T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 24-02-2011, n. 1720 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con il ricorso proposto la Società M. di P.F. e C. S.n.c. (d’ora in poi, per brevità, Società M.) ha chiesto al Tribunale che, previo accertamento della responsabilità in capo all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (d’ora in poi, per brevità, AAMS) nell’aver tardato ad assegnarle una concessione per la gestione di una sala Bingo per la Provincia di Rimini, condanni detta Amministrazione al risarcimento dei danni patiti sia sotto il profilo del danno emergente che del lucro cessante.

Premette la Società ricorrente di aver partecipato alla selezione bandita dall’AAMS, con pubblicazione sulla G.U.R.I. in data 28 novembre 2000, per l’attribuzione di 800 concessioni per la gestione delle sale destinate al gioco del Bingo, con riferimento "ad un locale sito in Rimini, al quale l’Amministrazione assegnava il numero d’ordine 387" (così, testualmente, a pag. 2 del ricorso introduttivo).

Riferisce la M. che all’esito della selezione, conclusa con decreto ministeriale 11 luglio 2001, essa non risultava aggiudicataria di alcuna delle concessioni in palio e che, quindi, proponeva ricorso al TAR Lazio. Accadeva che durante il processo, accolta dal Tribunale con ordinanza 30 agosto 2001 l’istanza cautelare proposta, disponendo nei confronti dell’Amministrazione l’obbligo di rivedere la posizione della ricorrente ai fini del riesame del punteggio assegnato, l’Amministrazione non eseguiva l’ordine del Tribunale, costringendo quest’ultimo ad emettere una nuova ordinanza, in data 27 settembre 2001, per l’acquisizione di documenti. Accadeva ancora che, nelle more, l’Amministrazione modificava con decreto 11 luglio 2002 la graduatoria, accogliendo l’istanza di un’altra aspirante concessionaria che lamentava una non corretta attribuzione del punteggio, ma non intervenendo sulla posizione della M.; ciò comportava la proposizione di motivi aggiunti da parte di quest’ultima.

Soggiunge la ricorrente che il giudizio innanzi al TAR Lazio si definiva con sentenza (passata in cosa giudicata perché mai fatta oggetto di impugnazione) 29 dicembre 2003 n. 13310 con la quale, in accoglimento del ricorso proposto, si annullava la graduatoria in parte qua e ai fini della rivalutazione dell’offerta a suo tempo presentata dalla M., posto che appariva dimostrato come l’Amministrazione non avesse, incorrendo così nei vizi di "carenza di istruttoria e di motivazione, nonché di contraddittorietà e perplessità" (così, testualmente, a pag. 10 della sentenza prodotta in atti), valutato affatto talune voci dell’offerta presentata.

Lamenta ora la ricorrente che soltanto in data 11 ottobre 2004, con apposito decreto direttoriale, l’AAMS procedeva all’ottemperanza della sentenza del TAR Lazio e, rivalutando la posizione della M., la collocava al primo posto in posizione, quindi, utile per ottenere la concessione.

Si duole, dunque, la M. del ritardo con il quale l’AAMS ha provveduto a riconoscerle la corretta posizione in graduatoria ed a rilasciarle la concessione; ritardo che ha comportato talune conseguenze che ella segnala, quali:

– la necessità di dover richiedere una proroga dei termini per l’approntamento della sala – con istanza 11 marzo 2005 – che, nel frattempo, aveva subito ingenti danni;

– la necessità di dover chiedere, con la stessa istanza di cui sopra, il trasferimento della sala Bingo, atteso che, nel frattempo, erano intervenute variazioni allo strumento urbanistico.

Posto che la seconda richiesta non è stata accordata alla M. (tanto che il relativo diniego è stato fatto oggetto di impugnazione dinanzi al TAR EmiliaRomagna), detta Società chiede ora che l’AAMS sia condannata a risarcire i danni subiti dal ritardo nel riconoscimento del titolo abilitativo a gestire la sala Bingo al quale aveva (a suo dire) titolo fin dal 16 luglio 2001 (data di pubblicazione della prima graduatoria) e che ha ottenuto solo in data 11 luglio 2004 (data di pubblicazione della graduatoria che vede l’offerta presentata dalla M. collocarsi prima classificata).

2. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato.

Parte ricorrente ha presentato ulteriore documentazione in vista dell’udienza di merito utile a voler dimostrare l’entità dei danni patiti.

Trattenuta riservata la decisione nell’udienza di merito del 9 giugno 2010 la riserva è stata sciolta nella Camera di consiglio del 27 ottobre 2010.

3. – Con il proposto ricorso, in sostanza, la M. chiede il risarcimento del c.d. danno da ritardo asseritamente patito per aver ottenuto dall’AAMS il riconoscimento del titolo abilitativo a gestire una sala Bingo in Rimini a distanza di oltre tre anni rispetto al momento in cui l’Amministrazione aveva, per gli altri concorrenti/aspiranti, concluso il relativo procedimento selettivo.

La responsabilità andrebbe ascritta in capo all’Amministrazione procedente perché il ritardo è da imputarsi alla cattiva gestione della procedura – per come rilevato anche dal TAR Lazio al quale si era rivolta la M. – e riferita all’illegittima istruttoria posta in essere dall’Amministrazione nei confronti dell’offerta presentata a suo tempo dall’odierna ricorrente, nonché alla circostanza che l’AAMS avrebbe potuto – sia in sede di autotutela sia per effetto degli inviti giudiziali all’Azienda indirizzati dal TAR nella fase cautelare del giudizio e rimasti inascoltati – rivalutare spontaneamente l’offerta a suo tempo presentata dalla M. attribuendole così quel corretto punteggio che solo anni più tardi ed in sede di ottemperanza l’AAMS si è indotta a riconoscerle.

4. – In via generale giova rammentare come la responsabilità della Pubblica amministrazione si ricostruisce, nell’esperienza della giurisprudenza, in termini parzialmente diversi da quelli della responsabilità civile, giacché la responsabilità per colpa della Pubblica amministrazione non è di tipo oggettivo o formale.

Sia la sentenza della Suprema Corte di Cassazione 22 luglio 1999 n. 500 sia la costante giurisprudenza successiva alla cristallizzazione normativa del principio della risarcibilità degli interessi legittimi, realizzatasi con l’entrata in vigore dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, riconducono la colpa non a mera "inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline", secondo la nozione fornita dall’art. 43 del codice penale, ma a violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenze, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili; tra le negligenze inescusabili vanno annoverati comportamenti sciatti, superficiali, sbrigativi nel compiere operazioni valutative di agevole e semplice esecuzione, come la verifica dell’esistenza o meno di titoli facili da verificare e non comportanti sottili e complicate indagini.

Sotto quest’ultimo profilo, anche la prova della colpevolezza – che difficilmente, in base ai parametri indicati, può ritenersi in re ipsa – non può non connettersi alla particolare dimensione della responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interessi legittimi, responsabilità che l’elaborazione giurisprudenziale rende non (sempre e) del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili più a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione della natura dell’interesse protetto di chi instauri un rapporto procedimentale con l’Amministrazione.

Tale interesse è sinteticamente definibile come quello strumentale al cosiddetto "giusto procedimento" che, seppure unanimemente non riconducibile ad un principio contenuto nella Carta costituzionale, ma solo derivante dall’applicazione concreta dei canoni di cui all’art. 97 Cost., disegna inevitabilmente il livello minimo dell’azione amministrativa "accettabile" per l’ordinamento richiedendo all’Ufficio procedente – inteso come coacervo dei comportamenti di coloro che si suddividono lo svolgimento dei passaggi della filiera procedimentale – competenza, attenzione, celerità ed efficacia, quali necessari parametri di valutazione dell’azione amministrativa (vale a dire della singola azione amministrativa), che in certa misura trascendono quelli tipicamente civilistici della correttezza e buona fede e sulla base dei quali occorre procedere alla valutazione dell’esistenza o meno dell’elemento psicologico (o, per meglio dire, soggettivo) della colpa.

Non importa quale approccio dottrinale o meglio culturale prevalga o venga accettato comunemente nell’identificare la relazione tra il comportamento posto in essere dall’Amministrazione procedente e la posizione soggettiva di interesse legittimo intaccata pregiudizievolmente da quel comportamento (taluni, infatti, anche di recente riesumano la nota teoria del c.d. contatto sociale, caratterizzata dalla convinzione che tra P.A. e cittadino si instauri una relazione preventiva rispetto al fatto o all’atto produttivo di danno e perciò distinta dalla pura e semplice responsabilità extracontrattuale; cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2008 n. 1137 e Sez. V, 2 settembre 2005 n. 4461). Quel che rileva, invece è la circostanza che la norma contenuta nell’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205 impone al giudice amministrativo, ogni qualvolta al suo cospetto viene posto il pregiudizio, documentalmente provato, patito dal soggetto titolare di una posizione di interesse e direttamente derivante da un comportamento inadeguato dell’Amministrazione che con esso ha avuto rapporti ascrivibili all’esercizio di un potere autoritativo, di risarcire quel danno, sempreché non sussistano gli estremi dell’errore scusabile a "giustificare" il comportamento dell’Amministrazione ed a far venir meno il requisito della colpa di quest’ultima.

Appare, infatti, corretto – nell’assetto equilibrato dei rapporti tra l’Amministrazione che opera per l’interesse pubblico ed il singolo danneggiato, che cura il proprio interesse particolare – dare rilievo ad uno scrutinio, da parte del giudice amministrativo al quale viene chiesto di attribuire conseguenze concrete al non corretto comportamento mantenuto dall’Amministrazione che non ha rispettato le regole, attraverso il quale possa ulteriormente valutarsi se, nel quadro delle norme rilevanti ai fini dell’adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, le condizioni particolarmente gravose e complesse del procedimento, i contrasti giurisprudenziali rispetto alla adeguata applicazione delle norme in questione ed altre circostanze concrete possano escludere qualsiasi atteggiamento di colpa e configurare una causa esimente della responsabilità (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 13 dicembre 2006 n. 7386; Sez. IV,10 agosto 2004 n. 5500 e 19 dicembre 2003 n. 8363; Sez. V, 4 febbraio 2003 n. 529 e 1 marzo 2003 n. 1133 nonché Cass. Civ., Sez. I, 4 aprile 2003 n. 5259).

5. – Delineati fin qui i tratti salienti dei presupposti per il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione, sotto il profilo della colpa, ai fini del ristoro del danno patito dal destinatario del comportamento illegittimo mantenuto dall’Amministrazione procedente, meritano ancora di rammentarsi, agli specifici fini dello scrutinio giudiziale dell’azione di condanna proposta dalla odierna parte ricorrente, le coordinate applicative comunemente accettate in giurisprudenza per riconoscere il risarcimento del c.d. danno da ritardo (che è poi la categoria di responsabilità ascrivibile ad una P.A. alla quale fa riferimento la M. nel chiedere il ristoro dei danni subiti).

Fin dal fondamentale arresto del Supremo consesso della giustizia amministrativa raccolto nella decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 15 settembre 2005 n. 7, il c.d. danno da ritardo è considerato risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale, se cioè gli spetti il c.d. bene della vita.

La cristallizzazione normativa del principio appena enunciato, realizzata dal legislatore con la disposizione contenuta nell’art. 2 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, introdotto con l’art. 7 della legge 18 giugno 2009 n. 69, determina che sia possibile riconoscere il risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. La norma, come si evince dal suo tenore testuale, non consente il risarcimento da ritardo fine a se stesso ma in relazione ad un bene della vita ingiustamente sottratto a colui che poteva nutrire una legittima aspettativa di conseguirlo. L’onere di provare il danno incombe sul danneggiato.

In altri termini, ciò che si risarcisce non è una mera ed incondizionata aspettativa all’agire legittimo dell’Amministrazione, bensì, il mancato tempestivo conseguimento del bene della vita cui si anelava al momento della proposizione dell’istanza.

La norma, infatti, subordina il risarcimento alla causazione di un danno ingiusto (ex art. 2043 c.c., seppure nell’interpretazione che la giurisprudenza più moderna attribuisce alla locuzione "danno ingiusto" rispetto alla dottrina e giurisprudenza tradizionali, limitate ai e dai parametri del non iure e contra ius), a sua volta generato (nesso di causalità) dalla tardiva conclusione del procedimento ovvero mediante una condotta illecita imputabile all’Amministrazione (come apparato) a titolo di dolo o colpa.

Della bontà del principio secondo il quale deve escludersi che si possa ammettere la risarcibilità del c. d. danno da ritardo puro, avuto riguardo ad una domanda risarcitoria riferita al danno derivante dal mero ritardo con il quale si è concluso il procedimento, indipendente dalla spettanza del bene della vita preteso, milita anche un argomento di natura storicotestuale: nel corso dei lavori preparatori che hanno condotto alla formulazione della disposizione contenuta nell’art. 2bis della legge n. 241 del 1990 si era previsto (nella scorsa Legislatura ed in particolare nell’A.S. n. 1859) che:

– per un verso, sarebbe stato possibile riconoscere il risarcimento del danno "indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto"

– per altro verso, al cittadino sarebbe spettato un indennizzo "per il mero ritardo" nell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, indipendentemente dalla sussistenza del danno ingiusto.

Come è noto il disegno di legge non ha avuto seguito per la interruzione anticipata della Legislatura, ma il fatto che nella legge n. 69 del 2009, all’art. 7, non si rinvenga traccia degli incisi sopra trascritti è un argomento convincente a favore della tesi della non risarcibilità del danno derivante da ritardo puro (cfr., nello specifico, T.A.R. Veneto, Sez. III, 23 febbraio 2010 n. 496).

Tenuto conto della surriferita ricostruzione normativa, frutto della traduzione in legge dei principi giurisprudenziali maturati nel corso del tempo sul tema della risarcibilità del danno provocato al cittadino per aver ottenuto il c.d. bene della vita oltre i termini procedimentali stabiliti dalla legge o dalla regolamentazione di settore, può dunque confermarsi che la richiesta di accertamento del danno "da ritardo" – ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole (in questo caso l’attribuzione del titolo abilitativo a gestire una sala Bingo), dopo l’annullamento di un precedente atto illegittimo sfavorevole (la conclusione della procedura selettiva nel corso della quale non era stato attribuito il corretto punteggio all’offerta presentata dalla M.) – se da un lato dev’essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretesivi per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro – in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile – costituisce una fattispecie sui generis di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta all’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Ne deriva che l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda.

6. – Il Collegio rileva, in via preliminare (con riferimento a tale seconda fase dello scrutinio operato sulla domanda proposta dalla M.), che nel caso di specie si manifesta la presenza degli elementi che, come è noto, definiscono la struttura dell’obbligazione risarcitoria.

Con riguardo all’elemento dell’antigiuridicità si pone come decisivo il contenuto della sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. II, 29 dicembre 2003 n. 13310 che, attribuendo fondatezza ai motivi di impugnazione della graduatoria pubblicata in data 16 luglio 2001, ha specificamente affermato che l’AAMS non aveva effettuato una completa e compiuta valutazione dell’offerta presentata dalla M., incorrendo quindi nei vizi di difetto di istruttoria e di motivazione (per come si è più sopra riprodotto).

La sentenza definitiva del Tribunale, quindi, ha accertato lo svolgimento di una attività comportamentale dell’Amministrazione contra ius e tale da ledere la posizione soggettiva di interesse legittimo tutelata dall’ordinamento della quale era titolare la odierna ricorrente non solo sotto il profilo procedimentale ma quale aspirante ad ottenere il titolo abilitativo a svolgere l’attività di gestione della sala Bingo (richiesta) fin dalla data di conclusione della procedura; tenuto conto che successivamente, all’esito della procedura di rivalutazione dell’offerta della M. posta in essere in ottemperanza alla suindicata sentenza, la stessa AAMS ha collocato alla prima posizione della graduatoria (di interesse per il locale di Rimini richiesto) la medesima Società M. costituisce elemento, anche in via di fatto, confermativo dell’antigiuridicità della condotta mantenuta nella specie da AAMS.

7. – Sotto il profilo dell’imputabilità, intesa come ascrivibilità degli atti ad organi della Pubblica amministrazione, i quali hanno operato in piena capacità di intendere e di volere ed in assenza di cause tipizzate di giustificazione (ex art. 2044 e seguenti del codice civile), non si rinvengono dubbi in proposito circa la riconducibilità dell’operazione agli Uffici dell’AAMS. La presenza dell’elemento in questione non può essere, né è stata dalla difesa di parte resistente, revocata in dubbio.

D’altronde gli Uffici procedenti sono stati anche raggiunti, nella fase cautelare del giudizio che ha avuto ad oggetto l’impugnazione dello sfavorevole (per la M.) esito della selezione, dall’invito del Tribunale a rivedere la posizione della ricorrente, riesaminando l’offerta da questa presentata alla luce delle doglianze dedotte nel ricorso proposto; attività che gli Uffici hanno ritenuto di non porre in essere "costringendosi" a svolgere quella rivisitazione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza con la quale il ricorso della M. fu accolto ed in sede di ottemperanza della medesima, seppur senza necessità di apposito giudizio di esecuzione.

Tale comportamento assunto dagli Uffici ha indubbiamente determinato un ulteriore ritardo nel rilascio dell’agognato titolo abilitativo a gestire la sala Bingo.

8. – Quanto all’elemento della colpevolezza, in ordine al quale i passaggi sopra illustrati già depongono per la imputabilità del comportamento antigiuridico denunciato agli Uffici procedenti nel caso di specie, merita sinteticamente di ricordare come la più accreditata elaborazione giurisprudenziale che si è espressa sul punto ha avuto modo di affermare che l’elemento soggettivo – il quale va considerato non con riguardo alla sfera cognitiva e volitiva del funzionario agente, ma alla Pubblica Amministrazione intesa come apparato – si configura nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione degli atti amministrativi illegittimi siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio delle pubbliche funzioni; il che avviene ogni qualvolta vi sia stata inosservanza di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante, cioè, in definitiva, quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza della P.A. nell’assunzione del provvedimento viziato (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2006 n. 4440).

Ora, nella fattispecie in esame e da quanto emerge dalla documentazione prodotta, il cui contenuto non risulta essere stato contestato nel presente giudizio dalla difesa dell’Amministrazione resistente, l’AAMS ha ritenuto di valutare l’offerta a suo tempo presentata dalla M. in modo da attribuirle 44 punti e di collocarla al 6° posto nella graduatoria conclusiva di cui al decreto dell’11 luglio 2001, pubblicato sulla G.U.R.I. del 16 luglio 2001; dunque in una posizione non utile ai fini del rilascio del titolo abilitativo a gestire una delle due sale Bingo "in palio" per la Provincia di Rimini.

Tale valutazione è stata considerata illegittimamente effettuata dall’AAMS dal T.A.R. Lazio, con la sentenza della Sezione seconda 29 dicembre 2003 n. 13310 nonché già nelle precedente fase cautelare, dapprima con ordinanza 30 agosto 2001, con la quale il Tribunale invitava l’Amministrazione a rivalutare l’offerta della M. e poi con ordinanza 27 settembre 2001 n. 936, con la quale sempre il Tribunale chiedeva all’Amministrazione di depositare tutta la documentazione utile per la completezza dell’istruttoria processuale.

Attrae l’attenzione, dunque, nell’ambito dello sviluppo della vicenda processuale successiva alla proposizione del ricorso da parte della M., la circostanza che l’AAMS pur essendosi trovata nella condizione di riconsiderare tempestivamente l’erroneità o meno della valutazione operata dagli Uffici nei confronti dell’offerta della M. e, quindi, di porvi rimedio, ha pervicacemente mantenuto fede alla posizione di partenza senza svolgere alcuna ulteriore istruttoria, come sarebbe stato doveroso visti gli esiti dello scrutinio giurisdizionale svolto su quel comportamento dal TAR del Lazio, peraltro neppure contestati con ricorso ad una eventuale fase di appello giudiziale dall’Amministrazione.

D’altronde, ad aggravare la posizione dell’Amministrazione conduce anche la considerazione – utile a superare l’eventuale discrimine tra assenza e sussistenza di una condotta colposa – che l’AAMS ha avuto modo di riesaminare la posizione di un altro aspirante che lamentava di essere stato pretermesso in graduatoria (si veda il caso della Società Nuova Sartini rammentato dall’odierna ricorrente a pag. 3 del ricorso introduttivo e non contestato dall’Amministrazione resistente) a causa dell’inadeguata valutazione dell’offerta presentata, ma un analogo comportamento non è stato destinato, come sarebbe stato doveroso ed indipendentemente dall’esito della verifica in sede rivalutativa, con riferimento alla posizione ed alle contestazioni avanzate a suo tempo dall’odierna ricorrente.

La inottemperanza all’ordinanza del TAR del Lazio del 30 agosto 2001 ha concretato di per sé, indipendentemente da ogni valutazione di colposità del comportamento precedente, una scelta denotante mancanza di elementare prudenza e violazione degli obblighi di correttezza, trasparenza e legalità. Tanto basterebbe a collocare l’operato dell’Amministrazione al di là del crinale che distingue l’errore scusabile dalla colpevolezza.

9. – Oltre a ciò, venendo in questione, nel caso in esame, la colpa dell’apparato amministrativo in relazione all’interpretazione ed all’applicazione di norme giuridiche (quelle che definiscono gli obblighi dell’Amministrazione che procede ad una selezione di valutare compiutamente le offerte presentate dai concorrenti, come ha sancito il TAR del Lazio nel constatare che l’AAMS aveva mancato di valutare una parte cospicua dell’offerta presentata dalla M.), ai fini della scusabilità o evitabilità dell’errore deve farsi riferimento "al giurista di medio livello che applica professionalmente norme amministrative"; sicché la mera possibilità, sempre presente, di un’erronea interpretazione normativa deve essere considerata incolpevole – in tal caso gravandosi definitivamente del danno verificatosi il terzo che lo ha incolpevolmente subito – solo nell’ipotesi in cui il testo normativo sia insuscettibile di ogni comprensibilità: se, cioè, nessun elemento consenta all’Amministrazione di sciogliere il dilemma esegetico in modo corretto, prima e senza l’intervento del giudice (cfr., in termini, Cons. giust. reg. Sic., 12 aprile 2007 n. 361).

Il Collegio è dell’avviso che non sussistano elementi per inquadrare la vicenda contenziosa qui in esame nell’ipotesi di atteggiamento incolpevole dell’Ufficio procedente come sopra rappresentata, attese la serietà e la consistenza degli elementi obiettivi (carenza effettiva e rilevante di valutazione dell’offerta presentata a suo tempo dalla M., inottemperanza all’invito giudiziale di rivedere il passaggio istruttorio nel quale tale valutazione era mancata) e degli argomenti giuridici offerti alla conoscenza o alla conoscibilità dell’Amministrazione procedente.

10. – Vi è poi da scrutinare, una volta dimostrata la responsabilità dell’Amministrazione, un secondo ordine di questioni concernenti l’accertamento dell’an e del quantum del detrimento patrimoniale risentito dalla società ricorrente per effetto del comportamento assunto dall’Amministrazione medesima e che ha condotto alla tardiva acquisizione del c.d. bene della vita in capo alla ricorrente.

Come è noto, tale cruciale passaggio della verifica circa la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’azione di condanna proposta dinanzi al giudice amministrativo, è caratterizzato dalla presenza o meno di due elementi:

A) il danno, inteso come differenza di segno positivo tra il valore del patrimonio giuridico del soggetto leso quale sarebbe stato in assenza degli atti illegittimi ed il valore che invece risulta essere per effetto di questi; elemento che va accertato e liquidato secondo i consueti criteri civilistici;

B) il nesso di casualità, inteso come giudizio di relazione tra il comportamento antigiuridico tenuto dall’Amministrazione e la decurtazione patrimoniale.

Ciò precisato, il Collegio, tenuto conto di tutti gli atti difensivi e di tutti i documenti prodotti sia dalla società ricorrente che dall’AAMS, formula le seguenti considerazioni preliminari, di carattere generale:

– il danno effettivo e risarcibile è essenzialmente quello risentito a causa del ritardo, rispetto ai tempi ordinari, con cui la società, per effetto riconducibile esclusivamente agli atti del procedimento di posizionamento non favorevole nella graduatoria, ha sottoscritto la convenzioni di concessione e dato inizio all’attività di gioco nella sala sita in Rimini;

– pertanto non possono essere ricompresi tra i danni in questa sede risarcibili quelli dipendenti da ritardi causati da atti, fatti, comportamenti e/o circostanze, imputabili alla società ricorrente o, anche, alla stessa AAMS, ma che nulla hanno a che vedere con i procedimenti di selezione per la formazione delle graduatorie dei concessionari del gioco del Bingo di cui è qui controversia;

– come ulteriore conseguenza, non possono, in linea di principio, essere ascritti a danno i guadagni non percepiti nel periodo di ritardo nell’inizio delle attività di gioco delle sala per effetto del(l’altrettanto) ritardato rilascio dell’atto abilitativo a gestirla, atteso che la concessione ha durata di sei anni decorrenti dalla stipula delle convenzione (come è puntualmente esplicitato al punto 7 del bando di gara) e che, quindi, agli utili non introitati a causa del suddetto ritardo faranno riscontro quelli da riscuotere nel periodo finale del rapporto concessorio, di corrispondente durata;

– neppure possono trovare ristoro a carico dell’AAMS le spese di partecipazione alla selezione atteso che tali esborsi sono fisiologici al relativo procedimento e naturalmente connessi con la posizione di aspirante al rilascio della concessione, tanto che non vengono rimborsati a chi non dovesse risultare vincitore all’esito della procedura, tanto più che, nel caso in esame, la M. – seppure in ritardo – ha tratto vantaggio da ridetta partecipazione;

– impossibile, infine, accertare con la necessaria compiutezza l’assiomatica prospettazione illustrata dalla Società ricorrente secondo la quale avere gestito la sala Bingo nel periodo di avvio del gioco e quindi negli anni 20012006 avrebbe determinato un vantaggio economico per i gestori non riproducibile nel periodo successivo (cfr., sul punto e in particolare le pagine 12 e 13 del ricorso introduttivo). Indubbiamente la ricorrente ha offerto al Collegio elementi documentali di riflessione sul punto, ma essi non costituiscono ugualmente, neppure in parte, un sufficiente indizio di fondatezza della tesi sostenuta dalla ricorrente medesima, non risultando quindi utili ai fini della dimostrazione del danno asseritamente patito a tale titolo.

11. – Consegue a quanto si è testé illustrato che gli esborsi ed, eventualmente, i mancati guadagni risarcibili sono quelli desumibili o ricostruibili sulla base di documentazione ufficiale e di ordine contabileaziendale.

Dato atto di ciò e passando all’esame analitico delle richieste specificamente formulate e quantificate dalla ricorrente, anche con produzione documentale, il Collegio ritiene che l’AAMS possa formulare, ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, per come riprodotto dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, una proposta risarcitoria facendo riferimento ai seguenti criteri:

a) tenere conto delle spese sostenute per mantenere la disponibilità giuridica del locale e quindi delle spese legate all’adattamento del locale stesso e direttamente provocate dal ritardo nella stipula della convenzione (ad esempio gli eventuali – visto che per concorrere era sufficiente la giuridica disponibilità dei locali – canoni di locazione, nonché i costi di custodia, pulizia, assicurazioni, ecc. nel periodo dal luglio 2001 all’ottobre 2004, allorché l’esborso risulti effettivo e documentato);

b) considerare l’incidenza delle variazioni urbanistiche intervenute successivamente all’11 luglio 2001 nell’area territoriale ove insiste il locale ed i riflessi economici patiti dalla Società ricorrente, sempre che non siano stati neutralizzati da sistemazioni più utili del locale autorizzate dall’Amministrazione, anche in occasione della richiesta di trasferimento della sala Bingo, se nel frattempo accolta dall’AAMS;

c) sulle somme accertate come dovute a titolo risarcitorio secondo quanto sopra dovrà riconoscersi la svalutazione monetaria prodottasi dal dì del verificarsi dei fatti che hanno dato luogo al detrimento patrimoniale;

d) dovrà, ancora, tenersi conto che le somme rivalutate sono produttive di interessi nella misura del tasso legale.

L’effettiva determinazione del quantum debeatur, secondo i criteri indicati, dovrà essere effettuata dall’Amministrazione, che entro il termine di 60 giorni dalla notifica della presente sentenza dovrà formulare una proposta alla parte ricorrente indicante l’ammontare complessivo del dovuto, corredata dall’analisi delle varie voci.

12. – In ragione di quanto sopra osservato, dunque, il ricorso va accolto con condanna dell’Amministrazione resistente nei termini di cui in motivazione.

La spese seguono la soccombenza e si liquidano, come in dispositivo, nella misura complessiva di Euro 4.000,00 (euro quattromila/00).
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, condanna l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, in persona del rappresentante legale pro tempore, al pagamento, in favore della Società M. di P.F. e C. S.n.c., in persona del rappresentante legale pro tempore, delle somme ad essa dovute per le causali di cui in sentenza da determinarsi con i criteri e nei tempi indicati in motivazione.

Condanna l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese di giudizio in favore della Società M. di P.F. e C. S.n.c., in persona del rappresentante legale pro tempore, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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