Cassazione penale, sez. IV, sentenza 16.02.2010 n. 6214 Pozzo, pertinenza, strada, capo cantoniere, cammino su vegetazione (2010-03-04)

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Caduta, pozzo, responsabilità, capo cantoniere, sussistenza

La IV Sezione

Svolgimento del processo

M. C. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Cefalù con l’accusa di avere, nella qualità di responsabile ANAS addetto alla vigilanza della SS 290, con condotta colposa consistita nell’omettere di recintare il pozzo per la raccolta delle acque esistente lungo la fascia di terreno laterale alla sede stradale all’altezza della contrada Destri, o comunque nell’omettere di segnalarne adeguatamente la presenza, cagionato a F. A., il quale percorrendo detto tratto di strada non si era accorto della presenza del pozzo e vi era caduto all’interno, lesioni personali. All’esito del giudizio, il Tribunale assolveva il M. con la formula “per non aver commesso il fatto”.

A seguito di appello proposto dalla parte civile la Corte d’Appello di Palermo condannava l’imputato alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della stessa parte civile attribuendo a quest’ultima un concorso di colpa nella misura del 30%. La Corte distrettuale, ricostruita la vicenda sulla scorta delle deposizioni della parte lesa e di taluni testi – muovendo dal presupposto della loro attendibilità – dava conto del convincimento espresso con argomentazioni che possono così riassumersi: a) il F., mentre era intento a raccogliere capperi nel terreno posto lateralmente alla strada in argomento, a circa un metro e mezzo dalla stessa, in un tratto in leggera pendenza, era caduto all’interno del canale di pietra per il deflusso a valle delle acque piovane, non segnalato, non recintato e nascosto da una fitta vegetazione; b) il F. aveva dichiarato che era letteralmente sprofondato nel canale non avendo la vegetazione sostenuto il peso del suo corpo, aggiungendo che solo dopo circa un anno dal suo infortunio aveva constatato che sul posto erano stati collocati due paletti ed una recinzione di filo di ferro intorno al manufatto; c) le dichiarazioni della parte lesa, e dei testi oculari, apparivano del tutto attendibili in quanto concordi nonché corroborate da altri testimoni quanto alla descrizione del luogo in cui era avvenuto il fatto ed alla mancanza di qualsiasi tipo di segnalazione idonea a richiamare l’attenzione sull’insidia ivi esistente; d) l’imputato M. C. era, al momento del fatto, il responsabile del servizio della manutenzione per quel tratto di strada, come accertato e precisato dai verbalizzanti; e) circa le dichiarazioni di altro teste, tal L. A. – il quale aveva riferito della esistenza da epoca remota di un filo intorno al canale e di due file di pietre rotonde per segnalare il manufatto – le stesse risultavano smentite dagli altri testimoni, e comunque lo stesso L. aveva precisato di aver constatato, dopo l’incidente capitato al F., che il filo “era un po’ abbattuto”: di tal che, pur se esistente, l’antica recinzione era divenuta presumibilmente inidonea, per vetustà, per una efficace segnalazione del pericolo; f) appariva dunque fuori discussione che il canale, per la sua vicinanza alla strada, costituisse un pericolo ed una vera e propria insidia, e che il M., per la sua funzione (capo cantoniere, capo squadra e sorvegliante), quale emersa anche in base alle testimonianze assunte (in particolare quella di D. A.), fosse titolare della posizione di garanzia per l’incolumità per quanti transitassero in quel luogo, incombendo su di lui l’onere di percorrere quella strada una volta al giorno per riscontrare eventuali anomalie, come precisato nel Regolamento del servizio di manutenzione delle strade ed autostrade statali dell’ANAS di cui al d.P.R. 11/12/1981 n. 1126 prodotto nel giudizio di primo grado dalla stessa ANAS citata in qualità di responsabile civile; g) appariva quindi fuori dubbio la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione dell’intervento manutentivo, riferibile all’imputato, e l’evento; h) anche il comportamento della parte lesa appariva peraltro censurabile, posto che l’esistenza di una fitta vegetazione selvatica avrebbe dovuto indurre il F. a procedere con particolare cautela: di tal che, considerate le modalità del fatto, poteva quantificarsi nel 30% il concorso di colpa del F. stesso.

Ricorre per cassazione il M. eccependo la nullità dell’impugnata sentenza per l’omessa citazione del responsabile civile per il giudizio di appello, deducendo inoltre violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alle valutazioni probatorie ed alla interpretazione del Regolamento di cui al d.P.R. n. 1126/81 e dell’art. 15 del codice della strada, sostenendo, in particolare, che gli obblighi di manutenzione sarebbero finalizzati ad impedire l’insorgere di pericolo per la circolazione stradale e che non sarebbe prevista alcuna apposita segnaletica per i manufatti situati al di là della linea bianca continua che delimita il margine della carreggiata. Ad avviso del ricorrente, l’infortunio occorso al F. sarebbe riconducibile esclusivamente alla condotta imprudente ed imprevedibile dello stesso, non essendo ravvisabile alcuna regola cautelare che il M. avrebbe dovuto osservare, posto che costui non era tenuto ad effettuare interventi manutentivi sulle scarpate interdette al pubblico accesso. Sottolinea infine il ricorrente che l’assoluzione in primo grado per non aver commesso il fatto, con contestuale trasmissione degli atti al P.M. disposta dal primo giudice ai fini della individuazione del funzionario dell’ANAS responsabile, all’epoca del fatto, della manutenzione del tratto di terreno circostante la sede stradale in cui era avvenuto l’incidente, non essendo stata impugnata, “precludeva per il danneggiato qualsiasi possibilità di proseguire l’azione civile” (pag. 12 del ricorso): ciò, in quanto era stato individuato nell’ANAS il soggetto giuridico tenuto al risarcimento dei danni.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Quanto all’eccezione in rito, la stessa è infondata alla luce del condivisibile principio di diritto, enunciato, e più volte ribadito, da questa Corte, secondo cui l’omessa citazione nel giudizio di impugnazione del responsabile civile, presente nel giudizio di primo grado, integra una nullità a regime intermedio che può essere eccepita esclusivamente dalla parte illegittimamente pretermessa e non anche dall’imputato, il quale non vanta un interesse giuridicamente apprezzabile all’osservanza della disposizione violata (cfr., “ex plurimis”: Sez. 4, n. 3462 del 21/11/2007 Ud. – dep. 23/01/2008 – Rv. 238744; Sez. 4, n. 4251 del 10/01/1975 Ud. – dep. 17/04/1975 – Rv. 129801).

Alcun dubbio sussiste poi circa la legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione – pur con la formula “per non aver commesso il fatto” (cfr. in proposito Sez. Unite, Guerra), come è avvenuto nella concreta fattispecie – a nulla rilevando la eventualità di ulteriori indagini per la individuazione di altri responsabili in ordine al fatto addebitato all’imputato; è stato invero condivisibilmente precisato nella giurisprudenza di questa corte che “la parte civile, con l’appello proposto ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen. avverso la sentenza di proscioglimento o di assoluzione dell’imputato, ha titolo per ottenere, in caso di accoglimento dell’impugnazione, una sentenza che non solo valga a rimuovere l’eventuale preclusione all’esercizio dell’azione in sede civile derivante dalla sentenza appellata, ma contenga anche la condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno” (in termini, Sez. 4, n. 13326 del 23/01/2003 Ud. – dep. 24/03/2003 – Rv. 226430).

Né, infine, sussistono i denunciati vizi motivazionali per quel che riguarda la ritenuta responsabilità (ai fini civili) dell’imputato per le lesioni riportate dal F.. La dinamica dell’incidente non risulta contestata e la posizione di garanzia del M. è stata correttamente individuata dalla Corte territoriale sulla scorta del Regolamento ANAS di cui al d.P.R. n. 1126/81 e delle deposizioni dei verbalizzanti di cui si è innanzi detto (nella parte relativa allo “svolgimento del processo”).

L’art. 8 di detto Regolamento, invero, prevede, tra gli altri doveri del capo-cantoniere (ed il M. rivestiva tale ruolo), anche quello di ispezionare giornalmente il tronco stradale di sua competenza per controllare lo stato della strada e delle sue pertinenze, onde poter segnalare al suo superiore le eventuali anomalie riscontrate. Orbene il manufatto in questione era chiaramente una pertinenza del tratto stradale affidato al controllo del M., come riferito anche dal teste D. il quale ha altresì precisato che in caso di intervento urgente di manutenzione, per l’esistenza di una situazione di pericolo, il capo-cantoniere era tenuto a provvedere direttamente, mentre invece l’esecuzione dell’ordinaria falciatura dell’erba presente sulle scarpate era affidata dall’azienda ad imprese private. L’inosservanza della norma impositiva dell’obbligo di effettuare o di far eseguire l’intervento manutentivo nella zona al fine di eliminare quella vegetazione che copriva il canale rendendolo non visibile e quindi pericoloso in concreto – o comunque la mancata predisposizione di cartelli idonei a segnalare la presenza del pericolo – vale ad integrare la condotta colposa attribuita all’imputato e rende legittima l’affermazione della responsabilità dello stesso a titolo di concorso (avendo i giudici del merito rilevato anche il comportamento imprudente della parte offesa) nella causazione dell’evento lesivo (cfr, in proposito – con riferimento alle norme di cui agli artt. 9 e 23 del d.P.R. n. 866/66 concernente l’approvazione del regolamento per il personale dei cantonieri dell’ANAS – Sez. 4, n. 1515 del 18/11/1980 Ud., dep. 26/02/1981, Rv. 147770).

Al rigetto del ricorso segue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; il ricorrente deve essere altresì condannato alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese di questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.051,72 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita e liquida le stesse in complessivi euro 2.051,72 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *