Cons. Stato Sez. V, Sent., 24-02-2011, n. 1194 Incarichi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La sentenza appellata ha in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto il ricorso proposto dal raggruppamento temporaneo tra professionisti costituito tra l’ing. V.A.M. e l’Ing. F.A.R. (di seguito "RTP"), proposto:

"A) per l’accertamento, ex art. 2 legge n. 20512000, nonché ex art. 2 legge n. 1512005, dell’illegittimità dell’arresto procedimentale meglio specificato in narrativa sub 7 e 7 bis e per la conseguente nomina di un Commissario ad acta che provveda in luogo del Comune di Roma;

B) per l’accertamento anche mediante ordinanza istruttoria, ex arti. 2425 legge n. 241/1990 e s.m.i., dell’illegittimità del diniego tacito del Comune di Roma in ordine alla richiesta di accesso ai documenti meglio specificati in narrativa;

C) per l’annullamento, se esistente, del provvedimento di estremi non conosciuti con cui il Comune di Roma avrebbe affidato alla Società RISORSE PER ROMA l’incarico di progettazione meglio specificato in narrativa sub 10); nonché di ogni atto connesso, presupposto o conseguente;

D) per la condanna del Comune di Roma alla liquidazione di tutte le somme dovute al ricorrente RTP, sia a titolo di compensi professionali, sia, nella misura che sarà ritenuta di giustizia, per risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi, in conseguenza di tutto quanto sopra."

L’appellante ripropone le censure disattese dal tribunale.

Le parti intimate resistono al gravame.

Con il ricorso di primo grado RTP ha dedotto che, con deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Roma n. 4299 del 10.10.1997, gli era stato affidato l’incarico di eseguire la progettazione definitiva ed esecutiva del sotto via della Magliana, angolo via d’Asti, e dell’allargamento di via della Magliana nel tratto da via fosso dalla Magliana fino a via Marchetti.

Ha sostenuto, inoltre, di avere più volte rimaneggiato e corretto il progetto preliminare, in considerazione dei chiarimenti e delle modifiche richieste. Ha aggiunto che, inoltre, in data 30.7.1998, con nota 46978/98 aveva trasmesso al Dipartimento una copia del progetto preliminare, completo della stima dei lavori e degli elaborati grafici e che, successivamente, aveva trasmesso il detto progetto una seconda volta in data 30.11.1998, revisionato secondo le indicazioni fornite dall’Ufficio in una riunione del 6.10.1998.

Da tale data non avendo più ricevuto alcuna comunicazione da parte del Comune di Roma, RTP aveva notificato in data 20.7.2005 un atto di diffida in mora ed istanza di accesso, poiché era venuto a conoscenza dell’intenzione del Comune di Roma di affidare l’incarico di progettazione ad altro soggetto, nella specie alla società R.P.R. S.p.A..

La pronuncia impugnata ha ritenuto il ricorso in parte inammissibile e per il resto infondato.

La sentenza gravata si basa sulla seguente motivazione.

"1.1. Il ricorso è inammissibile nella parte in cui il ricorrente ha impugnato il silenzio dell’Amministrazione resistente, serbato sulla diffida ad adempiere notificata, nella parte in cui chiede l’annullamento del provvedimento di incarico nei confronti della società R.P.R. e nella parte in cui chiede la corresponsione delle somme dovute in conseguenza dell’esecuzione della progettazione preliminare.

1.1.1. Per quanto riguarda l’impugnazione del silenzio dell’Amministrazione sulla diffida notificata, la doglianza è inammissibile in quanto attraverso la diffida ad adempiere, l’RTP non ha chiesto l’emanazione di un provvedimento, ma il pagamento di tutte le spese sostenute per l’adempimento dell’incarico di progettazione.

A fronte della mancata risposta dell’Amministrazione, il ricorrente non avrebbe dovuto impugnare l’accesso, in quanto il comportamento omissivo dell’Amministrazione, qualificabile come inadempimento di un’obbligazione con conseguente responsabilità di tipo contrattuale, deve essere considerato alla stregua di una qualunque pretesa creditoria rimasta insoddisfatta (cnfr. Cons. Stato, Sez. VI, sent. 25 gennaio 2008, n. 215).

Cosicché il ricorrente avrebbe dovuto proporre un ordinario giudizio per l’accertamento delle proprie spettanze, giudizio per il quale si dubita che questo giudice adito sarebbe stato competente.

Inoltre, il ricorso è inammissibile perché redatto in maniera contraddittoria in quanto da un lato, l’impugnazione del silenzio dell’Amministrazione non è avvenuta con il rito previsto dall’art. 21 bis della legge n. 1034/1971; e, dall’altro lato, in quanto sono state proposte varie domande incompatibili con l’impugnazione del silenzio (compresa quella relativa all’annullamento dell’incarico nei confronti della società R.P.R.).

1.1.2. Per quanto riguarda la domanda di risarcimento danni, essa è inammissibile in quanto:

a) formulata in maniera generica, sommaria e dubitativa;

b) e, nell’ambito di un giudizio volto all’accertamento del silenzio.

Considerato inoltre che non viene in rilievo l’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’Amministrazione resistente, deve concludersi – in relazione alla prospettazione del ricorrente – che non sussiste neanche la giurisdizione.

1.2. La richiesta di accesso è infondata.

Il ricorrente ha chiesto all’Amministrazione l’accesso a tutti gli atti relativi al procedimento di affidamento dell’incarico di progettazione a lui conferito ed a tutti gli atti relativi all’affidamento dell’incarico alla società R.P.R..

La richiesta, pertanto, oltre ad essere generica ed esplorativa, ha ad oggetto anche atti relativi al rapporto tra la società R.P.R. ed il Comune di Roma, rispetto al quale il ricorrente non ha interesse alcuno (in ordine all’onere per il privato di indicare con la massima precisione possibile i documenti che si intende conoscere, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2001, n. 1671).

Il ricorrente avrebbe dovuto richiedere l’accesso al provvedimento di revoca dell’incarico affidatogli o, al più, alla delibera di incarico in favore della società R.P.R. nei confronti della società R.P.R.; e solamente se da questi atti fosse emerso un interesse concreto, diretto e attuale all’esame del progetto commissionato alla società R.P.R., avrebbe potuto chiedere di visionarlo.

In conseguenza di ciò, il comportamento dell’Amministrazione ben resiste alla doglianza in esame.

1.3. Con ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 17 (commi 4, 11, 12), 18 (comma 2- quater) e 24 l. n. 109/1994, artt. 50 e 62 del d.P.R. 554/99 e art. 113 d.lgs. n. 267/2000, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, errore nei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, sviamento, deducendo:

a) che l’atto di affidamento alla Società R.P.R. costituisce una mera "trattativa privata";

b) che l’Amministrazione comunale ha sfruttato la progettazione già effettuata dalla R.P.T;

c) che il provvedimento di affidamento alla Società R.P.R, in relazione alla precedente attività svolta dal ricorrente, è carente di motivazione.

L’articolata doglianza è inammissibile e comunque infondata.

1.3.1. Con il ricorso principale il ricorrente ha inteso impugnare sia il silenzio formatosi sulla diffida ad adempiere, notificata nei confronti dell’Amministrazione, sia il silenzio formatosi sull’istanza di accesso.

Poiché, nel nostro sistema, l’impugnazione (e vieppiù se con motivi aggiunti) di un provvedimento sopravvenuto è ontologicamente incompatibile – sul piano logico oltrecchè giuridico – con il ricorso avverso il silenzio o l’inerzia amministrativi, l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti appare palese (Ccfr: Cons. Stato, Sez. V. 4 marzo 2008, n. 897; TAR Lazio Sez. II, 12 giugno 2007, n. 5365; Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5514).

1.3.2. In ogni caso il ricorso per motivi aggiunti è infondato.

Quanto alla prima argomentazione, prospettata sub a), per le ragioni che si passa ad esporre.

La tesi del ricorrente poggia su un equivoco di fondo; e cioè sulla convinzione che l’atto di affidamento alla Società R.P.R. avrebbe dovuto aver luogo con la procedura dell’evidenza pubblica e non mediante trattativa privata.

L’assunto è errato.

L’equivoco in cui il ricorrente incorre consiste proprio nel ritenere che l’Amministrazione abbia intrapreso una trattativa privata.

Nell’organizzare la propria attività, il Comune di Roma, ha costituito una società per azioni (RPR) di cui detiene il 97% del capitale (il restante è di proprietà della Provincia di Roma).

Nel caso di specie, il Comune di Roma, esercitando una facoltà riconosciuta dall’art.17 della l. 109/1994, anziché affidare mediante pubblica gara all’esterno la progettazione in questione la ha affidata alla Società interamente pubblica, che deve essere considerata come un "prolungamento" (rectius: articolazione) della stessa Amministrazione (c.d. affidamento in house).

In sostanza il Comune, al fine di compiere e svolgere la propria attività istituzionale, si è avvalso di una società interamente pubblica, da esso controllata, cui "esternalizzare" parte della propria attività.

Del pari non condivisibile si appalesa il profilo di doglianza – prospettato sub b) – secondo cui l’Amministrazione ha sfruttato la progettazione già effettuata dal ricorrente.

Come evidenziato dagli atti le due opere sono diverse

Ed invero, l’incarico conferito al ricorrente aveva ad oggetto l’allargamento di un piccolo tratto di via della Magliana; mentre l’incarico conferito alla Società R.P.R. si riferisce ad un tratto molto più ampio che arriva fin al Grande Raccordo Anulare. È dunque evidente che la realizzazione del secondo progetto avrebbe comportato (ed ha di fatto comportato) una ben diversa configurazione qualitativa e quantitativa dell’impianto progettuale.

Neanche la doglianza prospettata sub c) appare condivisibile.

Come già evidenziato l’affidamento alla Società pubblica R.P.R. è da considerare come un mero affidamento interno, con conseguente mancanza di qualsiasi obbligo da parte dell’Amministrazione di fornire al ricorrente le motivazioni della sua scelta.

Nessun difetto di motivazione è ravvisabile negli atti amministrativi impugnati dal ricorrente."

L’appello, che ripropone alcuni dei motivi respinti dal TAR, è infondato.

Con una prima censura, l’appellante sostiene che l’istanza su cui si è formato il rifiuto non fosse diretta solo alla corresponsione del corrispettivo del servizio, ma intendesse provocare l’adozione del doveroso provvedimento sui cui fondare la pretesa economica.

Il motivo non merita accoglimento.

Non vi è dubbio, infatti, che l’atto di diffida rivolto al comune mirasse " a liquidare allo scrivente RTP, entro e non oltre trenta giorni dalla data di notificazione del presente atto e previo, occorrendo, perfezionamento degli adempimenti formali di sua esclusiva competenza, tutti i compensi dell’incarico di progettazione sopra meglio specificati sub 1), con rivalutazione delle relative tranches, sino all’effettivo soddisfacimento, come meglio specificato sub 7 bis), nonché tutti i danni patiti e patiendi dallo scrivente RTO in conseguenza delle condotte di codesta Amministrazione sopra descritte."

Dunque, la pretesa riguarda non già l’adozione di un provvedimento amministrativo, bensì la soddisfazione di una pretesa patrimoniale. Né tale conclusione risulta in alcun modo smentita dalla circostanza che la pretesa presuppone l’adozione di una "determinazione dirigenziale che attesti la rispondenza del progetto rispetto all’incarico conferito". Infatti, tale determina si inserisce nell’ambito dell’esecuzione di un rapporto professionale e non rappresenta affatto un atto a contenuto provvedimenatale.

Con un secondo gruppo di censure, l’appellante contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e ha respinto il ricorso per motivi aggiunti avverso la determinazione di affidamento dell’incarico professionale alla società R.P.R. spa.

Anzitutto, deve essere confermata la pronuncia di inammissibilità dei motivi aggiunti.

Infatti, prima delle innovazioni portate dal codice del processo amministrativo, nel giudizio in materia di silenzio non era consentita l’impugnazione di provvedimenti connessi.

Né sussistono, in concreto, i presupposti necessari per "convertire" i motivi aggiunti in autonomo ricorso.

Va poi osservato che, in primo grado, l’appellante aveva contestato solo la scelta dell’amministrazione di avere effettuato una trattativa privata, in luogo di una procedura di gara. Solo in grado di appello RTP prospetta la violazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in materia di affidamenti diretti.

In ogni caso, dall’esame della documentazione di causa emerge che, in relazione alla disciplina vigente all’epoca del contestato affidamento, sussistessero tutti i presupposti normativi indispensabili per giustificare l’affidamento diretto (partecipazione totalitaria pubblica, sussistenza di una situazione di "controllo analogo" dell’amministrazione sulla società; collegamento con le finalità dell’ente e assenza di una rilevante proiezione dell’ente sul mercato).

In definitiva, quindi, l’appello deve essere accolto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

Respinge l’appello.

Condanna l’appellante a rimborsare al comune di Roma e alla società R.P.R. le spese di lite, liquidandole in euro tremila per ciascuno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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