Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-04-2011, n. 8769 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto del 30 maggio – 2 luglio 2007 la Corte d’Appello di Napoli rigettava la domanda di equa riparazione proposta da A. M.F. per la non ragionevole durata del processo da lei promosso dinanzi al Tribunale di Salerno con citazione del 14 marzo 1990 e tuttora pendente in grado di appello con richiesta di Euro 24.000,00, pari ad Euro 1.500,00 per ogni anno di durata del processo. Osservava la Corte che la ricorrente era incorsa nella decadenza per mancata osservanza del termine semestrale dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva del 16 aprile 1994 che accertava il diritto dell’attrice al risarcimento del danno per la perdita dell’alloggio di edilizia popolare erroneamente assegnato a terzi. La pronuncia era stata annullata in appello con sentenza in data 11 maggio 1998 che rinviava la causa al primo giudice per vizio di notifica nei confronti di uno dei convenuti; la pronuncia era stata poi confermata dalla corte di cassazione con sentenza del 13 dicembre 1999, n. 134941; il giudizio era stato quindi riassunto dinanzi al primo giudice che aveva rigettato la domanda con sentenza del 17 febbraio 2003, e il giudizio di appello era tuttora pendente alla data del ricorso introduttivo del giudizio di equa riparazione.

Riteneva pertanto che ai fini della domanda di equa riparazione poteva tenersi conto solo del processo introdotto a seguito di riassunzione dinanzi al primo giudice il quale aveva avuto una durata del tutto ragionevole e ciò escludeva ogni riconoscimento del diritto all’equa riparazione in favore della A..

Contro il decreto ricorre per cassazione A.M.F. con tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Motivi della decisione

Con i tre motivi di ricorso, che per la loro stretta connessione sono suscettibili di valutazione unitaria, la ricorrente si duole della scissione operata dal decreto impugnato che avrebbe valutato separatamente la fase conclusa con la sentenza di cassazione e la fase seguita alla riassunzione del processo.

La censura è fondata anche se non può comportare l’accoglimento integrale della prospettazione di parte ricorrente la quale si duole del fatto che il processo di primo grado, per effetto della continuazione dinanzi al giudice di rinvio, sia durato tredici anni.

Va infatti considerato che il processo riassunto dinanzi al giudice di rinvio costituisce prosecuzione del processo originario sia nel caso in cui il rinvio venga disposto ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, dal giudice di legittimità, sia nel caso che esso sia stato disposto -come nella specie – ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, dal giudice di appello con sentenza confermata dalla corte di cassazione: ne deriva che i giudizi di secondo e terzo grado non possono considerarsi una mera fase incidentale del giudizio di primo grado che continua a seguito della riassunzione poichè il giudicato formatosi sulla questione processuale relativa alla necessità della rinnovazione della notificazione della citazione introduttiva del giudizio non esaurisce la materia del contendere che si conclude nel merito solo a seguito della definizione del processo riassunto. Nè vale al riguardo il richiamo ai giudizi di opposizione che si inseriscono nel corso del processo di esecuzione forzata poichè essi non costituiscono espressione dell’ordinaria evoluzione della procedura esecutiva ma segnano una pausa nel corso del processo esecutivo che poi continua, cessata l’eventuale sospensione, sino alla distribuzione della somma ricavata.

Nella specie, quindi, premesso che il diritto all’equa riparazione viene riconosciuto solo per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, occorre tener conto del fatto che alla cassazione della sentenza non definitiva sono seguite altre due fasi di primo e di secondo grado che rientrano nel fisiologico andamento del processo.

E pertanto dalla durata di diciassette anni occorre detrarre tre anni per il processo di primo grado, due per quello di appello, uno per quello di cassazione e di nuovo altri tre anni per il giudizio riassunto dianzi al giudice di primo grado e due anni per l’appello contro la sentenza conclusiva del giudizio riassunto, per complessivi undici anni: ne consegue che l’eccedenza rispetto alla ragionevole durata del processo presupposto risulta di soli sei anni per i quali può essere riconosciuto un’equa riparazione in misura di Euro 5.250,00, corrispondenti ad Euro 750,00 per i primi tre anni ed 1.000,00 per gli anni successivi.

In conclusione il ricorso merita accoglimento nei limiti innanzi specificate, e, conseguentemente il ricorso impugnato dev’essere cassato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto può procedersi alla pronunzia nel merito con la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 5.200,00, con gli interessi dalla domanda.

Le spese giudiziali del doppio grado seguono la soccombenza e, in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda, restano compensate nella misura della metà.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, pronunziando nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 5.250,00 in favore della ricorrente con gli interessi dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado che, previa compensazione per la metà, liquida per la restante metà in complessivi Euro 570,00, dei cui Euro 300,00 per diritti ed Euro 245,00 per onorari per il giudizio di merito e in ulteriori complessivi Euro 500,00, di cui Euro 450,00 per onorari, per il giudizio di cassazione.

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