Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-01-2011) 25-02-2011, n. 7519 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza emessa il 20.8.2010, il Tribunale di Napoli, investito ex art. 309 c.p.p., confermava la misura cautelare della custodia in carcere emessa a carico di U.M., U. V., F.S. e G.A. per il reato di cui all’art. 416 bis, mentre la annullava in relazione ai primi tre per talune ipotesi di estorsione ai danni di imprenditori di (OMISSIS), confermandola solo per cinque degli episodi ascritti ai tre imputati, in qualità di mandanti. Il compendio probatorio faceva leva sulla dettagliata confessione resa da Z.G., classe (OMISSIS), – arrestato nella flagranza del reato di estorsione in danno degli imprenditori M. di (OMISSIS) -, che rappresentava di essere diventato associato di un gruppo criminoso capeggiato da U.M. – detto (OMISSIS) – e composto dal di lui fratello V. e da F.S., che contava sull’apporto significativo della madre dei due U., G. A., soggetti questi che ad eccezione della donna, il propalante assumeva di non aver mai conosciuto personalmente, ma solo tramite lettere. Infatti, a detta dello Z. egli era stato messo in contatto epistolare con gli U., entrambi detenuti nell’estate 2009, pel tramite dello zio, Z.B.e del cugino, suo omonimo, che gli era stata trasmessa la lista degli imprenditori di (OMISSIS) da sottoporre ad estorsione, pel tramite della madre degli U.. Aggiungeva che lo spazio di intervento su quel territorio si era presentato favorevole, a seguito dell’intervenuto arresto degli affiliati al clan Bidognetti ed in particolare di S.G., che ne avevano il controllo e che l’intesa nel gruppo criminale di nuova formazione, era nel senso che il ricavato dell’attività illecita sarebbe stato ripartito tra i cinque componenti il gruppo ( U.M., U.V., Fe.Vi., lui medesimo ed il cugino omonimo ). Ancora, venivano menzionati dallo Z. gli esercenti attività commerciali, per lo più di (OMISSIS), presso cui furono dirette le azioni estorsive, messe a segno da lui medesimo inizialmente coadiuvato – previo consenso accordato dagli U. – dagli amici P.R., G.C. e D. C.. Aggiungeva che sempre su disposizione di U. M., una parte dei proventi illeciti li aveva utilizzati per l’acquisto di armi e comprovava il suo dire indicando agli inquirenti i luoghi ove nella sua abitazione erano state occultate una pistola cal. 9, un fucile a canne mozze con caricatore ed un fucile automatico.

I contributi informativi forniti dal dichiarante venivano supportati dalle indicazioni della moglie dello Z., C.A., che non solo confermava di aver constatato che il marito avesse a disposizione armi che aveva occultato in casa, ma confermava che lo stesso era stato destinatario di lettere contenenti elencazione di soggetti da sottoporre ad estorsione, nonchè di missive inviate al marito da U.M., F.V. e dal cugino G. di stimolazione alla raccolta dei denari, alcune delle quali missive suo marito aveva ricevuto dalle mani di G. A., che ella poi aveva provveduto a distruggere, onde non appesantire la posizione del marito. Ancora, a confermare la realtà rappresentata, concorrevano le dichiarazioni del fratello dello ZI.Gi., sia in punto presenza di armi nell’abitazione di questi, che la fonte dichiarava di aver occultato dopo l’arresto del fratello e sia in punto presenza di due lettere provenienti dal cugino Z.G., nello zainetto contenente le armi che buttò via durante il viaggio di ritorno a (OMISSIS), ove lavorava e risiedeva.

Ancora, a supporto dell’accusa così delineatasi concorrevano le indicazione di altri coindagati in processi connessi, quali D. F. e V.A.: il primo confermava l’ingresso dello Z. nell’estate del 2009, nel controllo del territorio di (OMISSIS) per conto di U.M. ed in particolare assumeva di aver saputo che proprio lo Z. aveva infastidito C. G., pretendendo una tangente ed M.A. titolare di concessionaria auto, che già pagava al gruppo Bidognetti. Il V., dal canto suo, assumeva di aver saputo della nuova formazione criminosa che si era formata tra i due U., F. S., Z.G. e A.C., che subentrando al clan Bidognetti, cominciò a pretendere tangenti per conto di " (OMISSIS)" e di aver saputo dallo stesso F., nel corso di un colloquio in ambiente carcerario, che egli faceva parte di questo gruppo.

Sulla base di questo materiale, ritenuto integrare indizi gravi e concordanti, il Tribunale riteneva gli imputati facenti parte della consorteria mafiosa armata delineatasi alla luce delle propalazioni e tutti mandanti (ad eccezione della G.) dei singoli reati fine, commessi a danno di Ca.Gi., M.A., Ca.St., i fratelli D.T. e S.M..

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale confermava che si aveva riguardo a condotte non occasionali, che proiettavano una volontà di delinquere ad oltranza; gli imputati sono tutti gravati da pesanti precedenti penali, indicativi di personalità allarmanti, mentre la G. seppur priva di pregiudizi, aveva svolto un ruolo centrale nell’attività associativa che ne denotava tutta la sua pericolosità. Di conseguenza riteneva indispensabile la misura di massimo rigore 2. Avverso tale pronuncia, hanno proposto ricorso per Cassazione tutti gli indagati.

2.1. U.V. deduce erronea applicazione di norme di legge ed in particolare della art. 273 c.p.p., quanto all’individuazione dei gravi indizi e valutazione della chiamata in correità, nonchè violazione degli artt. 416 bis e 629 c.p., violazione ed erronea applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7, nonchè carenza ed illogicità della motivazione. Non ricorrerebbe un compendio di gravi indizi di colpevolezza, poichè Z.G. non sarebbe credibile e a sostegno la difesa riporta il dato che questi, dopo aver intrapreso la scelta collaborativa, ebbe ad inviare a G. C., una lettera con cui lo invitava a tacere su una vicenda criminale che lo riguardava. A parere della difesa, il Tribunale non poteva liquidare tale realtà come non significativa probatoriamente.

Così come non avrebbe dovuto sottovalutare che la lista dei personaggi da estorcere non sia stata trovata al G. a cui lo Z. disse di averti passato, al momento dell’arresto, che di questa lista ne abbia parlato pure la C. che disse invece di averla distrutta, che il V. sia stato smentito visto che risulta che mai sia stato in contatto con il detenuto U.V. nell’ora d’aria e che siano emersi motivi di rancore ad animare il V., verso U.V.. Sarebbero quindi presenti lacune motivazionali incolmabili ed innumerevoli illogicità nel precorso argomentativo sulla attendibilità della fonte che accusa soggetti con cui mai ebbe a relazionare di persona. I dati su cui poggia l’accusa sarebbero incerti e non idonei a fondare un giudizio di qualificata probabilità di sussistenza del sodalizio e del relativo inserimento dei soggetti in questione: al più sarebbe ravvisabile un accordo tra detenuti per la realizzazione di attività estorsive, che potessero garantire la sopravvivenza dei loro nuclei familiari, non già di un sodalizio criminoso di cui difettano, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, gli elementi costitutivi, non ricorrendo nè un programma, nè un vincolo stabile, nè una struttura organizzata. In particolare, U.V. era detenuto e su di lui la chiamata in correità non risulterebbe sorretta da riscontri individualizzanti, nè per quanto riguarda l’addebito di associazione, nè per gli addebiti estorsivi, visto che le indicazioni offerte dalla moglie dello Z., ovvero quelle offerte dal D., non sono frutto di conoscenza diretta, ma de relato del de relato. La stessa C. ammesso e concesso che abbia visto la lista con l’indicazione dei soggetti da estorcere, non può sapere chi ne sia stato l’autore. Infine, viene contestata la ritenuta aggravante, poichè non vi sarebbe riscontro dell’utilizzo di metodologia mafiosa, nè che le estorsioni abbiano avuto lo scopo di agevolare l’associazione camorristica promossa da U., atteso che mancherebbe la prova di quel quid pluris che è l’oggetti va finalizzazione dell’azione alla agevolazione della consorteria mafiosa.

2.2. U.M. e F.S., a mezzo di un solo difensore, deducono violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 416 bis c.p., art. 273 e 192 c.p.p..

Non sarebbero sussistenti i tratti distintivi del sodalizio criminoso ipotizzato, essendo carenti la trasposizione del progetto associativo nel contesto extracarcerario, poichè nel breve lasso di tempo (pochi mesi) in cui operò lo Z. nessuna azione intimidatoria venne posta in essere; mancando il metus, le parti offese non erano intimidite, senza contare che sul territorio operava contemporaneamente altro gruppo criminale, stabilmente inserito nel clan dei casalesi. Non sarebbe affidabile la fonte di prova su cui poggia la costruzione probatoria, atteso l’episodio della missiva inviata dallo Z. al G., con cui lo invitava ad accusare (OMISSIS) ed il fratello; anche lo scambio epistolare tra lo Z. e la moglie andava preso in seria considerazione, poichè costituì l’imbeccata offerta dal collaborante alla moglie per fungere da riscontro e vi è ragione di credere che altre lettere siano state inviate prima di quella del 10.9.2009. E’ vero che Z. scrisse alla moglie di non strappare la famosa lista, ma detta lista era in suo possesso al momento dell’arresto e disse di averla passata al G. che la mise nel portadocumenti dell’auto; non solo, ma la C. disse di aver provveduto a spostare con le armi anche la lista e le lettere che il marito aveva ricevuto dagli associati, laddove invece Z.G. parlò di due lettere che il fratello aveva ricevuto dal cugino omonimo.

Vengono poi sottolineate le incertezze in cui incorre la C. nell’indicare la G. come colei che ebbe a consegnare le lettere a suo marito e le divergenze nelle dichiarazioni rese dal V., che dapprima disse di esser venuto a conoscenza dell’esistenza del gruppo criminale dai due fratelli stessi, durante il passeggio in carcere e poi disse di averlo appreso dal solo V. e che il nome di (OMISSIS) era annotato su un biglietto che gli consegnò appunto V.; non solo, ma viene ricordato che F.S. che V. disse di aver incontrato;

non passò mai dal carcere di (OMISSIS), nel periodo dal 27.6.2009 al 18.9.2009, ove era detenuto il V.. Secondo la difesa, non sarebbe stato rispettato il disposto dell’art. 192 c.p.p., atteso che le dichiarazioni che attingono i due indagati provengono solo da chiamate in reità de relato, ad eccezione di quella dello Z., per cui il percorso di sintesi nel processo valutativo del materiale a disposizione avrebbe dovuto esser caratterizzato da una disamina più puntuale delle singole dichiarazioni, valutando poi la distonia di ciascun contributo con gli altri elementi raccolti, fermo restando che le dichiarazioni non si sommano. Viene quindi chiesto l’annullamento dell’ordinanza.

2.3 G.A., pel tramite del difensore adduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 416 bis c.p., e art. 273 c.p.p., riproponendo gli stessi argomenti spesi dai due coindagati, U.M. e F.S., in punto sussistenza del sodalizio criminoso ipotizzato; vengono riproposte le censure sulla ritenuta affidabilità dello Z. a fronte degli indicatori di segno contrario di cui si è detto; in particolare poi sulla specifica posizione dell’indagata, viene fatto rilevare che lo Z. disse di aver ricevuto ambasciate da parte degli U., pel tramite della loro madre di nome M.; poi precisò che ritirò la lista delle persone da estorcere presso la casa della mamma degli U., di nome A., in via (OMISSIS), aggiungendo che questa fu la prima volta che si recò da lei. Poi in una terza occasione, disse di essersi recato dalla G. solo due volte, laddove sia nel racconto dello Z., che in quello della C., sembra che gli incontri siano stati più numerosi. Non solo, ma la C. non può confermare lo Z., attesa la contaminazione delle due fonti tra loro e nemmeno le dichiarazioni del V. avrebbero attitudine confermativa della dichiarazione dello Z., avendo il primo assunto che le somme estorte dovevano essere pagate a casa degli U., mentre lo Z. disse che era lui che doveva fare la ripartizione in cinque parti degli utili da distribuire. Viene riproposta la censura sulla mancata corretta applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, anche in relazione alla posizione G., per cui viene chiesto l’annullamento dell’ordinanza.

3. All’odierna udienza di discussione, si è presentato solo il difensore della G.; l’avv. Abet, difensore di U. V., aveva dichiarato di aderire all’astensione nazionale degli avvocati deliberata dall’Unione Nazionale delle Camere Penali ed aveva chiesto il differimento della discussione, richiesta che non è però stata accolta, avendosi riguardo ad indagati detenuti.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

I giudici di merito non hanno operato alcuna forzatura dell’art. 273 c.p.p., avendo posto a base del provvedimento custodiale un compendio indiziario, congruamente valutato ai sensi dell’art. 192 c.p.p.. In particolare, sono state valorizzate le indicazioni del collaborante Z.G., che ha offerto dati precisi sull’attività da lui svolta in un arco temporale limitato, su stimolazione di un nuovo gruppo che, per quanto composto da tre soggetti ristretti in carcere, poteva contare su un notevole carisma delinquenziale e quindi sensibilizzare le vittime al pagamento delle somme che venivano pretese. L’attendibilità intrinseca del collaborante è stata correttamente ritenuta, prima di tutto in ragione del fatto che lo stesso venne arrestato nella flagranza di una delle azioni estorsive e del tutto liberamente ritenne di raccontare episodi di cui gli inquirenti non avevano alcuna notizia, compromettendo notevolmente la sua posizione processuale ; poi in considerazione del dettaglio del narrato, ricco di circostanze suscettibili di verifica ed infine, considerato che le sue propalazioni trovavano conferma nelle dichiarazioni della moglie C.A. e nelle rivelazioni di altri due collaboratori, D.F. e V.A., quanto all’inserimento dello Z. nel gruppo capeggiato dagli U., mirato a controllare il territorio di (OMISSIS), con metodi mafiosi. Le obiezioni difensive secondo cui lo Z. non potrebbe essere degno di fede, essendo stato sventato un suo tentativo di controllo delle dichiarazioni di G.C. con l’inoltro di lettera con invito a tacere su una vicenda che lo riguardava, non sono state sottovalutate dal Tribunale, ma ritenute prive di mordente con motivazione, ineccepibile sotto il profilo della congruità logica, facente leva sul fatto che solo successivamente all’inoltro della lettera, Z. decise di assumere un atteggiamento pienamente collaborativo. Al pari, non è stata riconosciuta la portata che la difesa invoca, alla circostanza che allo Z. non sia stata trovata la lista delle persone da estorcere, asseritamente ricevuta dalla madre degli U., avendo plausibilmente opinato il tribunale nel senso che poichè la C. disse di averne distrutta una, non è dato escludere che ve ne possa essere stata una seconda, in mano al G., che sia poi andata distrutta.

I contributi informativi del prevenuto sono stati ritenuti estrinsecamente accettabili, perchè supportati non solo da quanto riferito dalla moglie, ma da quanto rappresentato dagli indagati in reati connessi; V. e D.: in proposito erra la difesa nel ritenere che dette dichiarazioni siano inadeguate a fornire riscontro, poichè è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte, che ha valore di riscontro esterno non solo l’ulteriore chiamata di correo, ma pure la chiamata de relato, ancorchè necessiti di più rigorosa valutazione, sia con riferimento al suo autore immediato, sia in riferimento alla fonte originaria dell’accusa. La convergenza del molteplice non deve essere intesa come sovrapponibilità, bensì come concordanza dei nuclei essenziali delle dichiarazioni in riferimento al tema centrale dell’accusa, con il che eventuali smagliature riscontrabili all’interno di ciascun contributo non ne infirmano la valenza indiziaria, laddove le dichiarazioni per quanto non si sovrappongano, confluiscano comunque su dati che riguardano direttamente la persona dell’incolpato e le imputazioni ascritte (cfr. Cass. Sez. 5^, 19.9.2006, n. 35724). Non è dunque da ritenere casuale che sia il V. che il D. abbiano parlato dello Z. come soggetto affiliato al gruppo di recente formazione, facente capo agli U., come correttamente ha opinato il Tribunale. Altrettanto correttamente non è stato drammatizzato dal Tribunale il fatto che tra C. e Z. vi siano stati rapporti epistolari, attraverso cui sarebbe intervenuto uno scambio di informazioni, atteso che la C. è stata ritenuta una fonte indiretta, a conoscenza di circostanze a lei rivelate dal marito ed è stato in questi limitati termini apprezzato il suo contributo, anche con riferimento al ruolo giocato dalla G..

Quanto alla sussumibilità delle condotte descritte dallo Z. nell’alveo dell’art. 416 bis c.p., il Tribunale ha fornito adeguata motivazione, assolutamente aderente al disposto normativo e senza nulla concedere all’ipotesi alternativa prospettata dalle difese, sulla pluralità di condotte unite in continuazione: è stato sottolineato come sia apprezzabile nel caso di specie il pactum sceleris intercorso tra i due U. e il F., in ambito carcerario, transitato all’esterno tramite il cugino omonimo dello Z. e pervenuto a quest’ultimo, officiato come braccio armato del gruppo, destinatario di precise indicazioni sui soggetti da colpire – impartite tramite la madre degli U., G.A. -, a cui le richieste dovevano pervenire a nome di "(OMISSIS)".

E’ stato dato atto che il modus operandi era caratterizzato dall’uso di violenza e minaccia, tali da generare sul territorio timore ed insicurezza che portavano a cedere alle pressioni altrui, metodi quindi mafiosi, che tendevano a sfruttare anche le condizioni di omertà in cui versavano le persone offese. Infine è stata sottolineata la proiezione nel tempo di un’attività che doveva portare redditività ai soggetti detenuti, ripartita secondo parametri ben precisi e significativi di un vincolo destinato a durare nel tempo e a rappresentare di per sè un pericolo per la collettività.

Parimenti non si riscontrano i vizi dedotti quanto alla applicazione dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, atteso che il Tribunale ha motivato correttamente, senza incorrere in forzature del dato normativo, riconoscendo l’aggravante sul presupposto della riscontrata metodologia mafiosa e della finalità di agevolazione di un’associazione a stampo camorristico.

I giudici di merito hanno fatto buon governo dell’art. 192 c.p.p., atteso che sono stati ritenuti riscontrati solo cinque dei tredici episodi estorsivi in contestazione, in relazione a cui le indicazioni autoaccusatorie dello Z. sono state valutate unitamente agli altri elementi di prova, quali le indicazioni della C. e dei due collaboratori V. e D., con il che nessuna forzatura neppure del dato normativo processuale, così come lamentato dalla difesa, è apprezzabile. La stessa posizione della G. è stata ritenuta attinta da un compendio gravemente indiziario, alla luce delle indicazioni dello Z., molto precise sul punto, supportate dal contributo informativo della C., con il che non è ravvisabile alcuna caduta interpretativa del dato processuale.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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