Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-04-2011, n. 8768 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Gemi s.r.l. e la Italmeat s. r. l proponevano, in data 1 agosto 2005, reclamo L. Fall., ex art 26 innanzi al Tribunale di Roma, avente ad oggetto l’annullamento dell’ordinanza, emessa, in data 21 giugno 2005 dal giudice delegato al fallimento della Vicar Sud Industria carni Alimentari srl, con la quale era stata fissata per il giorno 19 ottobre 2005 la vendita all’incanto in due lotti separati delle aziende di proprietà del fallimento, inclusi gli immobili in cui le stesse erano ubicate entrambi in (OMISSIS), sostenendo che una parte dei beni inclusi nel lotto n. 2 era di loro proprietà.

All’udienza del 5 ottobre 2005, il curatore del fallimento della Vicar Sud s. r. l., chiedeva il rigetto del reclamo eccependo, da un lato, la carenza di legittimazione attiva della Italmeat srl non più proprietaria dei beni dei quali era stata chiesta l’esclusione dall’ordinanza di vendita per essere di proprietà esclusiva della Gemi s. r. l. secondo la tesi della stessa Gemi, e, dall’altro, evidenziando l’infondatezza, nel merito, del reclamo proposto in ragione della transazione conclusa il 10 luglio 2003 dalle società reclamanti con gli organi della procedura nella quale le reclamanti avevano rinunciato ad ogni loro diritto sui predetti beni; Il Tribunale rigettava il reclamo.

Avverso il detto provvedimento ricorrono per cassazione la Gemi srl e la Italmeat srl sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso il fallimento.
Motivi della decisione

Le società ricorrenti assumono con il primo motivo che i beni oggetto di contestazione non sono mai stati inventariati o comunque acquisiti al fallimento secondo le modalità previste dalla legge.

Con il secondo motivo contestano la correttezza della interpretazione della transazione fornita dal giudice di merito poichè, non sussistendo controversia all’epoca sui beni per cui è causa, gli stessi non potevano rientrare nell’oggetto della transazione.

Con il terzo motivo deducono la violazione dell’art. 1346 perchè se si ritenesse una volontà più ampia delle parti nello stipulare la transazione, questa risulterebbe priva del requisito della determinabilità.

Con il quarto motivo assumono che la proprietà dei beni oggetto di controversia in capo alla Gemi srl risultava provata dalle fatture in atti successive alla transazione e che i beni stessi dovevano, pertanto, considerarsi delle addizioni di cui a ragione veniva reclamata la proprietà.

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di decisorietà e definitività.

La stessa è infondata.

Va infatti rammentato che perchè il decreto del tribunale fallimentare reso in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di autorizzazione alla vendita abbia carattere decisorio e sia suscettibile di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., occorre che esso provveda su contestazioni in ordine alla legittimità di provvedimenti del giudice delegato incidenti su diritti soggettivi di natura sostanziale, e non meramente processuale, connessi alla regolarità procedurale della liquidazione dell’attivo. (Cass. 1258/01 v. anche Cass 2070/66).

Nel caso di specie non è dubbio che il ricorso,vertendo sull’accertamento di diritti di proprietà che sarebbero ostativi alla vendita, investe questioni di diritto soggettivo ed è pertanto proponibile in questa sede di legittimità.

Sempre in via preliminare va invece accolta l’eccezione di carenza di legittimazione attiva della Italmeat srl.

Risulta, infatti dallo stesso ricorso che la Italeat srl aveva a suo tempo venduto i beni acquistati all’esecuzione immobiliare e che il provvedimento oggetto di impugnazione incide sul diritto di proprietà della Gemi srl senza alcun riferimento alla Italmeat.

Il ricorso di quest’ultima va pertanto dichiarato inammissibile in quanto priva di legittimazione attiva.

Ciò posto, il primo motivo del ricorso è inammissibile sotto diversi profili.

Anzitutto lo stesso non censura la rado decidendi posta a base della sentenza secondo cui, per effetto della transazione intervenuta il 10.7.03, essi ricorrenti avevano "espressamente riconosciuto l’inopponibilità al fallimento dei contratti in virtù del quali detenevano l’aziendale gli immobili della fallita, l’assenza di qualsivoglia titolo al loro godimento, la proprietà e il pieno diritto del fallimento al rilascio dì tutti gli immobili e dell’azienda, compresi i beni mobili inventariati dalla curatela, rinunciando espressamente a qualsiasi diritto per le migliorie apportate tanto agli immobili e quanto all’azienda". Il motivo in esame non si sofferma criticamente su tale argomentazione ma pone la diversa questione della mancata inventariazione dei beni in contestazione e della loro mancata acquisizione da parte della massa;

questione assorbita e superata dalla motivazione della Corte d’appello in quanto l’accordo transattivo avrebbe inglobato in sè qualunque questione relativa alla opponibilità dei beni al fallimento ed alla loro individuazione.

Sotto altro profilo il motivo difetta di autosufficienza poichè lo stesso si fonda sulla asserzione che i beni di cui al lotto b) non erano stati inventariati dal fallimento, ma non vengono riportati nel ricorso gli atti dell’inventario da cui risulterebbe la detta esclusione nè sono forniti elementi per la loro individuazione negli atti del giudizio, impedendo così ogni verifica da parte della Corte in ordine a tale assunto. Il secondo motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha interpretato l’atto di transazione ritenendo che lo stesso includesse anche i beni di cui al lotto due, riportando a tal uopo nel provvedimento impugnato il testo della transazione e sottolineando che le reclamanti si impegnarono espressamente "rilasciare tutti i beni mobili e immobili da loro detenuti nella disponibilità del fallimento entro 15 giorni dalla richiesta di rilascio, anche verbale, della curatela, dichiarando di non aver alcun diritto at godimento degli immobili e dell’azienda del fallimento".

L’interpretazione del contratto appare del tutto corretta sotto il profilo logico giuridico e le censure che ricorrenti muovono a tale argomentazione, secondo cui i beni di cui al lotto due non sarebbero inclusi nella transazione, tendono in realtà a fornire inammissibilmente una diversa interpretazione del contratto. Il terzo motivo è anch’esso inammissibile.

Come in precedenza riportato, la transazione espressamente comprendeva tutti i beni mobili ed immobili detenuti dalle ricorrenti e quindi anche i beni di cui al lotto 2, il contratto inoltre faceva espresso riferimento all’azienda , che è da intendersi come quel complesso unitario di beni mobili ed immobili destinato alla produzione, e non può quindi in alcun modo sostenersi che il contenuto del contratto fosse indeterminato o indeterminabile. E’ appena il caso di aggiungere che, non avendo il decreto impugnato fatto cenno a tale questione, sarebbe stato onere della ricorrente riportare nel ricorso i brani del reclamo dove la questione veniva posta. In mancanza di ciò la censura deve ritenersi proposta per la prima volta in questa sede di legittimità e quindi inammissibile.

Stessa sorte compete al quarto motivo.

La ricorrente assume che i beni oggetto del lotto due sarebbero delle addizioni e non delle migliorie, ma tale assunto è basato su una mera enunciazione, non avendo le ricorrenti dedotto in quale fase del giudizio di merito avevano sostenuto un tale assunto nè avendo riportato nel ricorso gli elementi di fatto in base ai quali i beni in questione sarebbero delle addizioni e non delle migliorie, senza dire che, in ogni caso il già citato brano della transazione in cui si faceva espresso riferimento all’obbligo di "a rilasciare tutti i beni mobili e immobili da loro detenuti nella disponibilità del fallimento entro 15 giorni dalla richiesta di rilascio, anche verbale, della curatela, dichiarando di non aver alcun diritto at godimento degli immobili e dell’azienda del fallimento" non lascia alcun dubbio – come correttamente ritenuto dal giudice di merito -sul fatto che nessuna distinzione era stata fatta nella transazione in riferimento alle pretese addizioni. Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile. Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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