Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 25-02-2011, n. 7493

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata l’8 febbraio 2010 e depositata il 15 febbraio 2010, la Corte di appello di Torino, ridotta la pena principale (da cinque anni e otto mesi) a quattro anni di reclusione e sostituita la pena accessoria perpetua della interdizione dai pubblici uffici con la temporanea, ha confermato, nel resto, la sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di Verbania, 9 maggio 2006, di condanna – nel concorso di circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla aggravante – a carico di P.A., imputato del delitto di omicidio tentato, commesso mediante accoltellamento in danno di S.C., per futili motivi, in Città del (OMISSIS).

1.1 – I giudici di merito hanno accertato: quanto all’antefatto prossimo, il giudicabile e la vittima, il primo cameriere e il secondo cuoco del ristorante (OMISSIS) (in Germania), avevano avuto una discussione, determinata anche dall’abuso di bevande alcooliche (in precedenza consumate in vari locali della città) e connessa a pregressi contrasti "circa la tempistica del servizio ai tavoli del ristorante; l’alterco aveva avuto luogo negli alloggi messi a disposizione dal datore di lavoro e, precisamente, nella stanza di P., dove S. era entrato dopo aver dato in escandescenze, sferrando un calcio contro l’armadio della propria camera; i due, avevano, quindi, convenuto di recarsi in un locale notturno nel vicino (OMISSIS); S. aveva preso posto a bordo della macchina di P., condotta da costui; P. aveva, quindi, fatto rifornimento di carburante presso una stazione di servizio; quindi, aveva raggiunto una piazzuola dell’autostrada, teatro del fatto di sangue; colà l’imputato estrasse un coltello e vibrò plurimi colpi contro il collega, attingendo all’interno dell’abitacolo della macchina e, ancora, al fianco e alla schiena, mentre la vittima tentava di allontanarsi a piedi; in particolare P. ferì S. 1) alla testa, lacerandogli il cuoio capelluto; 2) al collo con tramite penetrante fino al livello della cartilagine tiroidea, lacerandola, e con lesione dei vasi arteriosi e venosi, tra cui la vena facciale; 3) alla parte superiore della spalla destra; 4) alla cavità toracica destra con pneumotorace; 5) alla schiena con penetrazione nella cavità toracica sinistra e lacerazione della parete posteriore del corrispondente lobo polmonare inferiore, con pneumotorace e con emotorace; la vittima riportò ulteriori lesioni a carico del margine sinistro del fegato; abbandonato esanime sulla strada dall’aggressore, S. fu soccorso da un automobilista e sottoposto, in condizioni critiche, a intervento chirurgico di urgenza.

1.2 – Con riferimento ai motivi di gravame, formulati dall’appellante – avverso la sentenza di prime cure e, congiuntamente, avverso la ordinanza del giudice della udienza preliminare 9 maggio 2006, di rigetto della richiesta di incidente probatorio – e in relazione a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha motivato nei termini che seguono.

1.2.1 – In rito priva di pregio è la impugnazione della ordinanza adottata dal primo giudice. La istanza istruttoria respinta costituiva, infatti, mera riproposizione di precedenti richieste (disattese), formulate, da ultimo, colla iniziale mozione di giudizio abbreviato condizionato, istanza, tuttavia, poi rinunciata dalla parte per effetto della successiva richiesta di ammissione al rito speciale, senza condizioni.

1.2.2 – Sotto l’ulteriore profilo della sollecitata rinnovazione della istruzione dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 2, non è dato apprezzare la assoluta necessità della assunzione delle prove nuove.

In particolare affatto superflua è la postulata indagine psichiatrica circa le condizioni psicofisiche dell’imputato.

La denunziata lipotimia non è indicativa di alcuna infermità mentale, penalmente rilevante; mentre le stesse dichiarazioni di P., circa movente e modalità del fatto di sangue, appaiono inconciliabili con "l’episodio lipotimico". 1.2.3 – Nel merito, prive di fondamento sono le deduzioni difensive per il riconoscimento della esimente della legittima difesa, anche sotto il profilo putativo, e, in via più gradata dell’eccesso colposo.

La tesi difensiva, secondo la quale P. avrebbe vibrato le coltellate "alla cieca e senza mirare" per difendersi dalla vittima la quale avrebbe minacciosamente estratto e brandito altro coltello, è, innanzi tutto, contraddetta dalla ammissione dello stesso appellante di aver effettivamente tentato di ferire (assertivamente solo agli arti) il preteso aggressore. Ed è smentita dalla prova orale e dalla generica. A tacere della testimonianza della vittima, soccorre quella de relato del sodale di P., O. M., cui il giudicabile confidò di aver ferito un connazionale con "nove coltellate di cui una alla gola". Inoltre la considerazione della localizzazione delle ferite sul corpo della vittima, e specialmente della coltellata alla schiena con penetrazione di circa dieci centimetri nella cavità toracica, la circostanza che l’appellante non abbia riportato alcuna lesione e che sulla scena del delitto non sia stato reperito il coltello asseritamente impugnato da S., il rilievo che il giudicabile anzichè restare nella propria camera (ove poteva, all’occorrenza, contare sull’aiuto del collega di lavoro G. M.), si sia allontanato in macchina prendendo a bordo il preteso aggressore, senza, peraltro, recarsi dalla polizia e senza, neppure, segnalare il pericolo inscenato, in occasione della sosta alla stazione di rifornimento, delineano una situazione di fatto assolutamente antitetica rispetto alle ipotesi di legittima difesa.

Il ferimento, per le inequivoche modalità della azione, non è ri- conducibile ad alcun intento difensivo. Si tratta, invece, di condotta qualificabile – secondo la finizione dello stesso appellante – in termini di vero e proprio "duello rusticano" promosso da P. per "saldare i conti" col collega "in un contesto di reciproca prepotenza e abuso di alcolici". 1.2 A – Non meritano accoglimento le deduzioni dell’appellante per la derubricazione della imputazione.

La qualificazione giuridica del delitto ritenuto è affatto corretta.

La gravità delle lesioni cagionate, in relazione al pericolo di vita insorto, alla durata della malattia conseguita (protrattasi per circa due mesi) e alla entità dei postumi (con compromissione della funzione respiratoria), il numero delle coltellate, i distretti anatomici interessati dimostrano la idoneità e la univocità della condotta, animata dal dolo, quanto meno, alternativo rispetto all’evento mortale, scongiurato per cause indipendenti dalla volontà del feritore, solo grazie al tempestivo soccorso e al delicato intervento chirurgico presso l’ospedale di (OMISSIS).

1.2.5 – Il complesso dei succitati elementi e circostanze, accertate in punto di fatto, comporta la conferma della sentenza appellata anche sui punti concernenti la ritenuta aggravante dei motivi futili e il diniego della provocazione e del concorso della persona offesa nella causazione dell’evento: "anche nella iporesi più favorevole all’imputato" il fatto di sangue costituì l’epilogo di un "litigio tra ubriachi, originato da reciproche provocazioni" in relazione a "di prevalere l’uno sull’altro (..) con mezzi minacciosi e violenti". 2. – Ricorre per Cassazione l’imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Zanetta Alberto, mediante atto del 22 marzo 2010, col quale sviluppa otto motivi, dichiarando promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lettere b), c) ed e), con corredo di citazioni di varie massime di legittimità, inosservanza o erronea applicazione della legge penale e inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 603 c.p.p., (primo motivo), in relazione agli artt. 56 e 575 c.p. (quarto motivo), in relazione agli artt. 52 e 59 c.p. (quinto motivo), in relazione all’art. 55 c.p. (sesto motivo), in relazione all’art. 61 c.p., n. 1, (settimo motivo) e in relazione l’art. 62 c.p., nn. 2 e 5, (ottavo motivo), nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

2.1 – Con il primo motivo il difensore si duole della reiezione della istanza di rinnovazione della istruzione dibattimentale, per l’espletamento di perizia in ordine alle condizioni psicofisiche del ricorrente al momento del fatto; deduce di aver documentato gli episodi di lipotimia; argomenta che il rito abbreviato non osta alla assunzione officiosa di nuove prove; lamenta la violazione del "principio costituzionale del giusto processo", asserendo che il giudicabile sarebbe stato "privato della concreta possibilità di offrire ragione delle condotte al medesimo ascritte"; censura che la Corte territoriale ha formulato la negativa valutazione circa la necessità della indagine postulata "in termini nè dirimenti, nè risolutivi". 2.2 – Con il secondo motivo il difensore censura che la Corte territoriale non avrebbe dato conto, nel contrasto tra le versioni, alla preferenza accordata alla dichiarazioni della persona offesa, piuttosto che a quelle del giudicabile e oppone che i giudici di merito non hanno tenuto contro che S., alla stregua della informativa della Questura di Catania risultava gravato dalla pendenza di sette procedimenti penali.

2.3 – Con il terzo motivo il difensore ribadendo la tesi del ricorrente di aver colpito l’antagonista a scopo di difesa e di essersi allontanato dal teatro del delitto, lasciando colà S. nella convinzione di non "averlo seriamente leso", richiama, con citazioni testuali, le testimonianze a) di M. G., circa l’irruzione di S. nella camera del ricorrente forzando la porta e circa i pregressi contrasti tra i due;

b) di M.T. circa i propositi aggressivi in precedenza esternati da S., circa l’intento di costui di munirsi di un coltello e circa la "zuffa" intercorsa tra i due dove che S. aveva dato in escandescenze, danneggiando i mobili;

c) del datore di lavoro, M.M., circa la cattiva condotta di S. e le rimostranze di P.. Oppone, quindi, il ricorrente: P. fu oggetto di "preordinata aggressione"; la Corte territoriale non poteva escludere che S. fosse armato; costui aveva "divisato la sfida a coltelli", per come aveva preannunziato; gli antecedenti storici suffragano, nel contrasto tra le versioni, quella del ricorrente; P. aveva in precedenza preparato i bagagli in quanto aveva deciso di lasciare il lavoro e di rimpatriare per il contegno minaccioso di S..

2.4 – Con il quarto motivo il difensore contesta la qualificazione giuridica della condotta, negando la ricorrenza dei requisiti della univocità e della idoneità della azione e la sussistenza dell’elemento psicologico; e postula la derubricazione nel delitto di lesione personale ritenuta confacente alla "potenzialità dell’azione lesiva in sè" e all’"atteggiamento psicologico dell’agente", ribadendo che P. avrebbe sferrato le coltellate "alla cieca e senza mirare". 2.5 – Con il quinto motivo il difensore sostiene la ricorrenza della legittima difesa e, gradatamente, della legittima difesa putativa e afferma: P. agì "per contrastare l’aggressione portatagli da S."; quanto meno incorse "in errore di fatto sulla esistenza dei presupposti della legittima difesa". 2.6 – Con il sesto motivo il difensore, in ulteriore subordine, postula il riconoscimento dell’eccesso colposo sotto il profilo alternativo di aver "imprudentemente causato" l’evento ovvero di aver ecceduto rispetto "ai limiti oggettivi della causa di giustificazione", in dipendenza dello "status psicologico di terrore e timore, di metus e angoscia ingenerato e alimentato dalla condotta di S."; ed, altresì, afferma la "carenza di colpa" del ricorrente.

2.7 – Con il settimo motivo il difensore di duole della ritenuta aggravante dei motivi deducendo che le "plurime e continue vessazioni del S." escludono la futilità del movente.

2.8 – Con l’ottavo motivo il difensore lamenta il diniego delle postulate attenuanti ai sensi dell’art. 62 c.p., comma 1, nn. 2 e 5 , deducendo: la reazione del ricorrente fu indotta dalla "condizione di angoscia, di ira, paura, timore e tremore" per il comportamento "bullesco", vessatorio e aggressivo di S.; costui – sulla base di quanto argomentato in punto di ricostruzione del fatto – accettò "il rischio di determinare l’evento". 3.- Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1 – Non ricorre – alla evidenza – il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte di appello esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

3.2 – Neppure palesemente ricorre vizio alcuno della motivazione.

Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Ma-ruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per Cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 3.3 – Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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