T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 25-02-2011, n. 100 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La curatela del fallimento indicato in epigrafe espone:

– che è stato acquisito alla massa fallimentare un immobile realizzato con concessione edilizia rilasciata dal Comune resistente il 29 maggio 1989, poi annullata dal TAR con sentenza del 20 dicembre 1996 n. 889;

– che, non coltivando il Comune l’appello proposto avverso tale sentenza, il relativo giudizio era dichiarato perento;

– che con ordinanza del 5 settembre 2003 il Comune ordinava la demolizione dell’immobile;

– che detto provvedimento era impugnato davanti al TAR con ricorso iscritto al n. 586/2003;

– che il 2 aprile 2004 presentava domanda di condono ai sensi dell’art. 32 D.L. 263/2003;

– che dopo due anni di inerzia il Comune chiedeva integrazione documentale, prontamente eseguita;

– che tuttavia il Comune continuava a mantenere un atteggiamento inerte nonostante le ripetute sollecitazioni della curatela e la rappresentazione dell’urgente esigenza alla definizione della pratica stante la necessità di vendere i beni acquisiti alla massa;

– che solo il 29 maggio 2009 il Comune chiedeva ulteriore documentazione sollevando dubbi sulla condonabilità dell’opera;

– che la curatela contestava la richiesta evidenziando che tutta la documentazione era agli atti del Comune e ribadiva le sue argomentazioni sulla condonabilità dell’opera, facendo presente che sulla domanda era comunque maturato il silenzio assenso;

– che con nota comunale dell’8 luglio 2009 veniva preannunciato il diniego sull’istanza di condono, con contestuale invito a presentare formale istanza ai sensi dell’art. 38 DPR 380/2001;

– seguiva replica che contestava la legittimità di tale atto, e nota comunale che ribadiva quanto già evidenziato e comunicava l’avvenuto inoltro di richiesta all’agenzia del territorio per la valutazione prevista dall’art. 38 cit.

2. Tale condotta è ritenuta gravemente illegittima, visto che il Comune, nonostante il fabbricato sia venuto a trovarsi in condizione di abusività a causa dell’annullamento della concessione rilasciata, avrebbe consapevolmente aggravato la posizione della ricorrente omettendo dapprima di adottare soluzioni dirette alla salvaguardia dell’edificio, poi ritardando la definizione della pratica di condono, infine prospettando l’esigenza di avviare un diverso iter procedimentale, con ulteriore aggravio di costi e ritardi, omettendo perfino di definire in senso negativo, come preannunciato, la domanda di condono.

Tanto premesso deduce in diritto, a sostegno della domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla sentenza di annullamento delle concessioni edilizie; dall’emissione dell’ordinanza di demolizione n. 18 del 5.9.2003 e dal ritardo nella definizione della pratica di condono, la responsabilità del comune:

– per aver rilasciato la concessione edilizia poi annullata, invece di negarla motivatamente in modo da consentire all’impresa di rimediare all’eccedenza volumetrica che ne ha causato l’annullamento;

– per non aver coltivato il giudizio di appello avverso la sentenza TAR di annullamento;

– per non aver in vario modo regolarizzato il fabbricato ed aver anzi emesso ordinanza di demolizione, rendendo l’immobile non più vendibile e pregiudicandone la conservazione;

– per non aver dato atto del silenzio assenso maturatosi; non avere ancora rigettato la domanda di condono e non avere comunque adottato provvedimenti di un qualsiasi tenore in modo da consentirne perlomeno l’impugnazione.

Deriverebbe da ciò un danno quale conseguenza diretta dall’atto amministrativo illegittimo (ordinanza di demolizione) nonché dall’inerzia nella definizione del procedimento di condono, imputabile al comportamento dell’amministrazione in violazione dei canoni fondamentali di legalità e correttezza, quantificato, in base alla perdita del valore dell’immobile ed alle spese tecniche e legali delle pratiche, in 205.025,54 Euro, oltre ulteriori accessori.

Conclude perché il Tribunale "voglia accertare l’avvenuto compimento dei termini per il silenzioassenso… e per l’effetto dichiarare la intervenuta sanatoria dell’intero fabbricato…; condannare l’amministrazione resistente nonché il responsabile dell’ufficio tecnico… e il responsabile del procedimento… in solido tra loro, al risarcimento dei danni" come sopra quantificato.

3. Resiste in giudizio il Comune che ha concluso per l’inammissibilità, irricevibilità ed infondatezza del ricorso.

Sono invece intervenuti i soggetti indicati in epigrafe, acquirenti di talune unità immobiliari incluse nello stabile, a sostegno della ragioni di parte ricorrente.

4. Alla luce del principio secondo cui, anche quando (come in materia urbanistica) il giudice amministrativo sia fornito di giurisdizione esclusiva, le domande relative all’accertamento di posizioni di interesse legittimo non sono ammissibili, né nel precedente regime processuale, né nell’attuale, visto che la generale azione di accertamento prevista nella originaria stesura non è entrata nel testo finale del Codice del processo amministrativo (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 13 dicembre 2010, n. 7519), la difesa comunale deduce l’inammissibilità della domanda di accertamento della formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono.

Il collegio è dell’avviso che, in materia affidata alla giurisdizione esclusiva, l’azione diretta ad accertare la formazione del silenzio assenso possa essere ammessa per garantire effettività della tutela (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 15 aprile 2010 n. 2139, in merito all’azione di accertamento dell’inesistenza dei presupposti della d.i.a.) di chi abbia un interesse qualificato ad ottenere una sentenza dichiarativa che possa tener luogo nei rapporti con terzi del titolo che si assume l’amministrazione abbia omesso di emanare. Appare infatti soluzione che richiede manovre di evidente artificiosità quella secondo cui l’interessato, non potendo chiedere l’accertamento della sua posizione, dovrebbe invece attivarsi per provocare provvedimenti che disconoscano la formazione dell’assenso tacito da poter impugnare in un ordinario giudizio di annullamento. L’art. 24 Cost. esprime al contrario l’esigenza secondo cui "occorre… che la tutela assicuri in modo specifico l’attuazione della pretesa sostanziale", cosicché "anche per gli interessi legittimi la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo di questa posizione sostanziale, almeno in tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti necessaria per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente" (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, ancora in tema di D.I.A.).

Resta naturalmente il fatto che, anche nell’ambito di un’autonoma azione di accertamento, la posizione sostanziale di cui si chiede tutela non muta, cosicché, fintanto che si tratti di interesse legittimo, la stessa rimane comunque conformata dai provvedimenti emanati. L’azione in parola non potrebbe essere quindi utilizzata per contrastare il contenuto di un provvedimento rimasto inoppugnato e così eludere i termini di decadenza per l’azione impugnatoria (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 27 ottobre 2010, n. 3836). Parimenti, poiché l’azione non è diretta alla tutela di un diritto soggettivo ma di un interesse legittimo, e dovendo essere assicurata la stessa tutela che si avrebbe in caso di emanazione di provvedimento soggetto ad impugnazione, "l’azione di accertamento in tal caso sarà sottoposta allo stesso termine di decadenza (di sessanta giorni) previsto per l’azione di annullamento" che si sarebbe potuta esperire se l’amministrazione avesse adottato un provvedimento espresso (in tali termini Cons. Stato 717/2009 cit.).

5. Tornando al caso di specie, la proposta azione di accertamento sarebbe quindi comunque inammissibile laddove l’amministrazione avesse invece nel frattempo respinto esplicitamente la domanda con provvedimento non impugnato.

E’ perciò a tali fini necessario qualificare la nota comunale 13 agosto 2009, a cui la difesa comunale assegna la funzione di atto conclusivo del procedimento di condono, e quindi di provvedimento necessariamente da impugnare per poterne contrastare l’assunto che lo sorregge, e cioè che le opere di cui all’istanza non erano suscettibili di essere sanate. In mancanza di impugnazione, tale conclusione non potrebbe essere infatti rimessa in discussione con l’azione di accertamento in questa sede proposta.

Il collegio ritiene di condividere tale impostazione.

Dopo avere in precedenza implicitamente negato la formazione del silenzioassenso, chiedendo ad esempio integrazioni documentali (nota del 14 giugno 2006) o comunicando alla curatela "che la pratica di cui all’oggetto è in fase di istruttoria e definizione (nota 20 maggio 2008), atti di per sé incompatibili con il riconoscimento della tacita formazione del titolo sanante, con la nota in parola il Responsabile del servizio riteneva "di confermare quanto già comunicato con nota 4248 del 08/07/2009", portando ulteriormente a conoscenza di aver provveduto a chiedere la stima ex art. 38 DPR 380/2001.

Tale nota manifesta la chiara volontà dell’amministrazione di chiudere negativamente il procedimento negando la formazione del silenzio assenso e ciò perché la domanda è stata ritenuta relativa a tipologia non prevista dal d.l. 269/2003, come chiarito da Ad. Plen. 4 del 2009. L’ulteriore riferimento all’art. 38 DPR 380/2001 non può che dare conferma alla determinazione dell’amministrazione di seguire un percorso procedimentale incompatibile con la perdurante pendenza della pratica di condono. Quello delineato dall’art. 38 è infatti un procedimento sanzionatorio, che il comune può legittimamente attivare solo qualora non risultino pendenti procedimenti di sanatoria o condono.

Da tale nota emerge quindi chiaramente che il Comune ha negato la formazione del silenzio assenso ed ha ritenuto di non poter utilmente concludere il procedimento per le diffuse motivazioni contenute nella richiamata nota 4248, peraltro esplicitamente qualificata come "preavviso di rigetto istanza di condono". La motivazione richiamata è d’altra parte appropriata, vista la congruità del riferimento alla decisione dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2009, che effettivamente ha chiarito che "l’Allegato 1 al d.l. 30 settembre 2003 n. 269, come modificato dalla l. di conversione 24 novembre 2003 n. 326, al quale l’art. 32 dello stesso decreto fa rinvio per individuare le opere edilizie realizzate abusivamente ma suscettibili di sanatoria, non comprende fra esse quelle realizzate in base a concessioni edilizie annullate, il che costituisce circostanza sufficiente a ritenere legittimo il diniego di condono per esse opposto… considerato l’ampio potere discrezionale di cui dispone il legislatore nell’individuare le categorie di opere a suo avviso non condonabili", e che legittimamente sorregge la conclusione secondo cui la non ammissibilità al condono delle opere in questione ha impedito la formazione del silenzio assenso.

Infatti, la formazione tacita del titolo in tanto può maturarsi in quanto la domanda sia ammissibile e quindi suscettibile di essere esaminata nel merito; non è così, invece, in presenza di istanza che debba essere respinta in limine perché riferita ad opere non ascrivibili alle categorie previste dal legislatore che, essendo escluse dalla possibilità di essere condonate con provvedimento espresso, lo sono anche da quella di essere regolarizzate in forma tacita.

Tali conclusioni dell’amministrazione sono contestate con argomentazioni generiche, come tali del tutto inidonee ad essere qualificate come ragioni di censura, il che rende la pretesa di parte ricorrente comunque inammissibile.

6. Nell’impostazione della ricorrente assume comunque centralità l’atteggiamento complessivo dell’amministrazione, che inizialmente ha consentito la costruzione con un titolo rivelatosi illegittimo e quindi ha ignorato la possibilità di applicare la sanzione "sanante" di cui all’art. 38 DPR 380/2001, ingiungendo invece la demolizione e provocando l’attivazione di una pratica di condono che cinque anni è stata dichiarata non ammissibile.

Isolando le varie componenti del lamentato illecito, può intanto osservarsi che non è configurabile un danno derivante dal rilascio della concessione edilizia poi annullata. Un provvedimento illegittimo può infatti causare danni nei soli confronti di chi è costretto a subirne gli effetti fintanto che sopraggiunga l’annullamento. Situazione che si prospetta nel caso di provvedimento che incida su un interesse oppositivo o che frustri un interesse pretensivo, ma non può invece verificarsi nell’ipotesi di un atto ampliativo, di per sé insuscettibile di essere lesivo della sfera giuridica del richiedente. Un atto di tale natura, infatti, abilita a porre in essere l’attività autorizzata, ma non impone certamente di farlo e sicuramente non esonera dalle conseguenze che derivano dalla scelta di realizzare la costruzione nonostante la pendenza del giudizio che ne metteva in discussione la legittimità. E l’eventuale danno che ne consegua, in quanto derivante dal concorso colposo del richiedente e comunque evitabile con l’ordinaria diligenza, per il principio di autoresponsabilità di cui all’1227 c.c., non può essere imputato al Comune che ha rilasciato il titolo (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 16 dicembre 2005, n. 5004).

Né può essere indizio di responsabilità comunale il non avere curato adeguatamente l’appello avverso la sentenza di primo grado che annullava la concessione, visto che una parte necessaria di quel giudizio, che ha scelto di non appellare a sua volta e di non costituirsi, non ha titolo a sollevare rimostranze sulla condotta processuale di un’altra parte.

7. Risulta evidente che i danni che la ricorrente lamenta derivano tutti dalla mancata regolarizzazione dell’immobile, e quindi dalla possibilità di commercializzazione delle unità immobiliari residue. Mettendo da parte le argomentazioni svolte in ricorso che in questa sede non sono ammissibili in quanto non oggetto di alcuna domanda, quali quelle attinenti alla ripetizione delle somme pagate a titolo di oblazione o l’altra relativa alla pretesa ad ottenere una variante urbanistica legittimante l’eccesso volumetrico (pag. 12 del ricorso), si può rilevare che l’ordinanza di demolizione, improduttiva di autonomi effetti, non appare di per sé causativa di danni fintanto che la situazione resti regolata dall’annullamento giurisdizionale delle concessioni edilizie, che rende la costruzione priva di titolo e quindi esposta alle conseguenti limitazioni della circolazione. Ed infatti la ricorrente lamenta essenzialmente il ritardo dell’attività comunale di regolarizzazione dell’immobile.

Il danno lamentato presuppone tuttavia che si abbia titolo ad accedere ad una qualche forma di regolarizzazione, si tratti di sanatoria o di sanzione non demolitoria, ottenuta la quale l’immobile diventa commerciabile e può diventare rilevante il ritardo a provvedere in tal senso. Escluso che tale titolo possa essere costituito dal condono ex art. 32 d.l. 269/2003 e delineata dall’amministrazione la prospettiva di un provvedimento ex art. 38 DPR 380/2001, tale danno potrà essere dunque accertato solo una volta che la ricorrente abbia fatto constatare il ritardo, imputabile all’amministrazione, con cui la "regolarizzazione" è stata effettuata. Il che presuppone che sia in primo luogo accertato, attraverso l’emanazione del necessario atto, che si abbia titolo ad un provvedimento in grado di salvaguardare l’immobile. Al momento la ricorrente non ha conseguito alcunché, per cui un danno da ritardo non è neanche prospettabile, essendo ancora incerto il conseguimento del bene della vita a cui si aspira.

La domanda risarcitoria deve essere perciò allo stato rigettata.

8. Le spese di giudizio possono essere interamente compensate.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara in parte inammissibile e per l’altra parte lo rigetta. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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