Cons. Stato Sez. IV, Sent., 24-02-2011, n. 1222 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Nel 1982 veniva approvato il Piano Regolatore del Comune di Landriano recante per alcune aree ed immobili ricadenti nella frazione Pairana la previsione di "Zona degli insediamenti di interesse storicoambientale. Zona di recupero", con l’inserimento in detto azzonamento del comparto 1 includente il c.d. Castello, costruzione risalente al XV secolo, sita, appunto in detta frazione.

Successivamente veniva approvato, con deliberazione consiliare del 20 febbraio 1987 in relazione a dette previsioni, un Piano di Recupero ad iniziativa privata che prevedeva per il comparto 1 la ristrutturazione e il restauro

Una parte dell’azzonato comparto era poi acquistato dalla Società R.D.P. s.r.l., che presentava una richiesta di variante planovolumetrica al Piano di Recupero e alla stessa venivano rilasciate, in ragione della detta richiesta di variante, le concessioni edilizie nn.5/94 e 13/94 aventi ad oggetto la demolizione degli immobili preesistenti e la realizzazione di due corpi di fabbrica costituiti complessivamente da cinque edifici di quattro piani fuori terra, adibiti a civile abitazione e negozi, con il previsto versamento al Comune dei relativi oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.

La Società R.D.P. veniva dichiarata fallita una prima volta con sentenza del Tribunale di Milano n.589 del 19 giugno 1997 per poi, a seguito di rinnovo di tale procedura, nuovamente essere dichiarata fallita con sentenza n.458/2002 del medesimo Tribunale.

Intanto il Comune di Landriano con deliberazione consiliare n.45 del 28/7/1997 adottava il nuovo PRG comunale e in revisione del precedente strumento riclassificava l’area in parte come zona di espansione C1 e, in parte, come zona a verde attrezzato.

La Regione Lombardia in sede di approvazione del piano (DPGR 15/10/1999) disponeva una modifica d’ufficio con cui rilevava come gli edifici di valore storico ambientali in zona classificata come C1 erano stati completamente demoliti e invitava perciò il Comune qualora volesse regolarizzare tale situazione urbanistica a predisporre un’apposita variante finalizzata al recupero urbanistico degli eventuali insediamenti abusivi.

L’Amministrazione comunale, inseriva, così l’area nel Documento di Inquadramento per la programmazione integrata, cui faceva seguito con le deliberazioni consiliari n.18/2003 e 36 /2003 l’adozione e l’approvazione di una variante parziale al PRG che prevedeva per l’area in questione (oltreché per gli immobili ivi situati) la classificazione di "zona soggetta a Piani di Recupero Speciale (PRs1)" riguardante aree edificate, degradate in specifiche condizioni urbanistiche, da recuperare attraverso Piani di recupero speciale.

Avverso tale nuova classificazione urbanistica non veniva presentata, per il comparto PRs1 alcuna osservazione e con deliberazione consiliare del 1 luglio 2003 n.36 interveniva l’approvazione definitiva della variante parziale al PRG "da zona C1 stralcio a zona soggetta a piano di recupero speciale- Prs in Pairana".

Tanto premesso, si espone poi nell’atto di appello che solo in data 22/1/2004 il curatore del Fallimento R.D.P. veniva a conoscenza – a seguito di una nota del legale del Comune di Landriano – dell’avvenuta approvazione del nuovo PRG e della sua variante e che, del pari a seguito dell’inoltro di tale nota alla Servizi Immobiliari Banche -SIB spa quale procuratrice speciale della Società I.C.R., solo in data 9/2/2004 la Società ricorrente ha preso cognizione del contenuto della variante di cui sopra.

2. Col ricorso di primo grado n. 1937 del 2004, la Servizi Immobiliari Banche – SIB ha impugnato innanzi al TAR per la Lombardia le deliberazioni del Consiglio Comunale di Landriano n.18/2003 e n.36/03 recanti l’adozione approvazione della variante parziale al PRG, deducendone la illegittimità sotto vari profili.

L’adito TAR, con la sentenza n.1473 del 22 aprile 2004, resa in forma semplificata, ha accolto l’eccezione dell’Amministrazione ed ha dichiarato il ricorso inammissibile, in ragione della rilevata tardività dell’impugnativa proposta avverso la variante urbanistica.

3. La Società interessata ha proposto appello detta sentenza, ritenendola errata ed ingiusta.

In particolare, a sostegno del proposto gravame, l’appellante ha contestato la pronuncia di inammissibilità del ricorso di primo grado ed ha riproposto le seguenti censure formulate in primo grado:

– violazione ed errata interpretazione dell’art.4 legge n.10/7;

– eccesso di potere sotto il profilo della mancanza di motivazione specifica (prospettato in subordine rispetto al primo motivo) nelle delibere di approvazione della variante;

– eccesso di potere per carenza di motivazione sul mancato recepimento delle precise indicazioni regionali, contraddittorietà nelle volontà comunali, equivocità della motivazione: mancanza di trasparenza nel comportamento dell’Amministrazione comunale;

– eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento del potere, carenza di individuazione degli elementi costitutivi dell’offerta, che risulta forfettizzata e non dettagliata nelle componenti necessarie.

Si è costituito in giudizio il Comune di Landriano, che ha contestato la fondatezza del proposto gravame, chiedendone la reiezione.

All’udienza del 19 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Ritiene la Sezione che vada accolto il primo motivo d’appello, per il quale la sentenza impugnata ha erroneamente dichiarato tardivo il ricorso di primo grado.

Il TAR ha fondato la sua statuizione sul rilievo della mancata impugnazione della contestata variante urbanistica, rilevando che il dies a quo di decorrenza del relativo termine sarebbe coinciso con la data della sua pubblicazione nel BURL (avvenuta il 30 luglio 2003).

Come ha correttamente evidenziato l’atto di appello, tale statuizione non è condivisibile.

La sentenza gravata ha richiamato e fatto applicazione del principio più volte affermato da questo Consiglio, secondo cui l’atto di approvazione dello strumento urbanistico o di una sua variante, quando abbia contenuto generale e riguardi ampie zone del territorio comunale, possono essere impugnati nel termine di decadenza dalla data della loro pubblicazione (cfr Sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4823).

Tuttavia, questa regola però non può trovare applicazione nel caso in esame, in cui è stata impugnata una variante che ha ad oggetto la disciplina urbanisticoedilizia di un singolo bene.

Risulta pertanto pertinente il diverso principio giurisprudenziale, che il collegio condivide e fa proprio, secondo cui in tal caso il termine di impugnazione comincia a decorrere dalla data di notifica o in cui vi è stata la piena conoscenza dell’atto lesivo, ai sensi dell’art.21 della legge n.1034 del 1971 (ex multis, Cons Stato, Sez. VI, 5 agosto 2008, n.4159; idem 7 ottobre 2008, n. 2008).

Pertanto, il ricorso di primo grado risulta tempestivo, poiché proposto entro il termine di sessanta giorni, decorrente dal 9 febbraio 2004 (data in cui la società ha manifestato di avere avuto conoscenza dell’atto lesivo, senza essere smentita dalla Amministrazione intimata).

2. Quanto alle altre eccezioni di inammissibilità per difetto di legittimazione a ricorrere e difetto di interesse nonché di improcedibilità del gravame (sollevate anche in questa sede dal Comune appellato), ritiene il collegio che si può prescindere dal loro esame, poiché risultano infondati i motivi d’impugnazione dedotti in primo grado e qui riproposti.

3. Col primo motivo, l’appellante sostiene che la variante sarebbe stata assunta in ragione dell’avvenuta inoperatività del piano di recupero e dell’intervenuta decadenza delle concessioni edilizie rilasciate, mentre nella specie la sopravvenuta dichiarazione di fallimento avrebbe determinato l’interruzione degli effetti di tali atti e di ciò la variante impugnato avrebbe dovuto tener conto.

La tesi non merita positiva considerazione.

L’adozione della variante parziale per cui è causa costituisce, nell’ambito di una scelta discrezionale riconosciuta all’Ente locale dall’ordinamento, una autonoma determinazione di disciplinare le aree in questione con destinazioni edilizie ritenute più confacenti all’assetto urbanistico del territorio comunale, collegandosi, in particolare alla prescrizione posta dalla Regione in sede di approvazione della variante di revisione e senza che vi sia connessione alcuna con la scadenza del piano attuativo o la decadenza delle precedenti concessioni edilizie.

Il nuovo atto di pianificazione ha acquistato efficacia indipendentemente dalla sorte del piano attuativo in precedenza adottato per l’area e delle concessioni edilizie, poi decadute, sicché si può ritenere che tali circostanze siano state del tutto irrilevanti e comunque inidonee ad incidere sulle sopravvenute scelte urbanistiche.

Inoltre, ad avviso del collegio, la dichiarazione di fallimento della Società R.D.P. non ha in alcun modo inciso sulla avvenuta decadenza delle concessioni edilizie nn. 5/94 e 13/94, sopravvenuta nel 1997: in assenza di una tempestiva istanza di proroga della efficacia dei titoli, il Comune non poteva che constatare tale decadenza.

4. Col secondo motivo, si lamenta la mancanza di una motivazione specifica che giustifichi la nuova destinazione impressa all’area con la variante, poiché l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto dei pregressi affidamenti del privato, costituiti dal piano di recupero e dalle concessioni edilizie.

I dedotti profili di illegittimità non sussistono.

Per consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale non v’è motivo di discostarsi, in linea di principio le scelte effettuate in sede di strumento urbanistico costituiscono espressione di ampi poteri discrezionali e come tali sono insindacabili se non per errori di fatto, irrazionalità, abnormità o altri profili di eccesso di potere (Cons. Stato, Sez. IV, 6 febbraio 2002, n.664; idem 27 luglio 2010, n. 4920): in ragione di tale discrezionalità l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione delle scelte operate se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione dello strumento (cfr Sez. IV, 10 agosto 2004, n. 4550).

Quanto ai profili attinenti alla adeguatezza della motivazione, concernente la destinazione delle singole aree (come nella fattispecie), un particolare onere di motivazione senz’altro sussiste nel casi più volte evidenziati dalla giurisprudenza, e in particolare quando si vada ad incidere su posizioni giuridicamente differenziate (Sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 2418).

Nella specie, però, una tale posizione non può essere ravvisata, e nemmeno una situazione di consolidato affidamento, attesa la verificatasi e accertata non attuazione del piano di recupero di iniziativa privata sin dal 1986 e la sopravvenuta decadenza delle connessioni edilizie rilasciate nel 1994.

Sotto tale profilo, rileva il principio per il quale una precedente destinazione di un’area non comporta le siano definitive ed immodificabili le relative posizioni, spettando per legge alle autorità urbanistiche il potere di mutare le relative previsioni (Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 50).

Peraltro, dall’esame della documentazione acquisita si evince che in realtà l’Amministrazione ha esplicitato le ragioni di interesse pubblico poste a base della variante.

Infatti, risulta che l’Amministrazione ha tenuto conto dell’esigenza di apprestare – per l’area ormai contrassegnata da uno stato di abbandono e di degrado – un’opera di risanamento e di recupero dell’ambito territoriale: tale finalità, espressamente palesata, costituisce una sufficiente motivazione del disposto mutamento della destinazione.

5. Col terzo motivo di gravame, l’appellante adombra una contraddittorietà nel procedimento culminato con l’impugnata variante.

La censura va disattesa, non riscontrandosi nella specie i presupposti per la configurabilità di tale sintomatica figura dell’eccesso di potere, atteso che, in particolare, non risulta alcun contrasto tra le scelte assunte dall’Amministrazione con l’impugnata variante e un precedente provvedimento di segno diverso, poiché le controdeduzioni espresse dal Comune – in relazione alle proposte regionali di modifica del regime urbanistico dell’area – hanno riguardato unicamente un momento iniziale di un confronto dialettico intercorso tra il Comune e la Regione, del tutto assorbito dalle successive, finali determinazioni recate, in conformità a quanto suggerito dalla Regione, del contestato atto di pianificazione.

6. Col quarto ed ultimo motivo, l’appellante deduce "la non chiara configurazione dell’interesse pubblico" nell’azione amministrativa del Comune, che avrebbe inteso in realtà acquistare l’area nel proprio interesse.

Ritiene il collegio che tale censura non è supportata da specifici mezzi di prova e non risulta dalla documentazione acquisita, sicché risulta una deduzione meramente ipotetica, inidonea ad inficiare la validità degli atti emessi dall’Amministrazione comunale.

7. Conclusivamente, il primo motivo d’appello va accolto, sicché l’impugnata sentenza va riformata nella parte in cui ha erroneamente dichiarato tardivo il ricorso di primo grado, mentre l’appello per il resto va respinto, in ragione della infondatezza delle censure dedotte in primo grado e qui riproposte.

Le spese e competenze del doppio grado del giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando, così dispone:

a) accoglie in parte l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, lo dichiara ricevibile;

b) rigetta per il resto l’appello stesso e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado n. 1937 del 2004.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e competenze del doppio grado del giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila) oltre IVA e CPA, in favore del Comune di Landriano.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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