Cons. Stato Sez. IV, Sent., 24-02-2011, n. 1203 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A seguito di indagini di polizia giudiziaria condotte dalla DIGOS di Cuneo, il sig. I.M., appuntato della Guardia di Finanza, era sottoposto a procedimento penale per vari reati, tra cui quello di associazione per delinquere, di violazione continuata delle disposizioni contro le immigrazioni clandestine e di falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificati ed autorizzazioni amministrative, in quanto "si associava, quale partecipante, ad altre persone, allo scopo di porre in essere condotte penalmente rilevanti in materia di falso e violazioni delle norme relative al soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale nei termini e con le seguenti modalità":

1) "formava e consegnava dietro l’indebita consegna di lire 200.000 cadauna false ricevute di prenotazione dell’Ufficio Stranieri della Questura per la sanatoria degli immigrati irregolari al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità degli stranieri interessati";

2) "al fine di portare a compimento i comportamenti di cui al punto 1) falsificava un numero imprecisato di ricevute di prenotazione per la sanatoria degli immigrati irregolare e precisamente almeno dieci documenti".

Il procedimento penale si concludeva con sentenza del Tribunale di Cuneo, resa in sede di patteggiamento ex art.444 c.p,.p. e divenuta irrevocabile il 4 dicembre 2004, con l’applicazione all’imputato della pena di mesi sei di reclusione convertita in multa.

2. Con atto del 15 aprile 2005, il Comandante della Regione Piemonte della Guardia di Finanza attivava per i fatti già oggetto di procedimento penale nei confronti del predetto sottufficiale una inchiesta formale disciplinare con la nomina di un Ufficiale Inquirente, che – con la nota del 20 maggio 2005 notificata all’interessato il successivo giorno 23 – contestava al M. i relativi addebiti.

All’esito dell’inchiesta, il Comandante Regionale in relazione agli addebiti contestati disponeva con provvedimento del 28 luglio 2005 di procedere al deferimento dell’appuntato al giudizio di una commissione disciplinare.

La commissione dichiarava fondati gli addebiti mossi all’inquisito, con il positivo accertamento di condotte perseguibili disciplinarmente, e concludeva con la valutazione di non meritevolezza di conservare il grado.

Infine, il Comandante in seconda della Guardia di Finanza con provvedimento del 16 settembre 2005 ha irrogato al sig. M., ritenendola "equa e proporzionata alla gravità della condotta stigmatizzata e posta in essere", la sanzione della perdita del grado per rimozione, venendo il medesimo posto a disposizione del distretto militare come semplice soldato.

3. Col ricorso n. 1600 del 2005, l’interessato impugnava innanzi al TAR per il Piemonte tale provvedimento sanzionatorio, deducendone la illegittimità per decadenza dei termini di avvio e di conclusione del procedimento disciplinare, nonché per eccesso di potere sotto i profili della carenza di istruttoria, della illogicità e del difetto dei presupposti.

L’adito TAR, con la sentenza n.121 del 18 gennaio 2006, accoglieva il ricorso, ritenendo fondata la censura di mancato rispetto del termine di decadenza per l’avvio del procedimento disciplinare, con l’assorbimento degli altri motivi.

4. Il Ministero delle Finanze- Comando Generale della Guardia di Finanza – ha impugnato tale sentenza ritenendola erronea nelle statuizioni, deducendo che, alla luce delle disposizioni legislative applicabili al caso de quo, il termine entro cui poteva cominciare l’azione disciplinare risulta pienamente rispettato.

Si è costituito in giudizio l’appellato, che ha contestato la fondatezza del proposto gravame, con la espressa riproposizione delle censure dedotte col secondo motivo del ricorso proposto in prime cure e dichiarato assorbito dal giudice di primo grado.

Con l’ordinanza n. 3265 del 4 luglio 2006, questa Sezione ha disposto la sospensione dell’esecutività della impugnata sentenza.

All’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello è fondato.

Con la gravata sentenza, il TAR per il Piemonte ha ritenuto fondato il ricorso introduttivo della controversia all’esame in ragione della rilevata tardività dell’attivazione del procedimento disciplinare, rispetto ai termini previsti dalla legge n. 97 del 2001.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che nella specie:

– il procedimento disciplinare andava iniziato nel termine di 90 giorni (e non di 120), decorrente dalla data di comunicazione della sentenza irrevocabile e tanto alla luce del disposto di cui all’art. 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001 n. 97 (recante "norme tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche"), che tale termine fissa. per l’instaurazione del procedimento disciplinare conseguente alla conclusione del procedimento penale;

– non si applica l’art.10 della medesima legge, che prevede il termine di centoventi giorni per l’attivazione del procedimento disciplinare, poiché la sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 2004 ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale, nella parte in cui prevedeva per l’instaurazione dei procedimenti disciplinari il termine di 120 giorni anziché quello di 90 giorni dalla data di comunicazione della sentenza all’Amministrazione.

2. Ritiene la Sezione che – contrariamente a quanto rilevato dal TAR – l’Amministrazione appellante ha attivato tempestivamente il procedimento disciplinare.

La sentenza gravata non ha infatti considerato che la richiamata legge ha previsto il termine di novanta giorni solo con riferimento ai reati di cui all’art. 3 della legge stessa, cioè quelli previsti dagli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319 ter e 320 del codice penale, nonché dell’art.3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, dovendosi in tal senso intendere la frase "sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti" indicati nel comma 1 dell’art. 3, contenuta nell’art. 5, comma 4, della stessa legge (in tali sensi Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2006, n. 6126).

Pertanto, negli altri casi di condanna per ogni diversa fattispecie di reato (come quelle qui in rilievo), non rientrante tra quelle espressamente indicate dalla suddetta disposizione, trova invece applicazione l’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, che prevede per la prosecuzione o la promozione del procedimento disciplinare il diverso termine di 180 giorni, decorrente dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna.

Tale ultimo termine nella specie risulta essere stato osservato, poiché sono decorsi 170 giorni tra la data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza penale (4 dicembre 2004) e quella in cui è stato notificato l’atto di contestazione degli addebiti (23 maggio 2005).

Da ciò deriva che il motivo d’appello si appalesa fondato e che, in riforma della sentenza del TAR, va respinta la corrispondente censura di primo grado.

3. A questo punto vanno esaminate le censure dedotte col ricorso originario e espressamente riproposte in questa sede dall’appellato, con la prodotta memoria difensiva.

L’interessato deduce che non sarebbero stati rispettati i principi di proporzionalità, ragionevolezza e gravità che pure devono accompagnare la valutazione delle infrazioni contestate ai fini della irrogazione della relativa sanzione, lì dove l’ Amministrazione avrebbe valutato in modo tautologico e generico la gravità dei fatti addebitati, senza tener conto degli elementi che militavano a suo favore, quali la minima gravità degli addebiti contestati, l’assenza della sua pericolosità sociale, i suoi precedenti di servizio,, la sua collaborazione fornita nel corso delle indagini svolte nel procedimento penale.

Ad avviso dell’appellato, il provvedimento sanzionatorio risulterebbe anche carente sotto il profilo motivazionale, soprattutto con riferimento alla valutazione della sua personalità, e la misura espulsiva sarebbe del tutto sproporzionata rispetto ai fatti addebitati.

Ritiene la Sezione che le dedotte doglianze – ancorchè abbiano richiamato principi di per sé condivisibili – non risultano fondate, in considerazione dei fatti posti a base della sanzione disciplinare..

Va premesso che, per la consolidata giurisprudenza, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (ivi compresi il personale militare) la valutazione finale della Amministrazione sulla gravità degli illeciti commessi e sulla conseguente sanzione da irrogare costituisce espressione di un’ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo per i vari profili di eccesso di potere, quando vi sia stato un travisamento dei fatti ovvero la relativa motivazione risulti sprovvista di logicità e di coerenza (cfr Cons Stato, Sez VI, 10 maggio 1996, n. 670; Sez. V, 1° dicembre 1993, n. 1226; Sez. IV, 16 gennaio 1990, n. 21; 4 giugno 2010, n. 5877).

Del pari la più recente giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Sez. IV, 16 ottobre 2009, n. 6353; idem 21 agosto 2009, n. 5001; 7 gennaio 2011, n. 25) ha rilevato che sussiste il vizio di eccesso di potere anche quando il provvedimento disciplinare appare ictu oculi sproporzionato, nella sua severità, rispetto ai fatti accertati pur se abbiano dato luogo ad una condanna in sede penale, anche in applicazione dell’art. 444 c.p.p.

Ciò precisato, la misura sanzionatoria di tipo espulsivo assunta nei confronti dell’appellato, come si rileva dalla motivazione del contestato provvedimento e dalla documentazione acquisita, risulta rispettosa dei parametri di giudizio fissati dalla consolidata giurisprudenza di questa Sezione.

Va preliminarmente osservato che l’Amministrazione appellante ha ben potuto

utilizzare le risultanze acquisite dal giudice penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, valutandone la rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr. Cons. Giustizia Amm.va Regione Siciliana, 15 novembre 2006, n.2609; Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2010).

Nella specie, l’Amministrazione ha adeguatamente tenuto conto delle risultanze documentali, con riferimento all’inchiesta formale, agli atti della Commissione di disciplina e allo stesso provvedimento di irrogazione della sanzione, che non solo è stato preceduto da una accurata istruttoria, che non si è limitata alla mera raccolta degli addebiti aventi rilevanza penale, ma ha posto in evidenza le peculiarità dei fatti disciplinarmente rilevanti, dandone una ragionevole valutazione senza limitarsi ad un apodittico recepimento delle contestazioni penali.

In particolare, il provvedimento ha esaustivamente esposti gli accadimenti sui quali si sono fondate le contestazioni, l’addebitabilità delle stesse e il disvalore delle condotte, senza che si possano, quindi ravvisare aspetti di carente motivazione o di difetto di istruttoria, sia in ordine ai dati, le circostanze e le notizie acquisite ed esposte sia con riferimento alla doviziosità delle considerazioni formulate a commento di tali accadimenti.

Rimane da verificare la proporzionalità o meno della misura sanzionatoria adottata, in relazione alla gravità degli addebiti.

Ebbene, il Collegio non può fare a meno di rilevare come sotto tali aspetti il provvedimento appare congruo e conforme a quei criteri di ragionevolezza, equità e gradualità oltreché di giustizia sostanziale cui deve uniformarsi l’adozione di atti amministrativi dal contenuto così delicato come quello in esame.

L’Amministrazione – con una motivazione ragionevole e rispettosa del principio di proporzionalità – ha ravvisato la notevole gravità dei fatti commessi dall’appellato secondo un obbiettivo metro di giudizio.

Infatti, la valutazione sulla notevole gravità della condotta di falsificazione materiale di atti, a fronte di dazioni di pagamento ricevute, risulta suffragata dall’accertamento degli specifici fatti accaduti, caratterizzati dalla sorpresa dell’appellato nella abitazione di una cittadina extracomunitaria in possesso di false ricevute di prenotazione dell’ufficio stranieri di questura di Cuneo e, dunque, da una sua condotta che non può ragionevolmente considerarsi riconducibile ad un atto illecito assolutamente isolato.

Ciò comporta la reiezione delle censure di eccesso di potere dedotte in primo grado e riproposte dall’appellato..

4. Per le ragioni che precedono, l’appello dell’Amministrazione va accolto e vanno respinte le censure assorbite in primo grado, sicché – in riforma della sentenza gravata – va respinto il ricorso di primo grado n. 1600 del 2005.

Le spese e competenze dei due gradi di giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando, così dispone:

accoglie l’appello n. 3260 del 2006, proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze- Comando Generale della Guardia di Finanza;

rigetta l’appello incidentale semplificato;

c) in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado n. 1600 del 2005.

Condanna l’appellato al pagamento delle spese e competenze dei due gradi del giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 2.500,00 oltre IVA e CPA, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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