T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 24-02-2011, n. 1737 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premette in fatto parte ricorrente una puntuale ricostruzione delle vicende che hanno originato il procedimento di accertamento della sussistenza di un’ipotesi di pubblicità ingannevole confluito nell’adozione del gravato provvedimento sanzionatorio, illustrando nel dettaglio il contenuto nel messaggio pubblicitario diffuso sul proprio sito internet, anche nelle successive versioni risultanti dalle modifiche apportate sulla base dei rilievi formulati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Con nota del 5 maggio 2009 è stato comunicato l’avvio del procedimento in relazione alla terza versione del messaggio, ritenendo l’Autorità che la stessa recasse un’informazione non veritiera idonea a creare falsi affidamenti, non consentendo conseguentemente l’archiviazione del caso.

A seguito della ulteriore modifica del messaggio e della presentazione, da parte della ricorrente, di impegni volti alle modifiche del messaggio, con provvedimento del 7 luglio 2009 l’Autorità ha deliberato di non procedere alla adozione della misura cautelare della sospensione provvisoria.

Con nota del 10 luglio 2009 l’Autorità ha rigettato gli impegni, ritenuti non idonei a rimuover i profili di illegittimità contestati nella comunicazione di avvio del procedimento e, esaurita l’ulteriore fase partecipativa, l’Autorità ha adottato il provvedimento di irrogazione alla ricorrente della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 25.000, ritenendo integrata una fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi degli art. 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 145 del 2007 per effetto delle tre versioni succedutesi nel tempo del messaggio pubblicitario contestato.

Avverso tale delibera, deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

I – Eccesso di potere per travisamento (sotto il profilo della incompiuta ricostruzione del fatto) ed insufficiente motivazione.

Precisa parte ricorrente che l’Autorità, nel ritenere il messaggio pubblicitario diffuso sul proprio sito come ingannevole in tutte e tre le formulazioni oggetto di contestazione, si è adeguata al parere espresso sul punto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in data 29 ottobre 2010, avverso il quale si riserva la proposizione di motivi aggiunti una volta acquisitone il contenuto.

Nel riportarsi, inoltre, all’ambito di estensione del sindacato giurisdizionale sull’esercizio di un potere di tipo discrezionale, procede parte ricorrente alla ricostruzione della valenza da annettersi ai termini utilizzati nelle diverse versioni del messaggio al fine di contestare le valutazioni di ingannevolezza espresse dall’Autorità, formulate anche sulla base delle informazioni fornite dall’Agenzia delle Dogane, che sarebbero state recepite acriticamente ancorché non veritiere ed aventi valenza minimizzante della realtà.

Denuncia, ancora parte ricorrente come l’Autorità non abbia preso in adeguata considerazione le proprie deduzioni difensive ed abbia errato nel ritenere indirettamente ingannevole l’utilizzazione dell’aggettivo accreditata, in tal modo non attribuendo il giusto rilievo alla nota dell’Agenzia delle Dogane del 23 gennaio 2008 di abilitazione all’accesso al sistema informatico dell’Agenzia.

A confutazione di quanto affermato dall’Autorità circa l’uso improprio del termine accreditato, precisa parte ricorrente che lo stesso viene utilizzato dall’Autorità per l’energia e il gas per analoghe abilitazioni, denunciando l’arbitrarietà e l’insufficienza della motivazione della gravata determinazione.

II – Violazione dell’art. 3, lett. c) del D.Lgs. n. 145 del 2007 e dell’art. 3 del Regolamento sulle "procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole" approvato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con delibera del 15 luglio 2007. Eccesso di potere anche per contraddittorietà.

Contesta parte ricorrente il giudizio di ingannevolezza formulato dall’Autorità con riferimento alla terza versione del messaggio, ove l’espressione "accreditata" risultava riferita alle referenze del professionista analiticamente illustrate, e quindi alle qualifiche dell’operatore pubblicitario, non potendo conseguentemente risultare ingannevole, come peraltro risulterebbe confermato alla luce della decisione dell’Autorità di non adottare la misura cautelare a seguito della diffusione della quarta versione del messaggio in cui le qualifiche erano riportate in modo identico alla terza versione.

Sarebbe, quindi, affetta da illegittimità diretta sia la decisione dell’Autorità di non procedere all’archiviazione del caso che il conseguente avvio del procedimento, adottati in relazione al contenuto della terza versione del messaggio, che si limita ad indicare le qualità soggettive dell’operatore attraverso l’indicazione delle referenze.

III – Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, commi 9 e 13, del D.Lgs. n. 145 del 2007 e del richiamato art. 11 della legge n. 689 del 1981. Eccesso di potere per contraddittorietà.

Si duole, in via subordinata, parte ricorrente della quantificazione della sanzione lamentando la non corretta applicazione dei relativi criteri di determinazione, avuto particolare riguardo al mancato riferimento, nel provvedimento impugnato, delle proprie condizioni economiche.

La sanzione sarebbe, inoltre, contraddittoria rispetto ai contenuti dell’istruttoria che l’hanno preceduta e, segnatamente, con la richiesta di copia dell’ultimo bilancio approvato, dal quale risulta un reddito d’impresa di euro 83.771,00 al lordo delle imposte, con conseguente illegittimità della determinazione della sanzione in euro 40.000 e successiva riduzione di euro 15.000, corrispondente alla metà del reddito annuo d’impresa, senza che in proposito sia stata fornita adeguata motivazione.

Con riguardo al giudizio di gravità della violazione formulato dall’Autorità sulla base dell’ampiezza e della capacità di penetrazione del messaggio, ritenuto idoneo a raggiungere un numero significativo di destinatari in quanto diffuso tramite internet, osserva parte ricorrente che, offrendo consulenza in materia di accise, i destinatari del messaggio sono costituiti da aziende qualificate peraltro in grado di valutare l’eventuale ingannevolezza dei messaggi, le quali si sarebbero avvalse dell’opera della ricorrente solo dopo ulteriori contatti, sostenendo quindi l’inconsistenza dell’efficacia promozionale del messaggio, la quale avrebbe dovuto incidere in senso riduttivo sulla quantificazione della sanzione.

La potenzialità lesiva del messaggio avrebbe dovuto essere, inoltre, determinata alla luce dell’esiguità del numero di operatori professionali del settore, non potendo ritenersi sussistente alcun pregiudizio per gli operatori concorrenti, come peraltro confermato dal fatto che la segnalazione proviene da un unico operatore del settore, la T. S.r.l., il quale, partecipando al procedimento, non sarebbe peraltro riuscito a provare alcuno sviamento della propria clientela.

Lamenta, ancora, parte ricorrente, come non sia stata valutata l’opera anteriormente svolta dall’impresa attraverso tre modifiche del messaggio al fine di eliderne l’ingannevolezza, dovendo la terza versione ritenersi idonea a fortemente attenuare i profili di ingannevolezza.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Si è costituita in giudizio anche la T. S.r.l., sostenendo anch’essa l’infondatezza del ricorso.

Acquisita la conoscenza del parere reso in data 29 ottobre 2009 dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, parte ricorrente ha proposto motivi aggiunti contestandone le relative valutazioni.

Con memorie successivamente depositate parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza del 9 febbraio 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi, con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) ha ritenuto l’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario diffuso dalla ricorrente sul proprio sito internet, nelle tre formulazioni oggetto di contestazione, in violazione degli artt. 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 145 del 2007, vietandone l’ulteriore diffusione ed irrogando alla società ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 25.000.

Essendo le censure proposte da parte ricorrente volte principalmente a contestare le valutazioni espresse dall’Autorità in ordine all’ingannevolezza del messaggio, nelle diverse sue formulazioni – solo in via subordinata venendo articolate censure avverso la quantificazione della sanzione – giova preliminarmente procedere alla breve illustrazione del contenuto della gravata determinazione al fine di meglio delineare i contorni della vicenda contenziosa che qui occupa e più compiutamente definire la portata delle doglianze che alla stessa afferiscono.

In tale direzione, deve precisarsi che, sulla base di una segnalazione da parte della società T. S.r.l., sono state successivamente rilevate e censurate dall’Autorità tre diverse versioni del messaggio cui il gravato giudizio di ingannevolezza si riferisce, elaborate da parte ricorrente nella fase antecedente all’avvio del procedimento e ritenute dall’Autorità non idonee a determinare l’archiviazione del caso.

La prima versione, comparsa sul sito internet della società ricorrente, che offre servizi tecnici e tributari in materia di energia elettrica ed imposte gravanti sui prodotti energetici, oli minerari ed alcoli, reca l’espressione "Unica società di consulenza tecnica accreditata presso il Ministero dell’economia – Agenzia delle Dogane – responsabile per le attivazioni autoproduttori energia elettrica", che è stata modificata nella seconda versione mediante eliminazione dell’aggettivo "unica", per l’effetto risultando il messaggio del tenore "società di consulenza tecnica accreditata presso il Ministero dell’economia – Agenzia delle Dogane – responsabile per le attivazioni autoproduttori energia elettrica".

Nella terza formulazione è stata introdotta la specificazione "Società di servizi e consulenza tecnicotributaria accreditata (vd. Referenze) presso il Ministero dell’Economia – Agenzia delle Dogane (Agenzia responsabile per la concessione di Licenza fiscale per gli Autoproduttori Energia Elettrica)", ed un apposito riquadro, posto sulla destra della pagina, è dedicato alle Referenze dell’operatore ("Società invitata a partecipare ai tavoli di consultazione ed ai gruppi di lavoro presso il Ministero della Economia- Agenzia delle Dogane, quali t.d.c. per la soluzione di problematiche nel settore impositivo dell’energia elettrica, g.d.l. per la definizione di protocolli procedurali relativi alla produzione di forza motrice con motori fissi (macchine industriali) – Società autorizzata dal Ministero dell’EconomiaAgenzia delle Dogane quale Fornitore di Servizi per gli adempimenti di trasmissione telematica dei dati di contabilità accise degli Operatori").

Con riferimento a tali versioni del messaggio, l’Autorità, in esito alla compiuta istruttoria – ed in particolare, sulla base delle informazioni acquisite presso l’Agenzia delle Dogane – ha ritenuto l’insussistenza di forme di accreditamento ufficiale o altro tipo di procedura di riconoscimento dei privati da parte dell’Agenzia delle Dogane che possa attestarne la qualità e la professionalità, su tale base ravvisando il carattere di ingannevolezza del messaggio.

Al riguardo, sono stati ritenuti non idonei gli elementi addotti dalla società ricorrente al fine di supportare la veridicità dell’espressione "società di consulenza tecnica accreditata presso il Ministero dell’economia – Agenzia delle Dogane".

Tali elementi sono costituiti da una nota con la quale l’Agenzia delle Dogane comunica che la società T. è stata inserita nell’elenco degli operatori chiamati a partecipare a riunioni e dibattiti nell’ambito di tavoli di consultazione e dall’abilitazione della ricorrente all’effettuazione degli adempimenti di trasmissione telematica dei dati delle contabilità accise degli operatori obbligati, i quali, secondo l’Autorità, in quanto aventi un significato ed un oggetto ben definiti e limitati al loro specifico contenuto, non costituiscono l’esito di un processo di valutazione sull’operato della società, da cui sia scaturito un atto di riconoscimento da parte dell’Amministrazione circa specifiche qualità dell’operatore, con conseguente scorrettezza dell’utilizzo di tale espressione.

Il messaggio è stato quindi ritenuto ingannevole, ai sensi degli artt. 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 145 del 2007, in quanto idoneo ad indurre in errore i professionisti cui è rivolto circa le reali qualifiche dell’operatore, potendo pregiudicarne il comportamento economico e determinare, altresì, un potenziale pregiudizio per i concorrenti che potrebbero subire uno sviamento della clientela.

Ciò posto, con un primo ordine di censure, parte ricorrente contesta il formulato giudizio di ingannevolezza del messaggio procedendo alla ricostruzione della valenza da attribuirsi alle espressioni contenute nelle diverse formulazioni dello stesso.

In particolare, quanto all’espressione inerente l’accreditamento presso il Ministero dell’EconomicaAgenzia delle Dogane, presente in tutte le versioni del messaggio, invoca parte ricorrente la nota del 12 giugno 2006 alla stessa indirizzata dall’Agenzia delle Dogane, ove si afferma che "In relazione alla segnalata opportunità di una maggiore collaborazione tra soggetti privati e uffici dell’Agenzia per la soluzione di problematiche fiscali nel settore impositivo dell’energia elettrica, si comunica che codesta Società è stata inserita nell’elenco degli operatori chiamati a partecipare alle riunioni e dibattiti nell’ambito dell’apposito tavolo di consultazione istituito presso l’Area Gestione Tributi e Rapporti con gli Utenti di questa sede".

Le argomentazioni tratte da parte ricorrente dal tenore di tale nota, al fine di dimostrare la correttezza del riferimento, di cui al messaggio sanzionato, all’accreditamento, sono le medesime già dalla stessa articolate nel corso della svolta istruttoria, in ordine alle quali l’Autorità, come sopra riferito, si è espressa nel senso della loro inidoneità ad attestare la sussistenza di un processo valutativo che possa confluire nell’attestazione di una specifica professionalità e qualità dell’operatore.

Considerazioni queste che trovano conferma alla luce delle informazioni rese dall’Agenzia delle Dogane, su richiesta dell’Autorità, la quale, nella nota del 6 agosto 2009, afferma che "non esiste alcuna procedura formale che consenta a società di servizi di consulenza e altro, di accreditarsi ufficialmente presso questa Agenzia delle Dogane", precisando di avere invitato la società ricorrente a "partecipare ad un tavolo di consultazione propedeutico all’emanazione di una circolare" e che tale partecipazione "non può essere considerata formale accreditamento presso l’Agenzia delle Dogane, così come parimenti non possono essere accreditate quelle società che, a fronte di particolari previsioni della normativa comunitaria, ottengono l’autorizzazione a determinate semplificazione procedurali".

Ciò posto, non sembra invero potersi accedere alla tesi di parte ricorrente che lamenta come con tale nota l’Agenzia delle Dogane avrebbe sminuito la valenza da annettersi alla precedente nota del 12 giugno 2002 nonché all’abilitazione all’accesso al sistema informatico, indubbio essendo, alla luce della documentazione versata in atti e delle risultanze dell’istruttoria svolta dall’Autorità – di cui si dà puntualmente conto nella gravata delibera – che la società ricorrente ha in effetti partecipato ad un tavolo di consultazione ed è stata inserita in un elenco degli operatori da convocare per partecipare a riunioni e dibattiti, circostanze queste che non si risolvono in alcuna specifica abilitazione o in uno speciale riconoscimento da poter spendere all’esterno ai fini della indicazione di qualità professionali formalmente riconosciute, non essendo previsto alcun particolare requisito per fornire servizi analoghi a quelli offerti dalla società ricorrente – ovvero servizi di consulenza in materia di accise – o per potersi relazionare professionalmente con l’Agenzia delle Dogane, come invece le formulazioni del messaggio sanzionato lasciano intendere ai destinatari.

Il pur meritevole profilo dell’inserimento della ricorrente nell’elenco dei soggetti da convocare in occasione di dibattiti e riunioni, se attesta una sorta di apprezzamento da parte dell’Agenzia delle Dogane della professionalità della società ricorrente, e quindi del possibile contributo che la stessa potrebbe offrire in sede di consultazioni informali – che peraltro ha avuto concreta attuazione in una singola occasione – non si traduce in alcun formale riconoscimento conseguente ad una procedura di valutazione e controllo che possa conferirle una specifica qualità tale da attribuirle una particolare affidabilità, distinta da quelli degli altri operatori del settore, spendibile presso il pubblico dei consumatori.

Nessuna valenza minimizzatrice, dunque, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, può rinvenirsi nella nota dell’Agenzia delle Dogane del 6 agosto 2009 rispetto alla precedente nota del 12 giugno 2002 – per non avere sostanzialmente dato rilievo all’inserimento della ricorrente nell’elenco di cui si è detto – dovendo peraltro evidenziarsi in proposito che l’inserimento in tale elenco non costituisce alcun formale riconoscimento operato a favore della società ricorrente, assumendo decisivo rilievo, ai fini del giudizio di ingannevolezza del messaggio, laddove fa riferimento all’accreditamento, alla inesistenza di un formale procedimento di riconoscimento o accreditamento che differenzi tra loro gli operatori nel settore della consulenza in materia di accise.

Né parte ricorrente ha fornito elementi idonei a comprovare la sussistenza di tale procedimento di formale accreditamento, non potendo ritenersi tale neanche l’abilitazione all’affettuazione degli adempimenti di trasmissione telematica dei dati delle contabilità delle accise degli operatori obbligati, che si risolve in una semplificazione procedurale ormai diffusa in numerosi settori e che, comunque, non attesta il possesso di specifiche qualità, connesse con lo svolgimento di servizi di consulenza, accertate in esito ad apposito procedimento di verifica, dovendo tenere distinti i profili che consentono un’abilitazione all’accesso ad un sistema informatico dai requisiti che possono fondare un formale accreditamento, che necessariamente si connotano per un diverso livello di qualità e di garanzie di professionalità.

Se, dunque, le circostanze rappresentate dall’Agenzia delle Dogane nella nota del 6 agosto 2009 non appaiono affette da profili di contraddittorietà, la delibera che da tali circostanze trae elementi di valutazione non può risultare, a sua volta, viziata sotto tale profilo.

L’utilizzo del termine accreditamento non può, inoltre, trovare giustificazione e valido fondamento – tali da escluderne la portata ingannevole – alla luce della circostanza che l’Autorità per l’energia ed il gas definisce tale l’analoga abilitazione all’accesso al proprio sistema informatico, trattandosi all’evidenza di un termine atecnico se riferito solo alla abilitazione a semplificazioni procedurali, pur dovendosi segnalare, in proposito, che parte ricorrente si limita a dedurre tale circostanza senza fornire elementi per poter verificare la tipologia di procedimento che la citata Autorità pone in essere allo scopo di concedere tale abilitazione.

Non può, inoltre, condividersi quanto affermato da parte ricorrente circa l’assenza di profili di ingannevolezza nella terza versione del messaggio – laddove al termine accreditata viene affiancata l’indicazione delle referenze, fedelmente riferite all’essere la società invitata a partecipare ai tavoli di consultazione ed autorizzata alla trasmissione telematica dei dati di contabilità accise – dovendo ricondursi i caratteri di ingannevolezza del messaggio proprio all’utilizzo dell’espressione "accreditata’, in quanto non rispondente ad alcuna qualità formalmente accertata o al possesso di un requisito necessario per poter fornire il servizio di consulenza.

Non risulta, inoltre, utilmente invocabile la circostanza che l’Autorità, a seguito della diffusione della quarta versione del messaggio, asseritamente identica rispetto alla terza, abbia deciso di non adottare la misura cautelare prevista dall’art. 8 del D.Lgs. n. 145 del 2007, trovando tale misura della sospensione, presupposti diversi ed ulteriori rispetto alla sola ingannevolezza del messaggio, ivi compreso quella della particolare urgenza, e non essendovi, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, identità tra le due versioni del messaggio, essendo stata nella quarta versione dello stesso – inserita nel sito internet nel maggio 2009 – eliminata l’espressione contestata.

Anche con riferimento alla terza versione del messaggio, quindi, deve ritenersi la sussistenza di profili di ingannevolezza in quanto la società, nel definirsi "accreditata" lascia intendere, anche se in via indiretta, che per poter fornire servizi analoghi a quelli offerti sia necessaria una procedura di formale accreditamento, invece inesistente, come chiaramente affermato dall’Agenzia delle Dogane, senza che al riguardo parte ricorrente abbia fornito utili elementi idonei a contrastare tale affermazione.

Il che rende il messaggio, in tutte le sue formulazioni, ingannevole per effetto dell’utilizzo di un’espressione – accreditamento presso l’Agenzia delle Dogane – non veritiera, non esistendo alcuna procedura formale né tanto meno sostanziale di accreditamento promossa dall’Agenzia delle Dogane relativamente alla fornitura di servizi di consulenza alle imprese nel settore delle agevolazioni ed esenzioni delle accise, così inducendo in errore i consumatori sulle qualifiche professionali dell’operatore e, a causa della sua ingannevolezza, suscettibile di pregiudicarne il comportamento economico, condizionandoli nel contattare il professionista in luogo di altri in base ad un’erronea percezione dei suoi reali requisiti professionali, confidando nella titolarità, in capo al professionista, di un’approvazione ufficiale da parte dell’ente pubblico, intervenuta ad esito di una procedura di valutazione e controllo volta ad accertare le qualità specifiche e ad attestare la competenza dell’impresa nel settore di riferimento.

In ragione delle suesposte considerazioni, deve, quindi, ritenersi la legittimità della gravata delibera in quanto basata su valutazioni che, quanto al formulato giudizio di ingannevolezza, risultano immuni dalle proposte censure.

Analoga delibazione di infondatezza va adottata con riferimento ai motivi aggiunti proposti da parte ricorrente avverso il parere espresso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, modulato sulla base di argomentazioni analoghe a quelle contenute nella contestata delibera e gravato da censure di tenore sostanzialmente sovrapponibile al contenuto di quelle sin qui esaminate, valendo quindi anche con riferimento ad esse le considerazioni sopra illustrate.

Può, quindi, procedersi alla disamina delle doglianze, proposte in via subordinata da parte ricorrente, volte a denunciare l’illegittimità della quantificazione della sanzione, determinata nella misura base di euro 40.000 e ridotta alla misura di euro 25.000 in ragione del comportamento collaborativo del professionista che ha provveduto ad eliminare l’espressione contestata dal proprio sito nel maggio 2009.

Sotto un primo profilo, va innanzitutto rigettato il motivo di censura volto a lamentare la mancata valutazione dell’opera anteriormente svolta dall’impresa attraverso l’elaborazione di tre modifiche del messaggio al fine di eliderne l’ingannevolezza, non potendo aderirsi alla tesi di parte ricorrente che ritiene come la terza versione debba ritenersi idonea a fortemente attenuare i profili di decettività del messaggio.

In proposito, è sufficiente riportarsi a quanto già sopra illustrato circa la non idoneità delle modifiche apportate al messaggio ad eliderne i riscontrati profili di ingannevolezza, anche con riferimento alla terza versione, che mantiene il riferimento all’espressione "accreditata’, cui i caratteri di ingannevolezza del messaggio vanno ricondotti.

Pertanto, dal comportamento collaborativo della ricorrente non sono discesi effetti utili quanto alla eliminazione dei profili che hanno consentito di ritenere integrata l’infrazione, con la conseguenza che non sono ravvisabili gli estremi in base ai quali l’Autorità avrebbe dovuto procedere ad una riduzione della sanzione anche con riferimento al comportamento della società ricorrente riferito alla terza formulazione del messaggio.

Quanto alle doglianze riferite al mancato riferimento, nel provvedimento impugnato, alle condizioni economiche della ricorrente, osserva il Collegio che, pur dovendo darsi atto che l’Autorità, per come anche affermato da parte ricorrente, ha acquisito copia dell’ultimo bilancio approvato, il gravato provvedimento non reca riferimento alcuno, ai fini della quantificazione della sanzione, alle condizioni economiche della società ricorrente.

In proposito, deve ricordarsi che, ai sensi dell’art. 8, comma 9, del D.Lgs. n. 145 del 2007, l’Autorità può disporre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 500.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.

In virtù del richiamo contenuto nell’art. 8, comma 13, del Decreto Legislativo n. 145 del 2007, ai fini della quantificazione della sanzione deve tenersi altresì conto, in quanto applicabili, dei criteri individuati dall’articolo 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ed in particolare, della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle condizioni economiche dell’impresa stessa.

L’Autorità ha proceduto alla quantificazione della sanzione sulla sola base della valutazione della gravità della violazione, ancorata all’ampiezza ed alla capacità di penetrazione del messaggio che, in ragione delle modalità di diffusione a mezzo internet, è stata ritenuta suscettibile di aver raggiunto un numero significativo di destinatari, e sulla base della durata della violazione, riferita al periodo intercorrente tra il mese di maggio 2008 ed il mese di aprile 2009.

Nessuna valutazione è stata quindi effettuata, o comunque, esternata nel gravato provvedimento, circa l’incidenza delle condizioni economiche dell’operatore sulla determinazione della sanzione, pur costituendo tale elemento, alla luce del sopra illustrato quadro normativo di riferimento, uno dei criteri per la sua quantificazione, dovendo peraltro in proposito ricordarsi che la valutazione della dimensione economica del professionista mira anche a garantire l’effettiva efficacia deterrente della sanzione pecuniaria ed il rispetto del principio di proporzionalità.

Il principio di proporzionalità, che investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino (in specie quelle di ordine fondamentale) e non solo la graduazione della sanzione, assume nell’ordinamento interno lo stesso significato che ha nell’ordinamento comunitario, come confermato dalla clausola di formale recezione ex art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990 come novellato dalla legge n. 15 del 2005.

Tale principio, si articola nei distinti profili inerenti l’idoneità, ovvero il rapporto tra il mezzo adoperato e l’obiettivo perseguito, risultando in virtù di tale parametro legittimo l’esercizio del potere solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l’obiettivo; la necessarietà, ovvero l’assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo, dovendo in virtù di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei cadere su quella che comporti il minor sacrificio; l’adeguatezza, ovvero la tollerabilità della restrizione per il privato, risultando, in virtù di tale parametro, legittimo l’esercizio del potere, pur idoneo e necessario, solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi.

Avuto riguardo alla fattispecie in esame, non risulta possibile evincere l’incidenza che l’Autorità ha attribuito alle condizioni economiche della società ricorrente sulla determinazione della sanzione, non essendovi, nella gravata delibera, alcun riferimento a tale valutazione.

Rappresenta in proposito parte ricorrente di aver prodotto all’Autorità il modello unico per l’esercizio 2007 da cui risulta un reddito di impresa di euro 83.771,00 al lordo delle imposte, significando come la sanzione base quantificata in euro 40.000, equivalga alla metà di tale reddito, costituente anche il compenso dei soci.

Ritiene, pertanto, il Collegio che l’omessa valutazione di uno degli elementi cui parametrare la sanzione si riverberi in un profilo di illegittimità della gravata determinazione, che va quindi annullata in parte qua con rideterminazione della stessa nella misura che sarà di seguito indicata, una volta completata la disamina delle ulteriori censure proposte da parte ricorrente.

In tale direzione, avuto riguardo al giudizio di gravità della violazione formulato dall’Autorità sulla base dell’ampiezza e della capacità di penetrazione del messaggio, ritenuto idoneo a raggiungere un numero significativo di destinatari in quanto diffuso tramite internet, lamenta parte ricorrente che non si sarebbe tenuto conto del fatto che, venendo in rilievo un servizio di consulenza in materia di accise, i destinatari del messaggio sono costituiti da aziende qualificate in grado di valutare l’eventuale ingannevolezza dei messaggi, che peraltro si sarebbero avvalse dell’opera della ricorrente solo dopo ulteriori contatti, con conseguente necessità di parametrare la sanzione all’inconsistenza dell’efficacia promozionale del messaggio.

La censura non ha pregio.

L’ingannevolezza del messaggio non è esclusa dalla circostanza che i relativi destinatari siano operatori qualificati, essendo la ravvisata decettività del messaggio riferita proprio ai soggetti potenzialmente interessati a fruire di servizi quali quelli offerti dalla ricorrente, identificati sulla base de modello del consumatore medio target, come potenziale utente di tali servizi, indotto a credere che gli stessi possono essere offerti solo da soggetti accreditati e comunque condizionato dalla maggiore affidabilità che la vantata qualità suggerisce, inducendolo in errore circa le reali caratteristiche dell’operatore.

Risulta, quindi, irrilevante che i consumatori cui il messaggio è destinato appartengano ad una categoria di soggetti particolarmente qualificati laddove il messaggio sia indirizzato proprio a tale categoria, che delinea la figura del consumatore medio cui avere riguardo nella valutazione dell’ingannevolezza del messaggio.

A diversamente ritenere, laddove i messaggi pubblicitari siano rivolti a soggetti particolarmente qualificati, che ne costituiscono il target di riferimento, si avrebbe una sorta di automatico affievolimento dei profili di gravità della violazione, in contrasto con la ratio ed i principi sottesi alla disciplina dettata in materia.

La censura in esame va, pertanto, disattesa.

Sotto altro profilo, invoca parte ricorrente l’annullamento della sanzione in quanto non adeguatamente riferita alla ridotta potenzialità lesiva del messaggio come desumibile dall’esiguità del numero di operatori professionali del settore, significando in proposito come la controinteressata T. S.r.l., che ha indirizzato la segnalazione all’Autorità, non sarebbe riuscita a provare alcuno sviamento della propria clientela.

La censura non ha pregio, posto che la pretesa insussistenza di un apprezzabile distorsione del comportamento dei consumatori e del mercato, tale da attenuare, secondo parte ricorrente, la gravità dell’illecito, risulta, ai predetti fini, del tutto irrilevante in ragione della struttura dell’illecito in esame, una volta che ne sia stata accertata la portata decettiva.

Ed infatti, l’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle disposizioni del Codice del Consumo, non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole né la sua idoneità ad alterare le regole del mercato quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva per le scelte che i consumatori devono poter porre in essere fuori da condizionamenti o orientamenti decettivi.

Il che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito non già di danno, ma di mero pericolo in quanto riferito a condotte intrinsecamente idonee a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. – I – 8 aprile 2009 n. 3722; 8 settembre 2009 n. 8399 e n. 8394).

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura dell’illecito, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore o al mercato, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

Ne discende che gli effetti della condotta possono, semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori e del mercato, essendo da tale circostanza desumibile con ogni evidenza la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di diligenza cha la normativa di riferimento ha posto quale essenziale parametro di valutabilità della condotta.

Per la configurazione dell’illecito e per la graduazione della sua gravità, l’Autorità deve procedere sulla base di un giudizio prognostico, in esito al quale lo stesso risulti idoneo ad incidere potenzialmente sulle scelte dei consumatori o ad alterare il mercato, non essendo invece necessario che vengano analizzati gli effetti prodotti dalla violazione.

Alla luce degli illustrati paradigmi interpretativi, come parametrati alla disciplina di riferimento ed alle finalità alla stessa sottese, il giudizio di gravità della violazione risulta immuni dai denunciati vizi, non potendo la stessa essere ancorata al ridotto pregiudizio dalla stessa discendente alla luce dell’esiguo numero di operatori del settore che operano in concorrenza con la ricorrente, con refluente infondatezza della corrispondete censura esaminata.

Consegue, quindi, da quanto sopra esposto, l’accoglimento del ricorso in esame nei soli limiti dell’illustrato profilo inerente l’omessa considerazione, ai fini della quantificazione della sanzione, delle condizioni economiche della società ricorrente – rigettando il ricorso quanto al resto – con conseguente annullamento parziale della gravata delibera limitatamente alla determinazione della sanzione per la parte di cui è stata ravvisata l’illegittimità.

Va, quindi annullata la quantificazione della sanzione, la quale, in applicazione dell’art. 134, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo, viene rideterminata applicando alla sanzione di euro 25.000,00, irrogata alla ricorrente, la riduzione del 30%,, con fissazione della sanzione nella corrispondente misura di euro 17.500,00, ritenuta equa e proporzionata rispetto agli elementi di rilievo della fattispecie e rispondente ai criteri di cui all’art. 11 della legge n. 689 del 1981.

Sussistono giusti motivi, in ragione del parziale accoglimento del ricorso, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 1633/2010 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nel senso e nei limiti di cui in motivazione, rideterminando la sanzione nella misura ivi prevista.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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