Cass. civ. Sez. V, Sent., 15-04-2011, n. 8632 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.G. impugnava, dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Napoli, un avviso di accertamento con il quale la locale Agenzia delle entrate aveva rettificato ai fini Irpef, elevandolo da L. 10.381.000 a L. 121.070.000, il reddito dichiarato per l’anno 1995.

Il ricorso veniva respinto per mancanza di sottoscrizione da parte del difensore nominato.

La decisione, gravata da appello, era riformata dalla commissione tributaria regionale della Campania, la quale, con sentenza 23.2.2005, osservava che nel ricorso in primo grado, sebbene dopo la pagina contenente la firma in calce del solo contribuente, era presente un’altra pagina (1) con la procura ad litem; (2) con la relativa sottoscrizione del difensore per autentica di firma e, immediatamente a seguire; (3) con la sua istanza per la discussione della causa in pubblica udienza.

Riteneva quindi insussistente la nullità dell’atto introduttivo previo richiamo di due sentenze di legittimità in ordine alla sufficienza della sottoscrizione del difensore apposta nella procura redatta in calce a o margine dell’atto stesso, sotto la certificazione di autenticità della firma del mandante.

Nel merito, la commissione territoriale sosteneva l’illegittimità dell’accertamento in quanto privo di indicazioni in ordine al volume d’affari e alla percentuale di ricarico applicabile secondo studi di settore.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate, previa articolazione di quattro motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo del ricorso per cassazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, denuncia "violazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione – violazione dell’art. 324 c.p.c. – inammissibilità dell’appello".

Premette la ricorrente che solo la statuizione di omessa sottoscrizione del ricorso da parte del difensore sorresse la decisione di primo grado, dacchè deduce che, in mancanza di censura su tale profilo, il giudice di appello non poteva riesaminare la questione di validità del ricorso medesimo. Invero, la sentenza avrebbe dovuto essere dal giudice di appello considerata come assunta in giudicato.

Il motivo è infondato.

La stessa ricorrente evidenzia che l’appellante fondò l’appello sull’affermazione che l’omessa sottoscrizione, nei modi sopra riferiti, del libello introduttivo del primo giudizio era da ascrivere a "mero errore materiale".

In questa affermazione è implicitamente contenuta la tesi del difetto di rilevanza della omissione ai fini della validità dell’atto.

Consegue che la questione devoluta al giudice d’appello conteneva certamente il profilo della validità del ricorso, poi in effetti dalla commissione regionale licenziato con la valutazione – difforme da quella impugnata – contenuta in sentenza.

In tal senso non si ravvisa il denunciato vizio di extrapetizione.

2. – Con il secondo motivo, rubricato come "violazione dell’art. 12, comma 5, nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, commi 3 e 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), la ricorrente pone la questione se la sottoscrizione del difensore, apposta sotto la procura in calce all’atto introduttivo, possa essere riferita all’atto stesso anche ove esso rechi una distinta sottoscrizione della parte ricorrente.

Il motivo, che contiene censura alla tesi – fatta propria dal giudice d’appello – della doppia valenza della firma del difensore in calce alla procura, è infondato.

A più riprese questa Corte ha evidenziato che la firma del difensore sugli atti di cui all’art. 125 c.p.c., apposta anche solo sotto la certificazione dell’autenticità della sottoscrizione della parte, ha lo scopo, oltre che di certificare l’autografia del mandato, di sottoscrivere tale atto, con la conseguenza che non può ravvisarsi nullità dell’atto stesso per mancata sottoscrizione del procuratore (Cass. 2009/17929; Cass. 2008/2070; Cass. 2005/6225; Cass. 2004/4617).

L’orientamento, del tutto consolidato, ben si attaglia anche al giudizio tributario in virtù del rinvio contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 cpv., ai principi di diritto comune. Nè appare in alcun modo contraddetto dalla ininfluente circostanza, qui sottolineata dall’agenzia ricorrente, che l’atto introduttivo del giudizio rechi in calce, o meno, la sottoscrizione della parte sostanziale.

3. – Il terzo motivo – denunciante vizio di extrapetizione ( art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4) – è fondato.

La censura è diretta a contrastare il punto della decisione nel quale l’avviso di accertamento è stato ritenuto, dalla commissione regionale, "privo di elementi giustificativi del reddito accertato".

Tanto il giudice tributario ha affermato sul duplice rilievo di una presunta mancanza, nell’atto impositivo, della indicazione del volume d’affari e della percentuale di ricarico applicabile secondo studi di settore.

Sostiene in contrario la ricorrente che, in tal modo, la commissione regionale ha ritenuto l’invalidità dell’avviso per motivi mai dedotti dalla parte.

Osserva il Collegio che il principio che regola il contenzioso tributario è che esso abbia un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi dedotti col ricorso introduttivo ( D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 24). In questo senso, invero, i motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado (ex plurimis Cass. 2006/22010; Cass. 2006/7766; Cass. 2005/108964) ovvero dell’inserimento di temi d’indagine nuovi (cfr. Cass. 2007/16829).

A fronte di tale principio, la censura svolta dall’amministrazione ricorrente è sorretta da precisi riferimenti agli atti del giudizio di merito, necessari a individuare la dedotta violazione processuale in termini di sostanziale autosufficienza.

Rispetto a questa denunciata violazione, la Corte è anche giudice del fatto.

L’esame degli atti del giudizio di merito supporta l’assunto dell’amministrazione ricorrente.

Risulta che, in effetti, il M., nel redigere il ricorso, non si dolse di omissioni contenutisti che dell’avviso, quanto in particolare della eccessività del volume d’affari e della inadeguatezza della percentuale di ricarico così come determinata nell’atto.

Da ciò il vizio di extrapetizione nel quale il giudice tributario è incorso nel ritenere, invece, l’invalidità dell’atto impositivo per una carenza di ordine contenutistico; giacchè, appunto, non tale carenza fu dedotta a motivo del gravame avverso l’atto medesimo.

La sentenza di merito va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della medesima commissione territoriale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e art. 383 c.p.c..

Resta assorbito l’esame della quarta doglianza involgente un denunciato errore di giudizio, in rapporto all’onere della prova dei ricavi discendenti da presunte medie di settore. Il giudice del merito provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo. Accoglie il terzo e dichiara assorbito il quarto. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla commissione tributaria regionale della Campania anche per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *