Cass. civ. Sez. V, Sent., 15-04-2011, n. 8681 agevolazioni tributarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con avviso notificato il 18.06.2004, l’Ufficio disponeva il recupero del credito di imposta, utilizzato in compensazione dalla società negli anni 2002, 2003 e 2004, per incremento occupazionale connesso a nuove assunzioni, e ritenuto indebitamente fruito.

In data 21.07 2004, la società presentava istanza di accertamento con adesione, che veniva respinta dall’Ufficio, il quale, a sua volta, riconoscendo che l’avviso emesso fosse viziato, lo annullava in autotutela e, quindi, emetteva altro avviso, che veniva notificato in data 06.12.2004.

La società impugnava in sede giurisdizionale tale ultimo avviso e l’adita CTP di Roma respingeva il ricorso, con decisione che veniva confermata dai Giudici di secondo grado.

Con ricorso spedito a notifica, tramite posta, il 21.06.2008, l’Offitel srl, ha chiesto la cassazione della decisione di appello e con successiva memoria del 31.01.2011 ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni.

L’Agenzia Entrata, giusto controricorso, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.
Motivi della decisione

La decisione impugnata ha risolto le questioni preliminari, per un verso, opinando per l’infondatezza, attesa l’inesistenza di norma sanzionatoria, della preliminare eccezione di nullità dell’avviso di recupero d’imposta per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 e, sotto altro profilo, ritenendo valido, sia il pvc, atteso che gli elementi contenuti nell’atto erano idonei a rendere inequivoca la provenienza dell’atto dall’Ufficio emanante, sia pure la notifica, stante che sulla busta contenente l’atto risultavano apposti, a stampa, non solo l’Ufficio di provenienza ma anche il nome e la qualifica del Messo notificatore.

Nel merito, i Giudici di appello, hanno, poi, evidenziato l’insussistenza dei presupposti necessari per giustificare il riconoscimento dell’invocata agevolazione, rilevando che, per una dipendente, non sussisteva il requisito soggettivo dell’età e che, per l’altra, la società aveva omesso di inoltrare l’istanza preventiva, prescritta dalla L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 3.

I primi due mezzi, con i quali si denuncia, sotto un duplice profilo, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 sono inammissibili e, comunque, infondati.

L’inammissibilità è connessa all’inconferenza dei quesiti.

Infatti, ai ricorsi proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati a partire dal 2.03.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto (Cass. SS.UU. n. 23732/2007, n. 23153/2007, n. 20360/2007, n. 19892/2007), mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o carente, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. SS.UU. n. 20603/2007, n. 16002/2007). Nel caso, la formulazione dei motivi risulta inconferente, non soddisfacendo i requisiti postulati dall’art. 366 bis c.p.c., dal momento che gli stessi, contengono un generico interpello, e non si concludono, con la esplicita formulazione di puntuali, conferenti quesiti, dando risposta ai quali la decisione avrebbe dovuto essere cassata in base ad un corrispondente principio di diritto.

I mezzi, in ogni caso, risultano infondati, stante che, in relazione ai denunciati vizi, la normativa vigente ed applicabile, non prevede la sanzione della nullità dell’atto.

Il terzo motivo, con il quale si prospetta violazione della L. n. 289 del 2002, art. 63 in relazione alla L. n. 388 del 2000, art. 7 per avere ricollegato effetti preclusivi dell’agevolazione alla circostanza che la società non aveva tempestivamente inoltrato La comunicazione prevista dalla data disposizione di legge, è, del pari, infondato, sulla base del principio, affermato, anche da recente, da questa Corte (Cass. n. 3578/2009) secondo il quale "L’imprenditore ammesso a beneficiare, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 dei contributi, concessi sotto forma di credito d’imposta, per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate del Paese, decade da tale beneficio ove abbia omesso di presentare (come previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. e)), nel termine del 28 febbraio 2003, la comunicazione telematica avente ad oggetto le informazioni sul contenuto e la natura dell’investimento effettuato (cosiddetto "modello CVS") essendo il suddetto termine previsto dall’art. 62 cit. a pena di decadenza, e non avendo, altrimenti, alcun senso la sua previsione ove il beneficio del contributo fosse subordinato alla realizzazione dell’investimento, e non anche all’invio della comunicazione telematica" (Cass. n. 3578/2009).

Alla stregua di tale principio, la formulata doglianza non può essere condivisa, tenuto conto che è circostanza incontestata che la società non ha inviato la comunicazione telematica entro il prescritto termine decadenziale del 28 febbraio 2003.

Il quarto ed ultimo mezzo, infine, con il quale si censura l’impugnata decisione per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 34 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 è, pure, privo di fondamento, non potendosi condividere la prospettata tesi dell’inapplicabilità delle sanzioni al procedimento per il recupero di crediti d’imposta.

Ritiene, in vero, il Collegio che ove i crediti d’imposta per incremento occupazionale, vengano utilizzati in compensazione di imposte dovute, in assenza dei relativi presupposti, si concretizzi una ipotesi di omesso versamento di imposta dovuta, sanzionabile ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

I compensi e le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati, in favore dell’Agenzia Entrate, in Euro mille, a titolo di onorario, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia Entrate, delle spese del giudizio, in ragione di Euro mille, a titolo di onorario, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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