T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., 24-02-2011, n. 1111 sindaco

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto parte ricorrente di svolgere attività casearia nella produzione industriale di mozzarella di bufala in Mondragone, sottolineando come in tale campo vi sia una produzione elevata in periodo invernale e scarsa nel periodo estivo. In particolare la ricorrente è stata autorizzata alla concentrazione del latte che sottopone a congelamento avvalendosi di F.C. srl ed il peso sulle bolle viene espresso con approssimazione, alla sola funzione di regolamentare il corrispettivo dell’appalto del servizio di congelamento e relativa custodia, dunque senza pretesa di rispondere al peso effettivo. Viceversa, a seguito di un’ispezione presso la F.C. ed al blocco del prodotto ivi custodito come sottoposto ad approssimative operazioni di pesatura, con l’ordinanza impugnata è stato disposto il sequestro sanitario non solo degli asseriti kg.51.931,94 sottoposti all’incerta pesatura, ma anche degli ulteriori kg.1.485.519 di latte congelato intero di bufala concentrato.

Il Comune si è costituito per sostenere l’inammissibilità del ricorso e comunque la sua infondatezza; l’Avvocatura Distrettuale dello Stato ha depositato varie note finalizzate a ricostruire il quadro normativo della materia e ad evidenziare la correttezza degli accertamenti posti a base dei provvedimenti impugnati anche attraverso motivi aggiunti, pure con riguardo alle analisi effettuate dall’Istituto Zooprofilattico che avrebbero evidenziato la presenza di cariche batteriche ed anzi di agenti patogeni; l’ASL di Caserta ha eccepito l’improcedibilità e comunque l’infondatezza del ricorso; la F.C. ha spiegato atto di intervento per chiedere l’accoglimento del ricorso anche in ragione del grave danno recato dalla diffida a non movimentare il latte congelato presente nei suoi magazzini, oltre che dal timore di non percepire alcun pagamento dai caseifici depositanti

Con motivi aggiunti sono stati poi gravati di impugnazione prima l’ordinanza n.85 del 12/7/2010 con cui venivano disposti nuovi accertamenti analitici sull’intero quantitativo di kg.1.537.450,94 di latte congelato bufalino già oggetto di sequestro sanitario, poi le note del 20/7/2010 e l’ordinanza n.148/2010 che, anche a seguito del dissequestro, "prevede l’invio del predetto latte congelato presso la struttura di trasformazione sotto vincolo sanitario con l’obbligo di sottoporre lo stesso al trattamento termico ed alla trasformazione, il tutto alla presenza degli Organi di Vigilanza".

Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione come da verbale.
Motivi della decisione

1.Con il ricorso in esame parte ricorrente lamenta l’incompetenza del Sindaco, la carenza di istruttoria, la violazione dell’art.18 del Regolamento CE n.882/2004, dell’art.1 della Legge n.283/1962 e dell’art.20 del DPR n.327/1980, nonché l’eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, per difetto di motivazione e per carenza di istruttoria, formulando richiesta di risarcimento dei danni.

2. Il Collegio ritiene di prescindere dalle eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità attesa l’infondatezza nel merito per i motivi di seguito esposti.

3. Occorre in via preliminare dare atto che nel corso dell’anno 2010 sono state intraprese dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali alcune iniziative per coordinare l’attività di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla DOP Mozzarella di Bufala Campana; muovendo dal concetto di sicurezza alimentare quale esclusione della possibilità che prodotti alimentari possano causare danni al consumatore se preparati e/o consumati in conformità all’utilizzo, i citati obiettivi presuppongono la prevenzione e repressione di frodi commerciali quale l’immissione di latte congelato nella mozzarella di bufala campana, anche attraverso controlli in ordine alla tracciabilità della filiera ed alla identità delle partite, oltre al completamento del piano già in essere di eradicazione della brucellosi bufalina.

3.1 Proprio nell’ambito delle citate ispezioni all’interno dei centri di congelamento si devono collocare i fatti all’origine del presente gravame, come proposto avverso provvedimenti consequenzialmente adottati dal Comune di Gricignano d’Aversa e dall’ASL di Caserta ed oggetto di impugnazione sia attraverso il ricorso introduttivo, sia con motivi aggiunti, a mezzo dei quali sono stati disposti nell’ordine il sequestro sanitario di kg.51.931,94+kg.1.485.519 di latte congelato intero di bufala concentrato di proprietà della ricorrente e depositato presso la F.C., nuovi accertamenti analitici sull’intero quantitativo di kg.1.537.450,94 di latte congelato bufalino già oggetto di sequestro sanitario ed, infine, l’invio del predetto latte congelato presso la struttura di trasformazione sotto vincolo sanitario con l’obbligo di sottoporre lo stesso al trattamento termico ed alla trasformazione, il tutto alla presenza degli Organi di Vigilanza.

4. In ordine alla dedotta incompetenza del Sindaco, il Collegio osserva che sovente si fa ricorso ad ordinanze contingibili ed urgenti adottate dal Sindaco quale Ufficiale di Governo al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini, per la cui esecuzione è anche possibile richiedere al Prefetto l’assistenza della forza pubblica; detto potere di urgenza può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni (ex multis, T.A.R. Piemonte, II, 12.6.2009, n.1680), anche se l’obiettivo può essere di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini (T.A.R. Lazio, Roma, II, 17.6.2009, n.5726; Cons. Stato, V, 7.4.2003, n.1831; 2.4.2001, n.1904; Cass. Civ., SS.UU., 17.1.2002, n.490). Chiarito che tale potere di provvedimenti contingibili ed urgenti spetta solo al Sindaco quale Ufficiale di Governo (TAR Piemonte, II,18.12.2010, n.4584), si tratta allora di stabilire se il potere sia stato esercitato sulla base di una congrua attività di individuazione e rappresentazione della situazione di urgente necessità alla base dello stesso; è noto che presupposto delle ordinanze in questione è la presenza di situazioni caratterizzate, da un lato, dall’urgenza di provvedere e, dall’altro, dalla necessità di provvedere in un modo determinato, diverso dall’ordinario. Da qui la caratterizzazione di una nozione di urgente necessità, che non rimanda ad un’espressione che esprime una mera endiadi, ma comprende, invece, sia l’immediatezza dell’intervento, sia l’impossibilità di adottare una soluzione (diversa) ordinaria.

Con queste premesse, la Sezione ritiene legittimo l’intervento comunale per la salvaguardia dell’igiene pubblica effettuato d’urgenza per far cessare al più presto la minaccia indicata, atteso che già l’art. 38, comma 2, della Legge n.142 del 1990 prevedeva l’adozione da parte del Sindaco di provvedimenti contingibili e urgenti proprio "in materia di sanità e igiene". Ora è pacifico che, per l’adozione di tale provvedimento, sia sufficiente la minaccia di danni alla salute pubblica: infatti il provvedimento contingibile ed urgente emesso dal Sindaco ai sensi della norma citata, quando mira alla tutela della salute pubblica, può essere adottato non solo per porre rimedio a danni già verificatisi alla salute, ma anche e soprattutto per evitare che tali danni si verifichino, come appunto nella fattispecie in esame allorchè era stata accertata un’ipotesi di pericolo per la salute pubblica, risultando dunque in claris gli elementi di prova idonei a giustificare la convergenza tra l’atto impugnato e la sua tipica funzione istituzionale. Nella fattispecie tali presupposti erano certamente costituiti dall’accertamento nel latte peraltro già sottoposto a trattamento termico – dunque di abbattimento delle cariche – di un valore di microrganismi u.f.c./g (ml) pari a 120.000.000 (centoventimilioni) laddove il valore normale per il latte crudo di altra specie ai sensi del Reg.CE n.853/2004 è di 1.500.000 (un milione e mezzo), nonché di valori di "enterobacteriaceae" pari a 55 u.f.c./g mentre il limite imposto è di 10 u.f.c./g.

4.1 Quanto, poi, alle ulteriori dedotte violazioni di legge che si prestano ad una trattazione unitaria, si osserva che proprio questo Tribunale (III, 5.12.2007, n.15770) ha affermato in passato che la violazione delle norme poste a tutela dell’igiene e della sanità pubblica, quando è constatata dalla ASL, è requisito sufficiente per disporre la sospensione dell’attività di somministrazione fino al ripristino delle condizioni igienico sanitarie, senza che occorra anche la prova della effettiva lesione del bene protetto; trattasi, infatti, di norme che sono finalizzate ad evitare il verificarsi di un pericolo di danno per la salute pubblica e l’igiene e, pertanto, non occorre anche la prova della effettiva lesione di questi beni, né può essere ammessa a discarico la prova della mancanza della loro effettiva compromissione, essendo sufficiente la sussistenza del concreto ed effettivo pericolo che i beni protetti siano compromessi. Corretta risulta, dunque, l’attività amministrativa quale svolta a seguito del rinvenimento di quantitativi di latte stoccati nelle cellefrigo e scaduti di validità da anni, nei quali era stata accertata la presenza di "enterobacteriaceae" per cui, anche a seguito della pastorizzazione del latte bufalino, non si erano raggiunti i limiti microbiologici definiti dai criteri microbiologici di sicurezza alimentare.

4.1.1 Sotto diverso profilo va evidenziato che, con sentenza n.434/1990, la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità dell’art.1, comma 2, della L. n. 283/1962 nella parte in cui non prevedeva che – per i casi di analisi su campioni prelevati da sostanze alimentari deteriorabili – il laboratorio competente desse avviso dell’inizio delle operazioni alle persone interessate, affinchè queste potessero presenziare ad esse, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. Le procedure di cui all’art. 223 disp. att. c.p.p. sono state espressamente richiamate poi dal D.Lgs. n. 123 del 1993, concernente i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili; in particolare l’art. 223 disp. att. c.p.p., comma 1, si riferisce alle analisi di campioni per i quali non è prevista la revisione ed è evidente che, in questo caso, deve essere assicurata subito un’adeguata difesa ai soggetti interessati alle analisi, giacchè altrimenti risulterebbe definitivamente pregiudicata la loro successiva posizione processuale. In tali casi la norma dispone l’obbligo di avvertirli – anche oralmente e senza specifico onere di verbalizzazione – dell’ora e del luogo ove le analisi verranno effettuate; detto preavviso costituisce l’unico requisito di utilizzabilità in giudizio delle analisi dei campioni, che sono atti tipicamente amministrativi e non giudiziari, ma hanno piena rilevanza probatoria nell’ambito del processo penale. Sempre l’art. 223 disp. att. c.p.p., al comma 3 subordina la possibilità di raccogliere, nel fascicolo per il dibattimento, "i verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi" alla specifica condizione che "siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2", e dunque che sia dato avviso agli interessati nei termini indicati.

Viceversa, proprio con riferimento al caso di specie, la giurisprudenza (Cass. Pen., III, 19.11.2009, n.2360) ha osservato che l’art. 223 disp. att. c.p.p., al comma 2, disciplina l’ipotesi in cui sia prevista la revisione delle analisi ed essa sia richiesta. In tal caso agli interessati ed agli eventuali loro difensori devono essere comunicati – almeno tre giorni prima – la data, l’ora ed il luogo di espletamento esclusivamente delle operazioni di revisione, non essendo in alcun modo garantita la possibilità di partecipazione alle prime analisi. In definitiva, dunque, il Legislatore – considerando che le analisi dei campioni vengono effettuate pur sempre nell’ambito di una fase amministrativa – ha individuato due momenti differenti in cui sorge l’obbligo (pena la inutilizzabilità dei risultati delle stesse) di avvertire gli interessati per assicurare loro un’adeguata tutela: 1) subito dopo il campionamento ed in tempo utile per assistere alle prime analisi, per i campioni per i quali non è prevista la revisione; 2) dopo le prime analisi, quando la revisione sia possibile e venga richiesta dagli interessati, ed almeno tre giorni prima di essa. Ovviamente la concreta possibilità di effettuare la revisione delle analisi è collegata ad un dato obiettivo: la non deteriorabilità del campione, sussistendo altrimenti la fisica impossibilità di una reiterazione di esse; pertanto, quando il campione non è deteriorabile, legittimamente viene esclusa dalla legge la partecipazione degli interessati alle prime analisi, giacchè la revisione consentirebbe comunque, anche se in un momento successivo, di esercitare le garanzie difensive spettanti all’interessato (Cass. Pen., III, 13.11.1997, n.11828, Andergassen ed altro). Circa i controlli microbiologici, in caso di sostanza alimentare classificata deteriorabile ai sensi del D.M. 16 dicembre 1993, il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, che rappresenta un’altra normativa basilare in materia, pone – a carico del responsabile del laboratorio – l’effettuazione di una "preanalisi" su un’aliquota del campione, ovviamente senza alcuna tutela dei diritti della difesa, e l’obbligo, in caso di non conformità dello stesso, d’avvertire tempestivamente l’interessato, specificando il parametro difforme e la metodica seguita e comunicando il luogo, il giorno e l’ora in cui le analisi saranno ripetute "limitatamente ai parametri risultati non conformi". Quindi, anche in tale ipotesi, la norma non prevede alcuna revisione di analisi non essendo essa assolutamente possibile con riferimento ad alimenti deteriorabili, bensì una ripetizione "garantita" di analisi effettuate inizialmente a solo fine conoscitivo, da espletare ovviamente a breve distanza di tempo da queste, su una seconda quota dello stesso campione; del resto, che non si tratti di revisione di analisi lo si deduce anche dal menzionato D.M. 16 dicembre 1993 (Individuazione delle sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime di controlli microbiologici ufficiali), che espressamente (art. 2), per i prodotti deteriorabili de quibus, non riconosce la possibilità di effettuare l’analisi di revisione secondo le modalità di cui all’art.1 della L. n. 283 del 1962.

4.2 Quanto, poi, alla dedotta carenza di istruttoria, pare al Collegio che dagli atti risulti in maniera inequivocabile lo scarto tra giacenza fisica (kg.51.931,94) e contabile (kg.49.896) dello stoccato latte di bufala concentrato, il che aveva fatto venir meno le condizioni di rintracciabilità del prodotto; non convincenti risultano, sul punto, le argomentazioni spiegate da parte ricorrente per ricondurre tale scarto al peso aggiunto della brina e dell’umidità di cui erano imbevuti i vari elementi di cartone e la stessa pedana. In ordine al provvedimento adottato da ultimo e, a mezzo del quale, è stato disposto l’invio del predetto latte congelato presso la struttura di trasformazione sotto vincolo sanitario con l’obbligo di sottoporre lo stesso al trattamento termico ed alla trasformazione, il tutto alla presenza degli Organi di Vigilanza, il medesimo non ha potuto ignorare il vincolo sanitario conseguente all’esito delle analisi come effettuate e che avevano evidenziato valori di microrganismi u.f.c./g (ml) pari a 120.000.000 (centoventimilioni) – in luogo di 1.500.000 (un milione e mezzo) e di "enterobacteriaceae" pari a 55 u.f.c./g – il limite imposto è di 10 u.f.c./g.; i controlli, peraltro, erano stati effettuati presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno in Portici (Na) che è uno dei 10 Istituti Zooprofilattici presenti in Italia, Enti sanitari di diritto pubblico operanti nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, strumenti con carattere tecnicoscientifico dello Stato in materia di igiene e sanità pubblica.

4.2.1 Dunque, a parere della Sezione, l’operato di parte resistente risulta pienamente conforme al principio di precauzione, costituente uno dei canoni fondamentali del diritto dell’ambiente e alla salute (Cons. Stato, n. 30 del 2009). Com’è noto, il principio di precauzione può essere definito come un principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente e, se si pone come complementare al principio di prevenzione, si caratterizza anche per una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche previste, una tutela dunque che non impone un monitoraggio dell’attività a farsi al fine di prevenire i danni, ma esige di verificare preventivamente che l’attività non danneggia l’uomo o l’ambiente. Tale principio trova attuazione facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 304 del 2005 nonché, da ultimo, TRGA TrentinoAlto Adige, TN, 8 luglio 2010 n.171) e riceve applicazione in tutti quei settori ad elevato livello di protezione, ciò indipendentemente dall’accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano come peraltro più volte statuito anche dalla Corte di Giustizia comunitaria, la quale ha in particolare rimarcato come l’esigenza di tutela della salute umana diventi imperativa già in presenza di rischi solo possibili, ma non ancora scientificamente accertati, atteso che, essendo le istituzioni comunitarie e nazionali responsabili – in tutti i loro ambiti d’azione – della tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE, 26.11.2002 T132; sentenza 14 luglio 1998, causa C248/95; sentenza 3 dicembre 1998, causa C67/97, Bluhme; Cons. Stato, VI, 5.12.2002, n.6657; T.A.R. Lombardia, Brescia, 11.4.2005, n.304). In definitiva l’obbligo giuridico di assicurare un "elevato livello di tutela della salute umana", con l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, tende a spostare il sistema giuridico europeo dalla considerazione del danno da prevenire e riparare alla prevenzione, alla correzione del danno alla fonte, alla precauzione (principio distinto e più esigente della prevenzione), alla integrazione degli strumenti giuridici tecnici, economici e politici per uno sviluppo economico davvero sostenibile ed uno sviluppo sociale che veda garantita la qualità della vita e della salute quale valore umano fondamentale di ogni persona e della società (informazione, partecipazione ed accesso). La stessa politica della Comunità in materia mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni, ed è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati alla salute; come significato dalla più autorevole giurisprudenza formatasi sul punto, "l’applicazione del principio di precauzione comporta, in concreto, che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione precoce, anticipatoria rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche. E’ evidente, peraltro, che la portata del principio in esame può riguardare la produzione normativa in materia ambientale o l’adozione di atti generali ovvero, ancora, l’adozione di misure cautelari, ossia tutti i casi in cui l’ordinamento non preveda già parametri atti a proteggere l’ambiente dai danni poco conosciuti, anche solo potenziali" (cfr. sul punto, ex ultimis, T.A.R Piemonte, I, 3.5.2010 n.2294).

4.3 La reiezione del ricorso, come proposto anche attraverso motivi aggiunti, per le ragioni dianzi illustrate determina il non accoglimento anche della richiesta di risarcimento dei danni formulata in sede ricorsuale.

5. Per questi motivi il ricorso in oggetto, come proposto anche attraverso motivi aggiunti ed atto di intervento con le richieste ivi rassegnate, va rigettato.

In ragione della complessità della vicenda sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto anche attraverso motivi aggiunti ed atto di intervento, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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