Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-01-2011) 25-02-2011, n. 7425

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 28 settembre 2009, ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 24 maggio 2006 che aveva condannato R.R. alla pena di mesi due di reclusione per il delitto di lesioni personali in danno di C.F..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentandone:

a) la manifesta illogicità, quanto alla ritenuta attendibilità della parte offesa;

b) la manifesta illogicità, quanto alla ritenuta ininfluenza delle deposizioni testimoniali a discarico.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è chiaramente infondato e non merita accoglimento.

2. Giova premettere in diritto, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

In fatto, questa volta, si osserva come i motivi di ricorso risultino simili se non identici a quelli presentati in sede di appello e disattesi dalla Corte territoriale (v. pagine 1 e 2 della motivazione) per cui il ricorso sarebbe affetto da una genericità ai limiti dell’inammissibilità.

A ciò si aggiunga come le dichiarazioni della parte lesa siano state ritenute, con motivazione pienamente logica, del tutto attendibili nonchè corroborate dalle ulteriori acquisizioni probatorie (in particolare la certificazione medica del tutto compatibile con il racconto dei fatti) e che dalle ulteriori deposizioni testimoniali ( D., G.) non possa trarsi alcun elemento a vantaggio dell’odierno ricorrente.

E ancora pienamente presente, nello svolgimento della motivazione, risulta essere lo stato dei luoghi (v. pagina 3 della motivazione) per cui neppure in relazione a tale situazione può parlarsi di manifesta illogicità della decisione stessa.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla p. civile, liquidate in Euro 1.150 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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