Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-04-2011, n. 8758 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La corte di appello di Catanzaro accolse con decreto 23 giugno 2008 la domanda proposta da T.V. per la equa riparazione del danno da durata irragionevole del processo, avviato con atto del 3 giugno 1986 presso il tribunale di Palmi, nei confronti del comune di (OMISSIS), nel giudizio di occupazione illegittima di un terreno di sua proprietà, conclusosi il 18 maggio 2006.

La corte territoriale accolse la domanda proposta nei confronti del Ministero della giustizia, limitatamente al danno non patrimoniale, rilevando che il ritardo riferibile al differimento delle udienze per richieste dell’attore ovvero per adesione ai rinvii richiesti da controparte aveva totalizzato un periodo complessivo di circa 34 mesi, per cui la differenza, pari a poco più di 17 anni, era risultata irragionevole per 14 anni e due mesi e per tale durata ha determinato l’indennizzo in Euro 14.167,00, mentre ha respinto la domanda per danni fa patrimoniali, formulata in ragione della differenza tra quanto ottenuto per la occupazione appropriativa dell’immobile in virtù della L. n. 662 del 1996 e l’importo che sarebbe stato corrisposto prima di tale intervento normativo.

A tale riguardo, dopo avere osservato che il danno patrimoniale è soggetto alle ordinarie regole probatorie, ha negato rilevanza allo ius superveniens, dovendo il danno patrimoniale riconoscibile costituire conseguenza immediata e diretta della durata eccessiva del procedimento.

Ha proposto ricorso con un motivo T.V.; ha resistito con controricorso il Ministero.
Motivi della decisione

Denunzia con l’unico motivo il ricorrente violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2000, art. 2; degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c. e dell’art. 6, par. 1 e 13 Cedu. Lamenta che la corte di appello abbia disatteso i principi della Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia di quantificazione della indennità di espropriazione, secondo cui è insufficiente ai fini della tutela della proprietà la indennità di espropriazione nei termini considerati dai criteri legali di liquidazione, sopravvenuti nelle more del giudizio. Il ricorso è infondato.

La censura riferita al mancato riconoscimento del danno patrimoniale è stata proposta in termini tali da risultare non connessa in modo diretto alla durata irragionevole del processo, che costituisce il fondamento della pretesa indennitaria ex L. n. 89 del 2001.

Deduce infatti il ricorrente, e all’uopo propone quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in vigore ratione temporis, che il danno patrimoniale sofferto è costituito dalla "applicazione dei nuovi criteri legali di liquidazione del danno in caso di occupazione illegittima della proprietà privata" e dalla circostanza che nelle more del giudizio e a distanza di molti anni dalla introduzione del contenzioso è intervenuta una nuova normativa pregiudizievole per gli interessi della parte"; così finendo per ribadire la tesi proposta senza esito alla corte di appello, senza avere preposto argomentazioni critiche al provvedimento di rigetto, il quale ha considerato che il danno patrimoniale, ai fini della equa riparazione "deve essere conseguenza immediata e diretta della eccessiva durata del procedimento, ma non può derivare dallo ius superveniens o dal mutamento di giurisprudenza o dall’intervento della Corte costituzionale.

A tali rilievi il ricorrente si è limitato a richiamare decisioni della Corte Europea, in termini di quantificazione della indennità di espropriazione, che è tema estraneo all’oggetto della controversia, in ordine al quale il mutamento della disciplina della fattispecie in discussione, per effetto degli interventi del legislatore o della giurisprudenza, non è ascrivibile al ritardo del processo in rapporto di rigorosa consequenzialità potendo intervenire anche a brevissima distanza dalla introduzione della lite, senza per questo giustificare istanze risarcitorie di alcun genere.

Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 1000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali in Euro 1000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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