affermazione non può ritenersi meramente assertiva, avendo il giudice del gravame indicato gli elementi posti a base del proprio convincimento, ragionevolmente desunti da dati significativi quali la segretezza con cui il prevenuto ha condotto l’incanto e i rapporti di amicizia che legavano il medesimo al padre dell’aggiudicataria.

– Dalla ricostruzione in fatto della vicenda compiuta dai giudici di merito emerge che il prevenuto, violando il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 52 e successive modificazioni, che impone che gli incanti si svolgano pubblicamente, ha di fatto impedito al debitore esecutato An.Ra. di assistere all’asta, pur essendo consapevole della sua volontà in tal senso. Il tutto, come meglio puntualizzato nella sentenza di primo grado (la cui motivazione si integra e si salda con quella di appello), precludendo all’ An. la possibilità di verificare la regolarità della procedura e di avvalersi, se del caso, della facoltà, prevista dal citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 61, di estinguere la procedura "in qualunque momento anteriore alla vendita" – e quindi anche in sede di incanto-, mediante pagamento della somma portata dal ruolo; il che avrebbe comportato l’obbligo da parte dell’ufficiale di riscossione di sospendere la vendita.

Ciò posto, si osserva che, mentre non può essere riposto in discussione in questa sede l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di Appello circa la qualifica di debitore esecutato spettante ad An.Ra., si palesano prive di pregio le deduzioni svolte per sostenere l’insussistenza di un danno ingiusto. Non par dubbio, infatti, che l’imputato, nell’impedire dolosamente all’ An. di accedere nei locali in cui era in corso l’asta pubblica, onde evitare qualsiasi ostacolo alla vendita dei beni in favore della F., ha arrecato al medesimo quanto meno un ingiusto turbamento psichico e, quindi, quel danno morale ritenuto concretamente risarcibile dal Tribunale, a nulla rilevando, in contrario, che non vi fossero altri offerenti oltre la F..

– Gli ulteriori rilievi svolti dalla Corte di Appello circa la sussistenza del reato di abuso d’ufficio anche nei confronti dell’avv. T. e degli altri componenti della famiglia An. nulla aggiungono ai fini del perfezionamento di una fattispecie criminosa comunque realizzatasi in danno di An.Ra. e non assumono, pertanto, rilievo in relazione alle statuizioni civili adottate nei confronti di quest’ultimo. E’ evidente, comunque, che nel giudizio civile diretto alla quantificazione dei danni subiti dall’ETR non potrà tenersi conto dell’ulteriore frazione di illecito penale accertata dal giudice di appello rispetto a quella ritenuta nella sentenza di primo grado, non impugnata dalla predetta parte civile.

3) Con riferimento al reato contestato al capo M), si osserva che le contestazioni mosse riguardo all’attendibilità della persona offesa F.G. attengono al merito delle valutazioni espresse al riguardo dalla Corte di Appello e sono, pertanto, inammissibili.

– Del pari inammissibili sono le deduzioni svolte in ordine alla mancata ammissione dell’integrazione probatoria sollecitata dalla difesa, finalizzata all’escussione della teste S.F., consorte di F.G..

Giova rammentare che, in tema di giudizio abbreviato non condizionato, la mera sollecitazione del potere integrativo istruttorio attribuito al giudice non è idoneo a far sorgere in capo all’imputato il diritto alla prova alla cui acquisizione il medesimo ha rinunciato per effetto della scelta del rito alternativo. Ne consegue che il mancato esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri d’ufficio sollecitati possa non può tradursi in un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione (Cass. Sez. 6, 16-10- 2008/20-2-2009 n. 7485; Sez. 5, 7-12-2005/6-2-2006 n. 5931).

Per le ragioni esposte, non è censurabile in questa sede la decisione della Corte di Appello di non disporre la rinnovazione dibattimentale sollecitata dall’imputato; decisione che è stata correttamente motivata in ragione della ritenuta superfluità dell’audizione della teste indicata, non avendo la stessa assistito ai fatti per cui si procede.

4) Passando all’esame dei motivi di ricorso attinenti al reato di concussione contestato al capo K), per il quale non è maturato il termine di prescrizione, si osserva che la Corte di Appello, nel fondare l’affermazione di responsabilità del prevenuto sulle dichiarazioni di R.A. (il quale ha riferito di aver personalmente consegnato all’ A., per conto della madre F.C., la somma di 800.000 L. indebitamente richiesta dal pubblico ufficiale con la promessa di bloccare la vendita dell’immobile), ha fornito adeguata risposta ai rilievi mossi dall’appellante, dando atto della piena convergenza di tali dichiarazioni con quelle della madre F.C. e della sorella P., e della insussistenza delle asserite "sbavature" nel racconto delle persone offese, rivelatesi pienamente concordi nel riferire l’episodio attribuito all’imputato.

Le valutazioni espresse al riguardo si sottraggono al sindacato di legittimità, essendo sorrette da una motivazione non manifestamente illogica e costituendo espressione di un apprezzamento in fatto riservato ai giudici di merito. Ne consegue l’inammissibilità delle censure mosse col quinto e sesto motivo di ricorso, con le quali, attraverso la formale denuncia di violazione di legge di vizi di motivazione, si vorrebbe ottenere da questa Corte una non consentita incursione nel merito della vicenda e un diverso giudizio circa l’affidabilità delle fonti di prova poste a base della decisione impugnata.

– Le doglianze mosse col settimo motivo di ricorso sono formulate in termini generici e sono, comunque, manifestamente infondate.

Dalla ricostruzione in fatto della vicenda compiuta nelle sentenze di merito si evince che, nel corso della procedura esecutiva in atto nei confronti di F.C., l’ A. ha indotto quest’ultima a versargli la somma di 800.000 L., in cambio della promessa di attivarsi per bloccare la vendita del suo immobile.

In tale condotta i giudici territoriali hanno correttamente ravvisato gli estremi del reato di concussione per induzione, avendo accertato che la volontà della F. non si è formata liberamente, ma si è determinata sotto l’influenza del metus publicae potestatis. Come è stato meglio spiegato nella sentenza di primo grado, infatti, la donna, pur intuendo le reali intenzioni dell’ A. (il quale aveva fraudolentemente prospettato che la somma richiesta era necessaria per la procedura), si è piegata alle indebite pretese del pubblico ufficiale per evitare un danno gravissimo quale la perdita della casa, che l’avrebbe costretta a vivere senza un tetto.

5) Dovendo, per le ragioni esposte, trovare integrale conferma le statuizioni civili adottate dai giudici di merito, il ricorrente va condannato a rimborsare alle parti civili Equitalia-ETR s.p.a., R.A. e F.C. le spese di questo grado, che si liquidano per ciascuna di esse in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA. Le spese liquidate in favore del R. e della F., ammessi al gratuito patrocinio, vanno distratte in favore dello Stato.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui alle imputazioni G) e M) perchè estinti per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare alle parti civili Equitalia-ETR s.p.a., R.A. e F.C. le spese di questo grado, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 per ciascuna di esse, oltre spese generali, IVA e CPA. Dispone che le spese liquidate in favore del R. e della F., ammessi al gratuito patrocinio, vengano distratte in favore dello Stato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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