T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, Sent., 24-02-2011, n. 103 Trattamento economico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I ricorrenti sono tutti militari collocati in congedo a domanda, i quali lamentano che la cessazione del servizio nel periodo compreso tra il 28.9.2006 ed il 31.12.1997 non ha permesso loro di godere dell’ausiliaria perché congelata dai decreti legge nn. 505 e 606 del 1997 – non convertiti in legge – il primo dei quali la aveva ristretta al solo personale cessato per raggiungimento del limite di età previsto per il grado rivestito ed i cui procedimenti erano stati "sospesi " ad opera del secondo. Gli stessi lamentano di non essersi neanche potuti avvalere della facoltà di riscattare i sei aumenti periodici di stipendio di cui al D.lgs 165/97, dal momento che questo veniva interpretato senza possibilità di applicazione retroattiva e quindi come operante solo dal 1.1.1998.

Sotto la rubrica dell’eccesso di potere per errata interpretazione della legge i ricorrenti lamentano la sperequazione creatasi a danno del personale in questione, che è risultato penalizzato sia nei confronti di quanti avevano in precedenza goduto dell’ausiliaria sia di coloro che sono andati in quiescenza, a domanda, a partire dal 1 gennaio 1998 e hanno potuto riscattare i 6 scatti stipendiali.

Il Ministero si è costituito in giudizio e ha contro dedotto per il rigetto del ricorso, preliminarmente eccependo la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo trattandosi di materia pensionistica riservata alla Corte dei Conti.

Con il ricorso in esame si chiede quindi a questo Tribunale di emettere una pronuncia dichiarativa circa il diritto dei ricorrenti, già appartenenti alle Forze armate e cessati dal servizio a domanda, di riscattare i sei aumenti periodici di stipendio di cui all’art. 4, secondo comma, del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 165.

In subordine essi sollevano la eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 del medesimo D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 165.

In rito, va riconfermato l’orientamento già assunto da questo TAR con la precedente sentenza n. 36/2009 e disattesa l’eccezione con la quale la Difesa erariale ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, "trattandosi di materia riservata al giudice contabile".

Come già chiarito viene sostanzialmente richiesto dai ricorrenti il corretto computo della base stipendiale da considerare ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza, ed essendo dedotta quale causa petendi la violazione delle norme relative alla retribuzione contributiva del personale appartenente al pubblico impiego, non vi è dubbio che la domanda dei medesimi ricorrenti ha titolo diretto ed immediato nel rapporto di pubblico impiego e nei relativi diritti ed obblighi dallo stesso nascenti.

Pertanto, concernendo la presente controversia la quantificazione stessa del trattamento retributivo, sia pure ai fini del diverso e successivo trattamento di quiescenza, la stessa è devoluta alla giurisdizione esclusiva dell’adito giudice amministrativo (Cfr., ex pluribus, Cons. St., VI Sez., 8 ottobre 1992, n. 716; VI Sez., 20 ottobre 1986, n. 801; T.A.R. Lazio, III Sez., 25 settembre 1992, n. 1181; T.A.R. Calabria,14 gennaio 1995,n.24).

Va soggiunto che la questione dell’individuazione del giudice competente a conoscere le controversie, aventi ad oggetto la determinazione della retribuzione contributiva del dipendente pubblico ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, è stata risolta dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel senso che la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di pensioni è limitata solo a quanto concerne con immediatezza (anche nella misura), il sorgere, il modificarsi e lo estinguersi totale o parziale del diritto a pensione in senso stretto, restando esclusa da tale competenza ogni questione connessa con il rapporto di pubblico impiego, quale appunto la determinazione della base pensionabile e dei relativi contributi da versare, sulla quale, invece, la giurisdizione è del giudice amministrativo.

Tale orientamento ha trovato la piena adesione della Corte suprema di cassazione, la quale ha costantemente affermato che in tema di previdenza e assistenza obbligatoria in favore di dipendenti pubblici, restano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie promosse dal dipendente nei confronti del datore di lavoro, sia per far valere l’obbligo di quest’ultimo al versamento dei contributi assicurativi e, quindi, ai fini della determinazione annua contributiva, sia per invocare la responsabilità risarcitoria per omessa contribuzione, riguardando la giurisdizione della Corte dei conti le sole controversie strettamente attinenti al diritto a pensione, nonché quelle immediatamente connesse a tale diritto (Cfr. Cons.St., Ad plen.,1°dicembre 1995, n. 32).

Nel merito il Collegio conferma ancora il proprio precedente giurisprudenziale sopra ricordato e si determina per il rigetto non ravvisando ragioni per disattendere le conclusioni già raggiunte con la succitata sentenza.

Infatti il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165 è entrato in vigore il 1° gennaio 1998 (art. 8).

La formulazione dell’art. 4 del decreto in parola, chiara ed inequivocabile, non lascia adito a dubbi sul fatto che la decorrenza del beneficio dei sei aumenti periodici di stipendio trovi applicazione per entrambe le ipotesi contemplate nei commi 1 e 2 (rispettivamente: cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda e cessazione dal servizio a domanda).

Il comma 2, contrariamente a quanto opinano i ricorrenti, contiene una (doverosa) specificazione per quanto riguarda le cessazione dal servizio a domanda (non prevista dal primo comma), ma non tocca la decorrenza del beneficio, che non può essere che quella indicata dal primo comma, ossia il 1° gennaio 1998.

Trattasi, in sostanza, di una previsione – quella del secondo comma – che ha una sua autonomia solo per quanto riguarda le modalità di attribuzione del beneficio ("previo pagamento della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito"), ma non per quanto riguarda la decorrenza.

Ciò è confermato in modo tranciante dalla formulazione letterale del secondo comma: "Gli aumenti periodici di cui al comma 1 sono, altresì, attribuiti al personale che cessa dal servizio a domanda".

Il riferimento al "personale che cessa dal servizio a domanda" sta, chiaramente, a significare che la disposizione vale per il futuro, con esclusione di qualsiasi effetto retroattivo (che pure il legislatore avrebbe potuto, nella sua discrezionalità, introdurre) ma che non può esservi invece introdotto per via interpretativa andando, oltretutto, contro la lettera della legge.

Da quanto sopra considerato consegue anche che si appalesa manifestamente infondata ogni possibile denuncia di disparità di trattamento, come pure di lesione della dignità del lavoro e del lavoratore o di violazione del principio di proporzione della retribuzione rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato ( artt. 3 e 36 Cost.), posto che – come si è detto – il legislatore ha fatto uso della discrezionalità di cui è portatore in modo non irragionevole e discriminatorio: è evidente che la successione nel tempo delle disposizioni in materia di trattamento economico (in senso lato) può comportare – e gli esempi sono diversi – una differenziazione anche in pejus per determinati dipendenti cessati dal servizio rispetto ad altri dipendenti cessati dal servizio successivamente; non per questo le nuove disposizioni devono tener necessariamente conto – attraverso una previsione retroattiva – di tutte le pregresse situazioni, che, oltretutto, riposano – di regola – su dei presupposti contingenti.

Al riguardo va ricordato che è nell’ordine generale della funzione legislativa che le nuove norme non dispongano che per l’avvenire, salvo differente scelta del legislatore, che (ove non sia espressamente vietato dallo stesso sistema dei principi costituzionali) è insindacabile anche dalla Corte costituzionale (Cfr., tra le tante, Cons. St., V, 8 febbraio 2005, n. 332).

In conclusione, alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti per giusti motivi.
P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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