Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-04-2011, n. 8879 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Con atto di citazione ritualmente notificato la Filatura Fontanella s.p.a. conveniva dinanzi al Tribunale di Biella la Evergreen s.r.l., deducendo che quest’ultima era venuta meno agli obblighi derivanti a suo carico da tre contratti di compravendita di filati, non provvedendo a ritirare il prodotto pattuito alle scadenze previste. L’attrice chiedeva, pertanto, che venisse dichiarata la risoluzione dei predetti contratti per inadempimento della società resistente, con condanna della stessa al risarcimento dei danni.

Nel costituirsi, la Evergreen s.r.l. contestava La fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto.

2) Con sentenza depositata il 13-4-2001 il Tribunale dichiarava la risoluzione dei contratti 94B8100 del 14-9-1994 e 9400336 del 15-9- 1994 (poi distinto col numero 95BC500) per inadempimento della società acquirente, rigettando le ulteriori domande attrici e dichiarando interamente compensate le spese processuali.

La Filatura Fontanella s.p.a. proponeva appello avverso tale sentenza, chiedendo che venisse dichiarato risolto anche il terzo contratto di compravendita, per la parte non adempiuta, non avendo l’acquirente ritirato 833 Kg. di filato. L’appellante insisteva, inoltre, per il risarcimento dei danni subiti, precisando che il filato oggetto del contratto non era stato prodotto e che la domanda risarcitoria era stata motivata, oltre che sulla base dell’incidenza del margine contributivo, anche sulla percentuale media del mancato fatturato.

La Evergreen s.r.l. si costituiva chiedendo con appello incidentale la riforma del capo inerente alla statuizione sulle spese di lite.

3) Con sentenza depositata il 13-4-2001 la Corte di Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello principale, dichiarava la risoluzione del contratto n. (OMISSIS); rigettava l’appello incidentale; condannava l’appellante a pagare all’appellata i tre quarti delle spese del grado di appello, che dichiarava compensate per il resto.

La Corte territoriale, in particolare, riteneva non provati i danni lamentati dalla società venditrice, rilevando che quest’ultima, stante la mancata produzione del filato, avrebbe dovuto dimostrare di non aver lavorato e di aver perso, nel contempo, altre possibilità di lavoro, non avendo, nel periodo in questione, provveduto a soddisfare richieste di altri clienti onde poter provvedere alla c prestazione in favore dell’appellata.

4) Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Filatura Fontanella s.p.a., sulla base di un unico motivo.

La Evergreen s.r.L resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso la Filatura Fontanella s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione agli artt. 2697, 1218 e 1518 c.c. e art. 1453 c.c., comma 1, nonchè 112 c.p.c..

Deduce, in primo luogo, che la Corte di Appello, nel rigettare la domanda risarcitoria proposta dall’attrice per mancanza di prova del danno, ha violato i principi dettati in tema di onere della prova dall’art. 2697 c.c., addebitando alla ricorrente un onere probatorio che non le compete.

Rileva che, secondo la giurisprudenza, la parte che propone l’azione di risarcimento danni è tenuta a provare solo l’esistenza del titolo, incombendo sulla controparte l’onere di provare di avere adempiuto.

In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Filatura Fontanella ha provato il danno subito, rappresentato dal cd. "margine contributivo lordo", e cioè dall’utile che avrebbe ottenuto dalla vendita per cui è causa e dalla quota di costi fissi che sarebbero stati coperti col prezzo. Fa presente che l’attrice non era tenuta a provare di non aver soddisfatto richieste di altri clienti onde poter far fronte alle prestazioni in favore dell’acquirente; e ciò sia perchè la Filatura Fontanella sarebbe stata in grado di produrre in proprio la merce in qualsiasi momento le fosse stata richiesta, sia perchè la stessa avrebbe potuto far produrre quel filato presso altri, i cosiddetti terzisti. Sostiene che, ai sensi dell’art. 1218 c.c., almeno il danno emergente deve considerarsi in re ipsa e non abbisogna, pertanto, di specifica prova da parte del creditore.

Aggiunge che, ai sensi dell’art. 1518 c.c., nei contratti aventi ad oggetto l’acquisto dei beni mobili indicati nell’art. 1515 c.c., comma 3 e cioè quei beni che hanno un prezzo corrente stabilito, il danno subito dal venditore è presunto. Fa presente che la parte inadempiente può provare che il danno non sussiste o sussiste in misura minore, ma che, nella specie, la controparte è rimasta silente sul punto.

Il motivo è infondato.

E’ vero che, secondo la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. 12-2-2010 n. 3373; Cass. 13-6-2006 n. 13674; Cass. S.U. 30-10-2001 n. 13533).

Tale principio, tuttavia, è stato affermato in materia di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, e non già di prova del danno che da tale inadempimento sia conseguito; prova che deve essere fornita dalla parte che ne chiede il risarcimento. Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, sia nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, sia in quella di responsabilità contrattuale, spetta al danneggiato fornire la prova dell’esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore. A tal fine l’art. 1218 c.c., che pone una presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, non agevola la posizione del danneggiato in ordine alla prova dell’effettiva esistenza del danno derivante dall’inadempimento, onere che non è diverso da quello incombente su colui che faccia valere una responsabilità extracontrattuale (Cass. Sez. 1, 10-10-2007 n. 21140; Cass. Sez. 3, 18-3-2005 n. 5960; Sez. 3, 9-5-2000 n. 5913).

Nel caso di specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello, pur avendo accertato l’inadempimento contrattuale della società convenuta, ha rigettato la domanda risarcitola proposta convenuta, ha rigettato la domanda risarcitola proposta dall’attrice, avendo ritenuto, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, che quest’ultima non ha fornito la prova dell’esistenza di un concreto danno e del suo ammontare.

Non appare conferente, d’altro canto, il richiamo operato dalla ricorrente all’art. 1518 c.c., il quale, in caso di inadempimento delle obbligazioni nascenti dalla compravendita di cose che abbiano un prezzo corrente a norma dell’art. 1515 c.c., comma 3 (in quanto stabilito per atto dell’autorità o risultante da listini di borsa o da mercuriali), fissa la misura del risarcimento del danno nella differenza tra il prezzo pattuito e quello corrente, dispensando la parte adempiente dall’onere della prova dell’esistenza e dell’ammontare del pregiudizio subito.

La norma in esame, infatti, ha carattere eccezionale, perchè deroga ai normali criteri di liquidazione del danno stabiliti dall’art. 1223 ss. c.c., ai quali, pertanto, si deve far ricorso quando la cosa compravenduta non sia sussumibile nell’elenco di quelle indicate dall’art. 1515, comma 3, al quale l’art. 1518 rinvia (Cass. 22-2-2010 n. 4209; Cass. 16-4-1994 n. 3614; Cass. 29-7-1983 n. 5222). E, nel caso di specie, la stessa attrice, nell’illustrare il motivo di ricorso, ha dato atto che in relazione alla merce venduta non si verte strettamente in un’ipotesi di "prezzo corrente stabilito".

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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