Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-02-2011, n. 1149 equo indennizzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appellante Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca riferisce che, con istanza presentata nel corso del 1984, il sig. Mario D.N., premesso di prestare servizio in qualità di aiutante tecnico presso un istituto magistrale di Triveneto, aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di alcune patologie (contrattura muscolare paravertebrale con lombosciatalgia bilaterale per discopatia lombare; sinusite fronto etmiodale con frequenti riacutizzazioni, formazione osteomatostica frontale o sinusite; gastroduodenite ulcerosa; colite spastica), al fine della corresponsione dell’equo indennizzo di cui all’art. 68 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

All’esito della visita in data 26 marzo 1986, la Commissione MedicoOspedaliera (d’ora innanzi: "la C.M.O.’) concluse nel senso che almeno alcune delle patologie in parola erano effettivamente riconducibili – sotto il profilo dell’eziopatogenesi – alle particolari condizioni in cui il richiedente aveva prestato servizio nel corso del tempo ("(il sig. D.N.) ha lavorato in ambienti umidi e poco riscaldati").

Il successivo 23 ottobre 1986 l’esame circa la domanda di equo indennizzo venne demandato al Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie (d’ora innanzi: "il C.P.P.O.’) il quale concluse, al contrario, nel senso che le patologie da cui era affetto il richiedente non erano riconducibili ad un causa di servizio, bensì "al progredire dell’età, sull’insorgenza e decorso della quale non può avere negativamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, il breve servizio prestato in ambienti chiusi, con mansioni impiegatizie (…)";

Conseguentemente, con atto in data 5 ottobre 1987, il Provveditore agli Studi di Campobasso dichiarò non dipendente da causa di servizio le infermità di cui sopra.

Il provvedimento venne impugnato dal D.N. al Tribunale amministrativo regionale per il Molise il quale, con sentenza 18 dicembre 1992, n. 207, ne dispose l’annullamento essenzialmente in relazione al vizio di carenza di motivazione.

Secondo il Tribunale amministrativo, infatti, a fronte di una sostanziale discrasia fra il giudizio della C.M.O. e quello del C.P.P.O. sussisteva in capo all’Amministrazione un onere motivazionale di carattere particolarmente stringente ("(un) obbligo nella specie tanto più pregnante, in considerazione della circostanza che i pareri tecnici presi a riferimento erano completamente discordanti").

Al contrario, risultava dall’esame degli atti che l’atto negativo era stato adottato facendo riferimento pressoché esclusivo – nonché sostanzialmente recettizio – al solo parere del C.P.P.O..

Oltretutto, il Tribunale amministrativo osservava che lo stesso parere del Comitato risultava a sua volta carente di motivazione per non avere esplicato i presunti errori di valutazione i quali avrebbero viziato l’opinamento della C.M.O..

All’indomani della sentenza, l’Amministrazione avviò nuovamente il procedimento in ordine alla verifica della dipendenza della patologia da causa di servizio.

Con atto in data 21 giugno 1993, il Consiglio di amministrazione espresse nuovamente parere negativo sull’istanza, ritenendo sostanzialmente persuasiva la soluzione offerta dal C.P.P.O. in data 13 ottobre 1987.

Il Consiglio, pur non prendendo espressamente posizione in ordine alle diverse conclusioni cui era giunta la C.M.O., osservava che "non possa essere considerata causa determinante (della patologia) la sola frequentazione saltuaria del laboratorio scientifico – pur carente di riscaldamento e con tracce di umidità – come risulta dalle dichiarazioni rilasciate dai Presidi succedutisi, negli anni, alla guida (dell’Istituto)".

L’atto veniva impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Molise dal sig. D.N., il quale ne lamentava il carattere sostanzialmente elusivo del giudicato formatosi sulla precedente sentenza n. 207/92.

Con la sentenza oggetto del presente gravame, il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso e disponeva l’annullamento del provvedimento impugnato, ritenendo che la sua adozione costituisse una "chiara elusione" della richiamato decisionegiudiziale.

In particolare, il primo giudice osservava che la sentenza n. 207/92 aveva sottolineato come gravasse in capo all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente stringente, il quale non avrebbe potuto dirsi soddisfatto mercé il mero richiamo alle determinazioni espresse dal C.P.P.O..

Quanto al secondo provvedimento di reiezione (in data 8 luglio 1993), il primo giudice osservava che, ancora una volta, l’atto si poggiava in modo sostanzialmente apodittico sul contenuto del verbale del C.P.P.O. in data 13 ottobre 1987 (verbale che, a sua volta, non esplicava le ragioni del dissenso in ordine a quanto affermato dalla C.M.O.).

La sentenza veniva impugnata in appello dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, articolando un unico motivo di doglianza.

Si costituiva in giudizio il D.N., che concludeva nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2010 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Molise con cui è stato annullato il decreto del Provveditore agli Studi di Campobasso che (nel ripronunciarsi su un’istanza già respinta con atto annullato dal Tribunale amministrativo regionale nel 1992) aveva nuovamente respinto l’istanza di riconoscimento di dipendenza da causa di servizio della patologia contratta dal dipendente D.N.M..

2. Con l’unico motivo di appello, il Ministero lamenta che erroneamente il primo giudice abbia ritenuto che il secondo atto negativo (8 luglio 1993) risultava elusivo del giudicato rinveniente dalla sentenza n. 207/1992 in relazione al soddisfacimento dei particolari oneri motivazionali gravanti in capo all’Amministrazione.

In particolare, il Tribunale amministrativo avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione:

– il fatto che l’atto del luglio 1993 fosse corredato da "nuovi e più esaustivi ragguagli" rispetto al primo atto del 5 ottobre 1987, in tal modo corredando la determinazione negativa di un più adeguato apparato motivazionale;

– il fatto che, comunque, al parere espresso dal C.P.P.O. fosse da conferire prevalenza in quanto a propria volta adeguatamente motivato. Oltretutto, il Tribunale amministrativo avrebbe omesso di considerare che, in base al quadro normativo sul riconoscimento della dipendenza di talune patologie da causa di servizio, l’espressione del parere dal parte del C.P.P.O. riveste una funzione "conclusiva e di riesame’, con la conseguenza che la correttezza delle valutazioni espresse dovrebbe essere riguardata in senso assoluto e non in relazione alle (in ipotesi, discordanti) valutazioni espresse dalla C.M.O.

Oltretutto, il Tribunale amministrativo avrebbe omesso di considerare che, nel discostarsi dal parere della Commissione medica ospedaliera, il C.P.P.O. avesse indicato le relative ragioni con motivazione congrua e riferita al caso concreto.

2.1. La Sezione ritiene che i motivi di appello richiamati siano meritevoli di accoglimento.

2.2. Al fine della corretta impostazione vicenda, appare logicamente preliminare identificare i termini degli obblighi conformativi ricadenti in capo all’amministrazione a seguito della sentenza di annullamento n. 297/92 e, in particolare, in ordine alla portata degli oneri motivazionali così imposti.

Il Collegio ritiene al riguardo che l’atto 8 luglio 1993 sia esente dai vizi ritenuti in prime cure e che il Provveditorato non abbia violato gli obblighi motivazionali rinvenienti dal quadro normativo e dal contenuto prescrittivo della sentenza del 1992.

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto l’atto impugnato fosse affetto da difetto di motivazione sotto un duplice profilo:

– sotto un primo aspetto, per essere immotivata la determinazione del C.P.P.O., che aveva ribaltato il giudizio di dipendenza da causa di servizio delle patologie senza esporre le ragioni per cui erano state ritenute non attendibili le opposte conclusioni cui era pervenuta la C.M.O.;

– sotto un altro aspetto, per essere immotivato il giudizio del Comitato, che avrebbe fondato il proprio avviso negativo su dati e circostanze in nessun modo condivisibili.

È prevalente l’orientamento giurisprudenziale per cui si deve escludere che, in base al quadro normativo delineato dal T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092, l’amministrazione, quando intendeva uniformarsi al giudizio medico legale del C.P.P.O., dovesse motivare specificamente indicando le ragioni che l’avevano indotta a preferire il parere del Comitato anziché quello del Collegio medico.

Secondo tale orientamento – che merita di essere condiviso – il giudizio del Comitato svolge una funzione di sintesi e di composizione dei diversi pareri resi dagli organi intervenuti nel procedimento, attraverso la riconduzione a principi comuni delle attività svolte dalle commissioni mediche intervenute nel procedimento: sicché non è configurabile alcuna contraddittorietà nel caso di contrasto fra le valutazioni espresse dal Comitato e quelle precedenti di altri organi (ex plurimis: Cons. Stato, IV, 25 maggio 2005, n. 2676).

La particolare funzione del giudizio del Comitato nell’ambito del procedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio è stata chiarita dall’art. 5bis d.l. 21 settembre 1987, n. 387, secondo cui "i giudizi collegiali adottati dalle commissioni mediche ospedaliere sono da considerarsi definitivi (…) ai fini del riconoscimento delle infermità per la dipendenza da causa di servizio, salvo il parere del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie di cui all’articolo 166 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in sede di liquidazione della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo".

Giova rammentare che nelle vigenza del richiamato quadro normativo, la giurisprudenza, dopo una prima fase in cui aveva affermato che la scelta di discostarsi dal parere della C.M.O. per aderire a quello – in ipotesi, opposto – del C.P.P.O. andava puntualmente motivata, è giunta a diverse conclusioni: per cui, in materia di equo indennizzo, l’ordinamento non mette a disposizione dell’Amministrazione una serie di pareri pariordinati resi da organi consultivi diversi e dotati di identica competenza sui quali orientarsi, ma affida al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie il compito di esprimere un giudizio conclusivo, anche sulla base di quello reso dalla Commissione medica ospedaliera.

Ne consegue che, in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi precedentemente intervenuti, si impone il parere del C.P.P.O. e l’amministrazione attiva non è tenuta a specificare le ragioni della preferenza accordata al suo parere, sempre che risulti congruo sul versante istruttorio e su quello motivazionale (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 2002, n.4811; VI, 22 gennaio 2001 n.183; VI, 12 gennaio 2000 n.204).

Tanto premesso sotto il profilo generale, si osserva che la sentenza qui gravata appare meritevole di riforma, dal momento che:

– non gravava in capo al C.P.P.O. alcuno specifico onere motivazionale in ordine alle ragioni che lo avevano indotto a discostarsi dall’avviso della C.M.O., atteso che la particolare collocazione sistematica del giudizio del Comitato e la sua sostanziale autonomia nell’ambito della complessiva fattispecie rendeva non necessaria un’approfondita motivazione in tal senso;

– l’esame degli atti di causa dimostra che lo stesso giudizio del Comitato è stato caratterizzato da intrinseca attendibilità e che evidenziava in modo plausibile le ragioni per cui riteneva che le patologie del D.N. non erano riconducibili, dal punto di vista dell’eziopatogenesi, alle condizioni lavorative proprie delle mansioni assegnategli;

– ancora, attesa la collocazione sistematica del giudizio del C.P.P.O., non gravava sull’Amministrazione un particolare onere motivazionale e ulteriore in ordine alle ragioni che l’avevano indotta ad aderire alle indicazioni del Comitato.

Conclusioni diverse non sono legittimate dal fatto che la sentenza del Tribunale amministrativo regionale. del 1992 aveva annullato il primo atto negativo in relazione ad un vizio motivazionale.

Si osserva al riguardo che, anche a valorizzare in massimo grado la portata conformativa del giudicato di annullamento, non è dato ritenere che dalla decisione giudiziale possano derivare obblighi di motivazione ulteriori e diversi rispetto a quelli direttamente rinvenienti dal pertinente quadro normativo.

3. Il ricorso in appello deve perciò essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza oggetto di gravame, va disposto il rigetto del ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellato alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.500 (tremilacinquecento), oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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