Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-02-2011, n. 1177 Ricorso per revocazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza censurata con ricorso per revocazione la Sezione ha accolto l’appello proposto dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (di seguito: "AEEG" oppure "Autorità") per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia -Sede di Milano- n.321 del gennaio 2008.

La vicenda processuale può essere sintetizzata nei seguenti termini: in primo grado era stato impugnata da E.D. s.p.a., odierna ricorrente in revocazione, la deliberazione 21 marzo 2007, n. 66, con la quale le era stata inflitta la sanzione pecuniaria amministrativa di euro 11.770.000,00, per inosservanza degli obblighi posti a carico dall’art. 12.1 della deliberazione dell’Autorità stessa n. 55 del 2000, letta unitamente al precedente atto deliberativo n. 200 del 1999.

Il presupposto della sanzione amministrativa era la circostanza che E.D. s.p.a. non aveva riportato- nei documenti di fatturazione (bollette) dei consumi dell’energia elettrica trasmessi all’utenza finale -, in violazione della delibera predetta, fra le varie modalità di pagamento utilizzabili dalla clientela, quella gratuita.

La s.p.a. E.D. ha proposto il ricorso di primo grado, prospettando numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Tribunale amministrativo adito aveva ha accolto il ricorso, condividendo la fondatezza delle censure riferite alla violazione del principio della legalità ed alla mancanza di colpa, dedotte nel primo e nel quarto dei motivi del mezzo di primo grado e dichiarando assorbite le restanti doglianze.

Avverso la predetta sentenza, ha proposto appello l’Autorità per l’energia elettrica e il gas mentre l’originaria ricorrente di primo grado ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’impugnazione e riproponendo, in subordine, i motivi dichiarati assorbiti nella gravata pronuncia.

Con la decisione censurata in revocazione, la Sezione ha in primo luogo disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto da AEEG (motivata dall’asserita genericità del medesimo).

Di seguito la Sezione ha preso in esame le censure riguardanti il capo della sentenza di primo grado relativo all’asserita violazione del principio di legalità da parte dell’AEEG.

Il Consiglio di Stato ha all’uopo rammentato che l’art. 6 comma 4 della delibera n. 200 del 1999 dell’AEEG prevedeva che "l’esercente deve offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta" e che la successiva delibera n. 55 del 2000 della stessa AEEG prevedeva, all’art.12, comma 1, che " la bolletta riporta le modalità di pagamento che possono essere utilizzate dal cliente": secondo il primo giudice, posto che l’obbligo di pubblicità asseritamente violato da E.D. s.p.a nasceva (unicamente) dal combinatodisposto delle due deliberazioni, era riscontrabile una violazione del principio di legalità e di determinatezza dell’illecito.

La Sezione, in accoglimento del gravame proposto da AEEG, sul punto ha affermato che la deliberazione n.55 del 2000, di per sé, conteneva già tutti gli elementi idonei ad integrare i1 precetto ritenuto violato dalla società predetta e giustificava pienamente nella specie la sanzione irrogata con la deliberazione impugnata n. 66 del 2007, dal momento che la precedente delibera della stessa AEEG n. 200 del 1999, punto 6.4 (richiamata anch’essa nel provvedimento impugnato in primo grado), aveva già disposto – in capo agli esercenti il servizio di distribuzione e vendita di energia elettrica – l’obbligo di offrire ai clienti del mercato vincolato almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta.

La successiva deliberazione n. 55 del 2000 – nel prevedere l’ulteriore obbligo di pubblicizzazione mediante indicazione in bolletta delle modalità stesse – doveva necessariamente includere tra le modalità di pagamento anche quella di carattere gratuito.

Dalla normativa citata emergeva che E.D. s.p.a. aveva ed ha l’obbligo di indicare in bolletta tutte le modalità di pagamento messe a disposizione degli utenti; poiché, ai sensi dell’art.6, comma 4, della delibera n. 200 del 1999, gli esercenti sono tenuti ad "offrire almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta", risultava evidente che essi erano tenuti non solo ad offrire, ma anche ad indicare nella bolletta una modalità gratuita di pagamento.

La statuizione contenuta nella pronuncia di primo grado secondo cui l’art.12.1 citato si limitava a prevedere che la bolletta doveva indicare le modalità di pagamento, senza però imporre espressamente all’impresa distributrice di evidenziare anche il carattere gratuito od oneroso di tale modalità", era apparsa quindi erronea, atteso che l’art.12, comma 1, della delibera n. 55 del 2000, conteneva di per sé un precetto chiaro e puntuale, il quale non consentiva dubbi sulla condotta sanzionata.

Altresì errato appariva il capo della decisione di primo grado secondo cui non sarebbe stato ravvisabile nella condotta di E.D. s.p.a. alcun profilo colposo: E.D. s.p.a., quale soggetto esercente in regime di sostanziale monopolio la distribuzione e la vendita di energia elettrica, non poteva non conoscere i precisi obblighi che la normativa di settore poneva a suo carico.

Nello specifico, la società non poteva non conoscere la portata dell’obbligo di pubblicità di cui alla delibera n. 55 del 2000 e nemmeno poteva confondere tale obbligo con quello relativo alla predisposizione delle modalità gratuite, poi da pubblicizzare.

La Sezione, ritenuta la fondatezza del ricorso in appello, ha poi esaminato i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal primo Giudice e riproposti dall’appellata E.D. s.p.a., disattendendoli.

Quanto alla doglianza fondata sulla violazione delle regole della procedura e dei termini previsti dall’art.14 della legge n. 689del 1981, essa era infondata in considerazione del carattere speciale della legge istitutiva dell’AEEG (n. 481/1995) e del rinvio dalla stessa operato, nell’art. 2 comma 24, lett. a), ad una disciplina regolamentare dei procedimenti sanzionatorio.

In ogni caso, i termini ivi previsti non dovevano ritenersi di carattere perentorio.

Quanto alla dedotta prescrizione dell’illecito maturatasi ex art. 28 della legge n.689/1981, la doglianza non teneva conto della circostanza che la violazione contestata aveva assunto in effetti i caratteri dell’illecito permanente e protratto fino al febbraio 2006 di guisa che il calcolo del termine prescrizionale avrebbe dovuto fare riferimento a tale ultima data.

Del pari insussistente appariva la censura fondata sull’asserita violazione del principio del "ne bis in idem" (fondata sulla circostanza che la condotta contestata alla società E.D., era già stata sanzionata dall’appellante AEEG con la propria precedente deliberazione n. 72 del 2004).

Come risultava dalla nota del 28 settembre 2004 e dalla sentenza n. 3948 del 2005 del TAR della Lombardia, l’attestazione da parte dell’ Autorità si riferiva soltanto all’adempimento dell’obbligo dell’esercente (sancito dalla delibera n. 200 del 1999, art. 6.4) di offrire agli utenti almeno una modalità gratuita di pagamento, senza investire anche l’ulteriore questione relativa alla pubblicizzazione in bolletta di tale modalità (di cui alla successiva delibera n. 55 del 2000, art. 12.1).

In ultimo, il testo della delibera n. 130 del 2006 di avvio dell’istruttoria formale non aveva riportato nei documenti di fatturazione dei consumi di elettricità, fra le modalità di pagamento che possono essere utilizzate dal cliente, quella gratuita; il che dimostrava che secondo quanto accertato fino a quel momento, l’E.D. s.p.a., aveva, si, adempiuto, nel 2004, l’obbligo di allestire una modalità gratuita di pagamento di cui alla delibera 200 del 1999, ma non aveva ancora provveduto ad adempiere l’altro obbligo di pubblicità di cui alla deliberazione n. 55 del 2000.

Anche le ulteriori doglianze incentrate sulla quantificazione della sanzione sono state disattese dalla Sezione.

La originaria ricorrente di primo grado, rimasta soccombente in appello, ha chiesto la revocazione della decisione in epigrafe, ai sensi dell’art. 395 n. 4 del codice di procedura civile, assumendo che la sentenza sarebbe fondata su un errore di fatto, riguardante la circostanza, erroneamente supposta e smentita dagli atti, che la condotta contestata alla odierna impugnante riguardasse un arco temporale che muoveva dall’anno 2000 e terminava nel 2006.

Erroneamente la Sezione avrebbe respinto il V motivo del ricorso di primo grado proposto da E.D. SPA (riproposto in appello e rubricato al n. VI della memoria difensiva di appello) ed il VI motivo del ricorso di primo grado (riproposto in appello e rubricato al n. VII della memoria difensiva di appello).

Viceversa risultava dalla comunicazione delle risultanze istruttorie (equiparabile alla contestazione dell’infrazione ex art. 14 della legge n. 689 del 1981) che l’ambito temporale era stato circoscritto al periodo settembre 2004/febbraio 2006.

Posto che la delibera impugnata si era significativamente discostata dall’atto di incolpazione, essa non si sarebbe potuta sottrarre dalla censura di violazione del principio di correlazione tra contestazione e sanzione.

L’impugnata decisione, invece, aveva obliato tale dato, supponendo l’esistenza di un fatto (contestazione avente ad oggetto il periodo relativo agli anni 2000/2006) la cui inesistenza era documentalmente comprovata.

La impugnante aveva costantemente fatto riferimento ad un atto (comunicazione delle risultanze istruttorie) obliato dal Collegio decidente: l’errore era decisivo, atteneva ad un fatto documentalmente provato e pertanto, "non controverso", e derivava da una errata percezione del fatto (per violazione del principio di correlazione tra contestazione e sanzione).

In via subordinata, sempre ad avviso della ricorrente in revocazione, la delibera impugnata doveva essere dichiarata parzialmente illegittima, con conseguente decurtazione della sanzione proporzionale al periodo non effettivamente contestato (ben 48 mesi rispetto al totale di 65 mesi presi in esame ai fini della quantificazione della sanzione).

Con una memoria datata 13 gennaio 2011, la s.p.a. E.D. ha ribadito la propria tesi: la comunicazione delle risultanze istruttorie faceva riferimento ad un ambito temporale circoscritto al periodo settembre 2004/febbraio 2006; tale circostanza era stata ignorata dalla impugnata sentenza.

Eliminata tale falsa percezione della realtà non poteva che discendere la conseguenza della integrale caducazione della delibera n. 66 del 2007 ovvero una proporzionale e congrua riduzione della sanzione applicata.

La s.p.a. E.D. ha altresì comunicato che aveva provveduto ad lamentare la illegittimità della sentenza n. 2507 del 2010 innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Con memoria di replica del 20 gennaio 2011, la s.p.a. E.D. SPA puntualizzato e ribadito le proprie tesi difensive.

L’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ha depositato una memoria, chiedendo la reiezione o la declaratoria di inammissibilità della impugnazione: la impugnata decisione del Consiglio di Stato aveva individuato l’atto essenziale avente valore di contestazione dei fatti nella delibera di avvio del procedimento e non già nella comunicazione delle risultanze istruttorie.

L’associazione "Movimento per la difesa del cittadino" (intervenuta nel giudizio conclusosi con la impugnata sentenza del Consiglio di Stato) ha depositato una memoria, chiedendo la reiezione della impugnazione e sottolineando la gravità dell’abuso posto in essere dall’E..

All’udienza del 1° febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso per revocazione è inammissibile.

2. Deve premettersi che – diversamente da quanto esposto dalla difesa della ricorrente in revocazione- l’interveniente Movimento Difesa del Cittadino fu parte del giudizio d’appello conclusosi con la decisione oggetto dell’odierna impugnazione e, pertanto, nessun dubbio sussiste in ordine al diritto dello stesso a partecipare all’odierno giudizio.

3. Per la pacifica giurisprudenza amministrativa, l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 4, del codice di procedura civile deve consistere in un "travisamento di fatto" costitutivo di "quell’abbaglio dei sensi" che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa (ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2006, n. 5196).

La ratio di tale condivisibile orientamento riposa nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi in una forma di gravame, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (ex multis Cassazione civile, sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267).

Il rimedio in esame non è pertanto ammissibile, allorché incida su un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione giudiziale (tra le tante, Cassazione civile, sez. II, 22 giugno 2007, n. 14608).

Anche per questa Sezione, rilevano i limiti testuali desumibili dal n. 4 dell’art. 395 c.p.c., per il quale rileva la supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare" (Consiglio Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3721, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2278).

3. Nel caso di specie, all’evidenza, l’"errore" prospettato dalla ricorrente quale vizio revocatorio attinge uno specifico capo della sentenza oggetto di analitica valutazione da parte del Consiglio di Stato.

Di più: quell’ aspetto del quale si sollecita la rivalutazione sub motivo di revocazione consiste addirittura nella revisione critica di un convincimento giuridico – e prima ancora fattuale- che la Sezione ha reso con riguardo ad una fattispecie prospettata.

In altri termini, la ricorrente ha chiesto che vi sia un terzo grado del giudizio, incompatibile con le basilari regole del processo amministrativo.

Sol che si esamini la motivazione della decisione impugnata, infatti, è palese che le censure dedotte neppure hanno identificato un errore di fatto in ipotesi commesso.

Nella motivazione della impugnata sentenza, infatti, si rinvengono le seguenti affermazioni (che di seguito appare utile riportare): "come risultava dalla nota del 28.9.2004 e dalla sentenza n. 3948/2005 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, l’attestazione da parte dell’Autorità si riferiva soltanto all’adempimento dell’obbligo dell’esercente (sancito dalla delibera n. 200/1999, art. 6.4) di offrire agli utenti almeno una modalità gratuita di pagamento, senza investire anche l’ulteriore questione relativa alla pubblicizzazione in bolletta di tale modalità (di cui alla successiva delibera n. 55/2000, art. 12.1).

In ultimo, il testo della delibera n. 130/2006 di avvio dell’istruttoria formale non aveva riportato nei documenti di fatturazione dei consumi di elettricità, fra le modalità di pagamento che possono essere utilizzate dal cliente, quella gratuita; il che dimostrava che secondo quanto accertato fino a quel momento, l’E.D. s.p.a., aveva, si, adempiuto, nel 2004, l’obbligo di allestire una modalità gratuita di pagamento di cui alla delibera 200/1999, ma non aveva ancora provveduto ad adempiere l’altro obbligo di pubblicità di cui alla deliberazione n.55 del 2000."

"dal che non può evincersi che, come ritenuto dalla s.p.a. E., la contestazione della violazione dell’ obbligo di pubblicità abbia decorrenza dal 2004, ma, piuttosto, che a tale epoca la detta società aveva adempiuto soltanto l’altro obbligo di cui alla delibera n. 200/1999, fermo restando il permanere della violazione sotto il profilo della mancata pubblicità in bolletta, obbligo che, d’altra parte, nasceva con l’adozione della delibera 55/2000 e, dunque, fin dal 2000.".

3.1. La sentenza impugnata ha quindi affermato – ciò desumendo peraltro esattamente dagli atti di causa- che:

a) l’obbligo di pubblicizzare la modalità gratuita di pagamento risaliva all’anno 2000;

b) l’obbligo di prevedere la modalità gratuita di pagamento parimenti risaliva al 2000;

c) l’E. era stata (già) sanzionata perché fino al 2004 non aveva previsto compiutamente la modalità gratuita di pagamento;

d) è ovvio che non avendola prevista non la pubblicizzava neppure (e, per incidens, ha poi continuato a non pubblicizzarla quando già la offriva);

e) è ovvio che non si può pubblicizzare la tariffa gratuita che -comunque in spregio alla delibera- non si è istituita;

f) ma è altresì ovvio che l’onere di pubblicizzazione era connesso ma autonomo dall’obbligo di istituzione, e sanzionabile autonomamente;

g) peraltro, in epoca antecedente al 2004, essa non pubblicizzava neppure le convenzioni già stipulate all’uopo con istituti bancari.

La tesi dell’E., attraverso l’utilizzo dell’impugnazione revocatoria, postula un inammissibile "assorbimento" della violazione consistente nell’obbligo di pubblicizzare la modalità gratuita di pagamento nella (in passato contestata) violazione afferente l’omessa compiuta istituzione della predetta.

Ciò collide con l’intera impostazione della delibera impugnata; e con il dato testuale ricavabile dalla predetta delibera n. 66/2007 e dalla delibera n. 130/2006 di avvio dell’istruttoria formale.

4. Quanto all’asserito "abbaglio dei sensi" in cui sarebbe incorso il Collegio giudicante, esso all’evidenza non sussiste, per una pluralità di ragioni.

In primo luogo deve infatti rilevarsi che la questione oggetto dell’impugnazione revocatoria (nella sostanza relativa al tempo di commissione dell’illecito ed alla correlazione tra contestazione ed atto irrogativo della sanzione) costituì proprio il punto controverso sul quale la impugnata decisione ebbe specificamente a pronunciarsi.

Ciò esclude in radice la praticabilità del rimedio impugnatorio revocatorio.

Secondariamente, se "errore" vi è stato, esso non fu certamente di natura fattuale ma giuridica.

Ciò perché l’impugnata decisione ha fatto costante riferimento ad un atto (la comunicazione di avvio dell’istruttoria formale di cui alla delibera n. 130/2006) e muovendo dall’esame del testo di tale delibera (nel corpo della quale il "capo d’accusa" era così formulato: "almeno sino al febbraio 2006, non ha riportato nei documenti di fatturazione dei consumi di elettricità, fra le modalità di pagamento che possono essere utilizzate dal cliente, quella gratuita.") ne ha individuato i presupposti e gli effetti, ritenendo che vi fosse piena correlazione tra ipotesi di accusa e statuizione irrogativa della sanzione (delibera n. 66 del 2007: "tale condotta, sebbene non vi siano elementi in merito alla sua effettiva portata lesiva sui singoli rapporti di utenza, si è protratta per un periodo di tempo significativamente lungo: dal settembre 2000 al febbraio 2006.").

Se al concetto di "errore" può farsi riferimento, quindi, esso a tutto concedere ebbe natura giuridica, riferibile al più alla attribuzione della natura di atto di contestazione alla delibera n. 130/2006 di avvio del procedimento.

5. Per tali ragioni il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese processuali seguono la soccombenza e pertanto la società ricorrente in revocazione deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’ Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas e dell’interveniente, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in euro diecimila (Euro 10000/00) in favore dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ed euro 2000 (Euro 2000/00) in favore del Movimento Difesa del Cittadino, oltre agli accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione (RG n. 5271 del 2010) come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la ricorrente in revocazione al pagamento delle spese processuali nella misura di euro diecimila (Euro 10000/00) in favore dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ed euro 2000 (Euro 2000/00) in favore del Movimento Difesa del Cittadino, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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