Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-02-2011, n. 1175 Approvvigionamento idrico Canone

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Latina, C.D. s.p.a. in persona del legale rappresentante, concessionaria del servizio relativo al ciclo idrico integrato del Comune di Sezze, impugnava la determinazione n.602 in data 5 marzo 1998 con la quale l’Ufficio provinciale dell’industria e commercio di Latina l’aveva diffidata a rettificare il modulario delle tariffe idriche per l’anno 1997.

Lamentava violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendo quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Latina, respingeva il ricorso.

Avverso la predetta sentenza insorge C.D. s.p.a. in persona del legale rappresentante, contestando le argomentazioni che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si è costituita in giudizio la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Latina, succeduta all’Ufficio provinciale dell’industria e commercio di Latina, chiedendo la declaratoria dell’irricevibilità dell’appello ovvero dell’inammissibilità del ricorso di primo grado ovvero il rigetto nel merito del gravame.

L’appello è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 17 dicembre 2010.

Il Collegio deve preliminarmente esaminare la questione, sollevata dalla parte appellata, relativa alla tempestiva proposizione dell’appello.

Sostiene infatti l’appellata che la causa rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 23bis l. 6 dicembre 1971, n. 1034, vigente all’epoca della proposizione del gravame, ai sensi del quale il termine per la proposizione dell’appello, nelle materie ivi considerate, fra le quali rientra quella dei servizi pubblici, è di trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado.

E’ pacifico, in punto di fatto, che l’appellante non ha rispettato il suddetto termine, avendo ritenuto applicabile l’ordinario termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza sfavorevole.

Sostiene peraltro l’appellante che il termine breve si applica esclusivamente nelle controversie aventi ad oggetto problematiche relative allo svolgimento del servizio, le uniche nelle quali possono essere identificate ragioni di urgenza tali da imporre l’abbreviazione di un termine fondamentale quale quello per la proposizione dell’appello, mentre non si applica nelle controversie riguardanti questioni tariffarie, quale quella ora sottoposta al Collegio.

La tesi della parte appellata ha trovato accoglimento nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, V, 16 giugno 2009, n. 3852).

Osserva peraltro il Collegio come, indipendentemente dalla condivisibilità del suddetto orientamento, la controversia si sia svolta in termini tali da indurre in errore l’odierno appellante.

Non risulta, infatti, che i primi giudici abbiano seguito il rito di cui all’art. 23bis; in particolare, dal sito istituzionale della giustizia amministrativa non risulta che il Collegio del primo grado abbia depositato il dispositivo della sentenza entro sette giorni dalla camera di consiglio, come prescritto dal richiamato art. 23bis.

In altri termini, il rito di cui all’art. 23bis non è stato applicato, consapevolmente o meno, dal primo giudice; in tal modo, l’appellante è stato tratto in errore sull’applicabilità del termine breve per la proposizione dell’appello.

Deve quindi essere concesso l’errore scusabile.

La parte appellata deduce poi l’inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto la lesione lamentata dall’odierno appellante è stata provocata da atti precedenti a quello impugnato, rimasti privi di contestazione.

Neanche questa prospettazione può essere condivisa.

E’ vero che il provvedimento oggetto del giudizio segue ad altri atti, non impugnati.

L’Amministrazione ha infatti, correttamente, ammesso l’interlocuzione con l’appellante riguardo ad un orientamento negativo per quest’ultimo.

Di conseguenza, il procedimento non si è concluso fino all’adozione del provvedimento di cui ora si discute, che ha chiuso il contraddittorio.

Giustamente, quindi, l’appellante ha proposto le sue doglianze nei confronti di quest’ultimo atto.

L’appello deve, in conclusione, essere ammesso in rito.

Esso è anche fondato.

Il regime tariffario per l’erogazione del servizio idrico è stato stabilito nella convenzione sottoscritta il 23 dicembre 1993 fra l’appellante ed il Comune di Sezze.

In particolare, per quanto ora rileva, l’appellante con la convenzione citata si è impegnata a non praticare maggiorazioni tariffarie fino al 31 dicembre 1996.

Invero, non vi è dubbio sul fatto che il suddetto impegno sia stato rispettato.

Le parti controvertono, invece, sulla base di calcolo per la determinazione delle tariffe da applicare successivamente a tale data.

Secondo l’appellante, la base di calcolo deve essere individuata nella delibera della Giunta comunale di Sezze n. 1196 del 17 dicembre 1997.

Secondo l’Amministrazione appellata la base di calcolo, ai sensi della convenzione stipulata, deve essere individuata nella deliberazione del Comitato provinciale prezzi di Latina n. 18 del 24 luglio 1991.

Il Collegio condivide l’opinione dell’appellante.

Come già sottolineato, non è revocabile in dubbio il fatto che l’appellante non abbia applicato alcun incremento tariffario fino alla data del 31 dicembre 1996.

Il primo giudice sostiene che quelle vigenti all’epoca della stipula della convenzione debbano essere la base di calcolo anche per quelle da applicare dopo lo spirare del suddetto termine sulla base dell’inciso, contenuto nella stessa convenzione, secondo il quale "le tariffe vigenti saranno le ultime adottate".

Ad avviso del Collegio l’inciso sopra riportato, decisamente ambiguo, non può avere il significato di vietare l’intervento sul regime tariffario per il periodo successivo al 31 dicembre 1996, qualunque fatto incidente sul costo di erogazione del servizio idrico possa sopravvenire nel frattempo.

L’opposta opinione appare anzi difficilmente sostenibile sul piano logico.

Comunque, il dubbio deve essere superato sulla base dell’osservazione, formulata dall’appellante, la quale rileva come l’art. 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, stabilisce il principio della copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio del servizio idrico; di conseguenza, un incremento dei costi – di fatto riconosciuto, quanto meno come possibile, dalle delibere CIPE 10 maggio 1995, 26 giugno 1996 e 18 luglio 1997 – non coperto dalle tariffe porterebbe alla conseguenza della necessaria copertura del costo a carico della collettività anziché dell’utenza, in proporzione al consumo.

In conclusione, afferma il Collegio che l’impostazione seguita dall’Amministrazione e condivisa dal primo giudice non trova adeguata fondamento nell’enunciato dell’invocata clausola della convenzione e non collima con i principi della legislazione in materia di determinazione delle tariffe per il servizio idrico.

L’appello deve, di conseguenza, essere accolto e, in riforma della sentenza gravata, accolto il ricorso di primo grado, per l’effetto annullando il provvedimento impugnato.

In considerazione della complessità della controversia le spese devono essere integralmente compensate.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado; per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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