Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-01-2011) 25-02-2011, n. 7468 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che con l’impugnata sentenza, in conferma, per quanto ancora d’interesse, di quella di primo grado, pronunciata dal tribunale di Napoli il 5 ottobre 2006, C.N. e C.C. vennero ritenuti responsabili di bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta semplice documentale (quest’ultima previa derubricazione dell’originaria contestazione di bancarotta fraudolenta documentale), in relazione al fallimento della società di fatto da essi costituita, dichiarato il (OMISSIS);

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa degl’imputati denunciando:

1) mancata assunzione di prove decisive, quali costituite, in particolare, dall’audizione come testi dei sigg.ri D.R. e V., nonchè dei militari della guardia di finanza che, in epoca successiva al fallimento, avevano rinvenuto e sequestrato delle merci, e, ancora, dall’acquisizione, in ogni caso, dei verbali di detto sequestro e dall’acquisizione di una scrittura privata con la quale C.N. aveva concesso ipoteca sui propri beni immobili a favore della ditta Imec s.p.a., principale creditrice dell’impresa fallita, in relazione all’importo delle merci da essa fornite e, secondo l’accusa, non reperite, per la gran parte, dagli organi fallimentari; il tutto in vista della dimostrazione della tesi che l’entità del passivo sarebbe stata determinata in modo approssimativo e senza che gli organi fallimentari avessero impiegato la dovuta diligenza nell’osservanza dei propri compiti, nonchè della scarsa compatibilità – si sostiene – tra l’intento fraudolento perseguito, secondo l’accusa, da essi ricorrenti e l’avvenuta concessione di una garanzia reale al principale creditore;

2) violazione degli artt. 516, 521 e 522 c.p.p., per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, essendo stati chiamati i ricorrenti a rispondere di bancarotta fraudolenta in relazione alla pretesa ingiustificatezza di un passivo ammontante ad Euro 899.832,26, per poi vedersi condannati con riferimento ad un passivo solo approssimativamente determinato in 700/800mila Euro, dopo che il curatore aveva peraltro riconosciuto – si afferma – che i crediti vantati nei confronti dell’impresa fallita erano "diversi da quelli di cui all’imputazione", così come diversi erano i crediti a sua volta vantati dall’impresa medesima, e che taluni crediti erano stati ammessi al passivo più di una volta o si erano comunque rivelati privi di fondamento;

3) inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’onere della prova circa la destinazione dei beni oggetto delle asserite condotte distrattive, sull’assunto che non sarebbe da condividere, in quanto contrario ai dettami costituzionali "in tema di colpevolezza (art. 26 Cost.), di presunzione di innocenza e di diritto alla difesa", l’orientamento giurisprudenziale, al quale si è richiamata, nella specie, la corte di merito per affermare che, in presenza di una rilevantissima sproporzione tra il passivo e l’attivo, di cui non venga fornita adeguata spiegazione, sarebbe per ciò stesso da ritenere acquisita la prova tanto dell’elemento oggettivo quanto dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta per distrazione; orientamento, quello anzidetto, al quale sarebbe da contrapporne altro, espresso da Cass. civ., sez. 1^, 22 ottobre 1998 n. 10488, secondo cui il danno al cui risarcimento, in caso di fallimento, possono essere condannati gli amministratori non potrebbe, "sic et simpliciter", farsi coincidere con "la differenza di segno negativo tra l’attivo e il passivo";

4) inosservanza o erronea applicazione di legge per non essere stata ritenuta configurabile, in luogo della bancarotta fraudolenta, la bancarotta semplice, con riferimento alle ipotesi di cui alla L. Fall., art. 217, nn. 3 e 4, atteso che sarebbe stato da escludere il dolo richiesto per la più grave di dette ipotesi di reato, posto che il fallimento era stato – si afferma – per i ricorrenti, "un evento imprevisto e inaspettato" che aveva portato "rovina e disperazione nella loro famiglia" e che, a dimostrazione della loro buona fede, gli stessi si erano posti a completa disposizione del curatore fallimentare, giungendo anche, alla fine, alla "omologazione di un concordato fallimentare che ha garantito appieno le ragioni della procedura".
Motivi della decisione

– che il ricorso non appare meritevole di accoglimento e rasenta, anzi, l’inammissibilità, in quanto:

a) con riguardo al primo motivo, esso, nel ricalcare le stesse doglianze già sottoposte all’attenzione del giudice d’appello, non solo ignora, sostanzialmente, le risposte che pur ad esse sono state fornite nell’impugnata sentenza, ma omette altresì di specificare in dettaglio le ragioni dell’asserita, potenziale decisività delle prove di cui si lamenta la mancata assunzione, limitandosi a ripetere la generica accusa di superficialità e scarsa diligenza da parte degli organi fallimentari e ad insistere sulla necessità che vi sarebbe stata di acquisire, in particolare, la scrittura privata con la quale C.C. aveva concesso alla IMEC, principale creditrice, ipoteca sui propri beni immobili, senza che però risulti in alcun modo chiarito per quale ragione i rilascio di detta garanzia (sulla quale, peraltro, secondo quanto osservato nell’impugnata sentenza, si fondava per buona parte la pretesa creditoria da parte della IMEC), sarebbe stato idoneo a dimostrare ciò che in effetti si sarebbe dovuto dimostrare, e cioè che non vi era stato, nonostante le apparenze contrarie, il fatto sul quale, nell’essenziale, si basava l’addebito di bancarotta per distrazione: vale a dire la materiale sottrazione delle merci risultate mancanti all’atto dell’inventario (e poi in parte rinvenute a seguito di intervento della Guardia di finanza, a fallimento già dichiarato) ovvero del ricavato della vendita di dette merci;

b) con riguardo al secondo motivo, non si vede quale fondamento possa attribuirsi alla denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (in tanto rilevante, com’ è noto, in quanto si traduca in un effettivo pregiudizio del diritto di difesa), volta che l’ammontare del passivo ritenuto ingiustificato sia (come appare pacifico) inferiore e non superiore a quello indicato nel capo d’imputazione; nè, d’altra parte, risulta specificato, se non con un fuggevole accenno a quelle che sarebbero state le dichiarazioni del curatore nel corso del giudizio di primo grado, in che cosa sarebbe esattamente consistita la diversità dei crediti vantati nei confronti dell’impresa fallita rispetto a quelli di cui all’imputazione (dal cui testo, peraltro, quale riportato nell’impugnata sentenza, non risulta che i crediti in questione fossero indicati in dettaglio, per cui non risulta neppure chiaro in che modo la presunta diversità avrebbe potuto negativamente incidere sul diritto di difesa);

c) con riguardo al terzo motivo, esso in altro non consiste se non nel dichiarato tentativo di rimettere in discussione quello che, con apprezzabile lealtà, si riconoscere essere il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di prova della distrazione nei reati di bancarotta; orientamento dal quale, tuttavia, il collegio non vede ragione di discostarsi, pur in presenza del segnalato arresto della giurisprudenza civile di questa Corte, dal quale, peraltro, non si vede quale sostegno possa venire alla tesi della difesa, dal momento che in esso ci si riferisce soltanto ai criteri di determinazione del danno risarcibile dagli amministratori in forza del disposto di cui agli artt. 2392 e 2394 cod. civ., per affermare addirittura che esso può anche superare quello costituito dalla differenza tra passivo ed attivo fallimentare;

d) con riguardo al quarto motivo, esso, per un verso, si esaurisce in asserzioni e valutazioni del tutto soggettive e di mero fatto, non verificabili nè apprezzabili, come tali, in questa sede; per altro verso, nel richiamarsi all’intervenuto concordato fallimentare, ignora la risposta che, sul punto, risulta fornita dalla corte di merito, con il richiamo al remoto ma pur sempre valido precedente costituito da Cass. 5^, 3 aprile – 12 luglio 1974 n. 5040, Malusa, RV 127597, secondo cui il concordato fallimentare non può essere causa di estinzione del reato di bancarotta semplice, la cui perseguibilità presuppone soltanto la definitività della pronuncia dichiarativa del fallimento; principiuo, questo, che, all’evidenza, non può non valere anche nel caso di bancarotta fraudolenta.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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