T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 25-02-2011, n. 93 Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti premettono che nella seduta del 9 settembre 2009, al fine di riequilibrare il numero degli iscritti dopo i numerosi trasferimenti determinati dai noti eventi calamitosi, il Senato accademico dell’Ateneo aquilano aveva deliberato di accogliere per i corsi della Facoltà di Medicina e Chirurgia "tutti i fogli di congedo degli anni successivi al primo provenienti da altre sedi universitarie senza il rilascio del nulla osta al trasferimento, eventualmente anche in soprannumero rispetto al contingente stabilito per ogni anno di corso". In attuazione di tale indirizzo, con decreto n. 1044/2009 il Rettore stabilì di accogliere tutte le domande di trasferimento di studenti provenienti da università di paesi comunitarie, da presentarsi nei termini ivi issati.

In quanto studenti di Odontoiatria, iscritti presso università di paesi comunitari, i ricorrenti presentarono domanda di trasferimento. Così fecero altri studenti provenienti dalle medesime università.

Nelle more il Ministero dell’Università aveva tuttavia chiesto all’Ateneo di ritirare il suddetto decreto 1044/2009 in quanto illegittimo rispetto al parametro legislativo che subordina l’accesso ai corsi di laurea della Facoltà di Medicina e Chirurgia al superamento di una prova preselettiva. In adesione a tale richiesta, con decreto 1952/2009 il Rettore annullava il precedente decreto e stabiliva che le domande in questione non potevano essere accolte. Al provvedimento veniva data quindi attuazione con singoli atti di diniego.

Avendo appreso che taluni studenti che si erano venuti a trovare nella loro medesima condizione avevano impugnato tanto la nota ministeriale ed il decreto rettorale 1952 quanto i singoli dinieghi ed avevano ottenuto dal TAR la sospensione degli atti impugnati, gli attuali ricorrenti con atto di significazione e diffida chiedevano l’estensione nei loro confronti delle suddette misure cautelari. La risposta era data dalle distinte note qui impugnate, con cui l’università comunicava che avrebbe dato esecuzione unicamente a provvedimenti del giudice ed in relazione ai singoli ricorrenti.

Chiedendone l’annullamento, ed in via incidentale la sospensione cautelare, i ricorrenti hanno dedotto la violazione degli artt. 7 e 10bis L. 241/90, per essere mancato il preavviso di diniego; hanno poi sostenuto che la sospensione giurisdizionale di atti a contenuto generale, quali la nota ministeriale ed il decreto rettorale, non può che estendere i propri effetti a tutti i soggetti interessati; hanno infine lamentato che comunque nessuna valutazione sugli interessi in gioco è stata fatta dall’amministrazione prima di negare la suddetta estensione.

Risultando dalle comunicazioni che costituiscono oggetto del giudizio che i ricorrenti avevano già in vario modo impugnato (con distinti ricorsi straordinari o nella maggior parte dei casi al TAR Lazio) i medesimi atti su cui si era formato il giudicato cautelare di cui era chiesta l’estensione, la suddetta domanda di sospensione veniva respinta sul rilievo che adeguate misure cautelari potevano essere chieste nell’ambito dei giudizi dagli stessi incardinati in altre sedi.

2. In questa sede il collegio ritiene che quell’impostazione vada mantenuta.

In merito può essere osservato quanto segue:

– i provvedimenti con cui sono state respinte le domande di trasferimento presentate da studenti terzi rispetto a questo giudizio sono state impugnate dai singoli interessati ed hanno provocato distinti provvedimenti cautelari;

– anche gli attuali ricorrenti avevano autonomamente impugnato i medesimi atti (nota ministeriale 26431/2009, decreto rettorale 1955 e nota di reiezione del direttore amministrativo, come essi stessi mettono in rilievo nella diffida e come è stato a ciascuno evidenziato dalle note che hanno costituito l’occasione per instaurare il presente giudizio);

– è poi emerso che gli stessi atti erano stati ulteriormente impugnati davanti a questo TAR da taluni degli attuali ricorrenti (Barbato, Capasso e Francese sono ricorrenti nel ricorso 352/2010; Adelizzi, Ferraiolo e Cava nel ricorso 331/2010), ottenendo la misura cautelare con ord. 252 e 262 del 2010.

In tale contesto appare del tutto corretta l’impostazione assunta dall’amministrazione nelle singole note di riscontro alle diffide degli attuali ricorrenti, allorché ha respinto l’istanza assicurando la tempestiva esecuzione alle misure che il giudice adito avrebbe adottato sui ricorsi dagli stessi proposti. A parte la questione del palese difetto di interesse di chi già disponeva in proprio della misura cautelare di cui alle citate ordinanze 252 e 262, deve ritenersi in via generale che la pendenza di un autonomo giudizio precluda la possibilità che vengano estesi in proprio favore gli effetti delle misure cautelari rese in un diverso processo, potendo lo stesso interessato rivolgersi al giudice presso cui ha proposto ricorso per ottenere provvedimenti analoghi a quelli di cui chiede l’estensione. L’instaurazione di autonomi giudizi consente infatti la possibilità che in sede cautelare gli stessi siano definiti diversamente dai singoli giudici investiti di una questione giuridica comunque controversa. Cosicché non sembra coercibile la volontà dell’amministrazione che abbia inteso adeguare le proprie determinazioni agli esiti dei singoli giudizi avviati dagli interessati, ritenendo perciò di attendere anche l’esito dei ricorsi proposti dai richiedenti. La pendenza dei medesimi ha reso inopportuno, stante la possibilità di un diverso esito, la generalizzazione degli effetti di ordinanze cautelari succintamente motivate, la cui portata va necessariamente valutata alla luce degli specifici motivi di ricorso che le avevano provocate ("nel giudizio amministrativo di impugnazione, favorevolmente conclusosi per il ricorrente, il giudicato si forma con esclusivo riferimento ai vizi dell’atto ritenuti dal giudice sussistenti alla stregua dei motivi dedotti nel ricorso": Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2006, n. 7816; sez. V, 9 aprile 2010, n. 2001, cosicché ai fini della delimitazione dell’ambito del giudicato sotto il profilo del c.d. effetto conformativo dell’ulteriore attività dell’amministrazione occorre aver riguardo alla tipologia e al numero dei motivi accolti: Consiglio Stato, sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7112).

Laddove le istanze fossero intese come dirette a chiedere l’estensione del giudicato, andrebbe comunque tenuto conto che l’esercizio di tale potere è ampiamente discrezionale (Consiglio Stato, sez. VI, 14 aprile 2009, n. 2265; 21 febbraio 2007, n. 921), in quanto espressione della potestà di autotutela (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 5 novembre 2010, n. 23122) e tradizionalmente inscritto tra le ipotesi enucleate dalla giurisprudenza in cui è esclusa la sussistenza qualsiasi obbligo di provvedere (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 12 gennaio 2010, n. 76; sez. III, 18 giugno 2009, n. 3360; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 22 luglio 2008, n. 977).

Pur superati i dubbi di ammissibilità, si tratterebbe comunque dell’esercizio di un potere discrezionale di tale ampiezza da essere incensurabile in questa sede se non sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, nella specie non ravvisabile. Essendo stato il proprio orientamento indotto da motivate osservazioni dell’amministrazione statale, la scelta dell’amministrazione di non disattendere le medesime se non per esplicita disposizione del giudice in relazione ai singoli casi appare anzi dettata da normale prudenza.

Da tale prospettiva l’esercizio della discrezionalità non sembra perciò viziato da vizi macroscopici, unici rilevanti allorché essa acquista tale ampiezza.

3. E peraltro, nella misura in cui si sostiene che assicurare l’estensione nei loro confronti del "giudicato" di riferimento sia un preciso obbligo dell’amministrazione, derivante dalla portata generale e dal carattere unitario dell’atto sospeso, a meglio considerarla, l’azione proposta si presta ad una qualificazione tale da collocarla in quella ora prevista dall’art. 59 cod. proc. amm. di cui al d.lg. 104/2010, relativa all’esecuzione delle misure cautelari.

Si postula, infatti, che la portata di quelle ordinanze cautelari sia tale da imporsi per forza propria in favore di tutti i soggetti la cui posizione era rimasta negativamente conformata dall’atto che si assume sospeso erga omnes. Il secondo motivo, più che l’illegittimità del provvedimento impugnato, in realtà sostiene che, senza alcuna necessità che tale effetto sia mediato da atti amministrativi di carattere provvedimentale, l’atto ministeriale ed il decreto rettorale ostativi all’accoglimento della loro domanda di trasferimento debbano considerarsi ormai inefficaci rispetto a tutte le possibili situazioni da essi regolate. Il giudizio promosso è così chiaramente diretto all’accertamento della portata del giudicato cautelare, non certo a sindacare la legittimità di un provvedimento amministrativo che abbia ritenuto diversamente, essendo evidente che sul punto l’amministrazione non ha alcun potere e che la questione non è regolabile attraverso provvedimenti di carattere autoritativo che attingano ad una sfera discrezionale, visto che l’individuazione della efficacia del giudicato non può attenere all’esercizio di alcuna discrezionalità.

I ricorrenti assumono in tal modo la veste di soggetti portatori di una situazione di vantaggio derivante da un provvedimento giurisdizionale emesso a seguito di un giudizio in cui non erano parti, in quanto ritengono si tratti di decisione incidente su un atto a contenuto inscindibile e che non può essere perciò ritenuto, all’esito del giudizio, esistente per taluni o inesistente per altri. La decisione di annullamento non ha in tali casi la portata circoscritta determinata dal principio generale secondo cui i relativi effetti sono limitati alle parti in causa, ma acquista invece efficacia ergaomnes (Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2009, n. 7023, esplicitamente richiamata nella diffida. In termini analoghi Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6473, che incidentalmente rileva che tale fenomeno estensivo riguarda anche l’ordinanza cautelare).

Si tratta di posizione soggettiva che conduce alla deroga del principio secondo cui legittimate in via generale ed esclusiva alla proposizione del giudizio di ottemperanza sono solo le parti che hanno partecipato al giudizio di cognizione concluso con la pronuncia oggetto della domanda di esecuzione. Infatti, in caso di giudicato su atto inscindibile e comunque di portata generale, i soggetti estranei al giudizio di merito, ma portatori di tale situazione di vantaggio, sono legittimati all’azione di ottemperanza (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7249), e quindi, si deve ritenere, mutatis mutandis, anche al giudizio di esecuzione delle misure cautelari, ora regolato dall’art. 59 cit.

Non quindi impugnazione di un provvedimento che abbia discrezionalmente valutato la possibilità di estendere ai richiedenti un giudicato di per sé efficace solo inter partes, bensì domanda volta all’accertamento dell’efficacia diretta del giudicato anche nei loro confronti ed all’adozione delle conseguenti misure.

Così individuata la domanda, deve osservarsi che di essa non è possibile la conversione ex art. 32 cod. proc. amm., essendo il ricorso carente della notifica a tutte le parti del giudizio definito con le ordinanze della cui esecuzione si tratta, ex artt. 114 e 59 cod. proc. amm.

Per cui da tale prospettiva il ricorso deve ritenersi allo stato inammissibile, essendo proposta in forma impugnatoria di atto avente natura non provvedimentale ciò che è in realtà un’azione diretta ad accertare l’efficacia nei propri confronti di un provvedimento giurisdizionale, di per sé esperibile in sede di esecuzione e non di cognizione.

4. La particolarità della controversia induce alla compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara inammissibile e comunque infondato. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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