T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 25-02-2011, n. 1178 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 15 febbraio 2010 e depositato il successivo 4 marzo F.L. ha impugnato la disposizione dirigenziale n. 623 del 16.12.2009 con cui il Comune di Napoli, Direzione centrale VI gli aveva denegato il permesso di costruire in relazione ad un elaborato progettuale da lui presentato, in qualità di promittente acquirente, per un intervento di frazionamento di un complesso industriale.

L’atto gravato è motivato sulla base del rilievo che nell’ambito 13 – ex raffineria – rinviato a pianificazione esecutiva, in cui è situato l’immobile oggetto dell’istanza di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 143 comma 18 della variante di Prg, nelle more di approvazione dei piani urbanistici esecutivi e del piano di trasferimento, sono consentite attività edilizie fino alla manutenzione straordinaria e non di ristrutturazione, come nel caso in esame.

Nel medesimo atto è inoltre specificato che l’art. 9 comma 2 del T.U.E. – richiamato nel parere favorevole della C.E.I. – che consente interventi di ristrutturazione trova applicazione solo nei casi di assenza di piano esecutivo e di contestuale mancanza di una disciplina urbanistica nelle more dell’approvazione della disciplina attuativa, laddove nella specie, nel Comune di Napoli, ai sensi della variante di P.R.G. adottata con D.P.G.R.C. n. 323 del 11 giugno 2004, ex art. 2 comma 4, sono previsti gli interventi eseguibili nelle more di approvazione dei piani urbanistici esecutivi.

A sostegno del ricorso ha articolato quatto motivi.

1. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, in particolare degli artt. 3,9,10 e 22; L. n. 1150 del 17 agosto 1942; L.R. n. 16 del 22 dicembre 2004; L.R. n. 19 del 28 novembre 2001; L. 7 agosto 1990 n. 241; violazione e falsa applicazione delle variante di P.R.G. adottata con D.P.G.R.C. dell’11 giungo 2004 n. 323, in particolare dell’art. 22; dell’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria.

L’Amministrazione ha erroneamente qualificato l’intervento oggetto della richiesta di permesso quale "ristrutturazione edilizia" e non invece, come avrebbe dovuto, quale intervento di "frazionamento", fattispecie questa normata dall’art. 22 della variante di P.R.G. in forza del quale il frazionamento è consentito ove non sia diversamente prescritto nella disciplina relativa alle singole zone, con la conseguente ammissibilità dello stesso alla stregua degli articoli della variante di P.R.G. relativi alla zona in cui doveva realizzarsi l’intervento medesimo, ovvero gli articoli 45 e 48, che non contengono alcuna limitazione circa gli interventi di frazionamento dell’edificio esistente.

1.2 In ogni caso anche a voler qualificare tale intervento di frazionamento quale intervento di "ristrutturazione" lo stesso sarebbe consentito in forza dell’art. 9 comma 2 del D.P.R. 380/01 applicabile al caso di specie, come già ritenuto dalla Commissione Edlizia nel parere favorevole.

Errata pertanto è la motivazione posta a base del gravato provvedimento di diniego circa l’applicabilità di tale disposto normativo solo nei casi di assenza di piano esecutivo e di contestuale mancanza di una disciplina urbanistica nelle more dell’approvazione della disciplina attuativa, laddove nella specie nel Comune di Napoli, ai sensi della variante di P.R.G. adottata con D.P.G.R.C. n. 323 del 11 giugno 2004, sono previsti gli interventi eseguibili nelle more di approvazione dei piani urbanistici esecutivi, in quanto la previsione di cui all’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 è riferita proprio all’ipotesi di presenza di strumenti urbanistici generali e di mancata adozione dei relativi strumenti urbanistici attuativi.

1.3. Diversamente ragionando si verrebbe ad equiparare il caso di specie – assenza di piano attuativo – alla mancanza di strumenti urbanistici: il che non è.

2. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, in particolare degli artt. 3, 9,10 e 22; L.R. n. 16 del 22 dicembre 2004; L.R. n. 19 del 28 novembre 2001; L. 7 agosto 1990 n. 241;Violazione e falsa applicazione della variante al P.R.G. adottata con D.P.R.G.C. dell’11 giugno 2004 n. 323, in particolare dell’art. 22; dell’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria; manifesta irragionevolezza; violazione del principio di proporzionalità.

La previsione di cui all’art. 143 comma 18 della variante di P.R.G. posta dall’Amministrazione a base del diniego non troverebbe applicazione per un duplice ordine di motivi:

mancata adozione degli strumenti attuativi in un termine ragionevole;

esclusione delle misure di salvaguardia relativamente alle zone urbanizzate.

2 a) In relazione al primo profilo per la giurisprudenza laddove l’Amministrazione preveda che l’attività edificatoria sia in concreto subordinata alla preventiva approvazione di un più specifico strumento urbanistico di attuazione del piano regolatore generale, ciò deve avvenire in presenza di effettive e conclamate ragioni, ed in ogni caso con la previsione di limite di tempo per la formazione del piano attuativo o di dettaglio.

Nell’ipotesi di specie pertanto evidente è l’illeggittmità del gravato provvedimento, in quanto a distanza di ben sei anni dall’approvazione della variante di P.R.G., non sono stati ancora adottati i piani attuativi, con la conseguente impossibilità da parte della competente Amministrazione di addurre a fondamento del provvedimento di diniego di permesso di costruire la mancata adozione dei piani medesimi.

La mancata adozione dei piani attuativi può pertanto equipararsi alla decadenza dei medesimi, che secondo la consolidata giurisprudenza consente la costruzione di nuovi fabbricati nel rispetto della normativa urbanistico edilizia di zona, che resta ultrattiva a tempo indeterminato per la parte che disciplina l’edificazione nelle sue linee essenziali.

2 a) L’Amministrazione ha ritenuto la necessità dell’esistenza di uno strumento attuativo ai fini edificatori, strumento invero non necessario per essere la zona in cui deve realizzarsi l’intervento di cui è causa già totalmente urbanizzata, per cui l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere ad un valutazione dell’intervento progettato – peraltro di mero frazionamento e non di nuova costruzione – alla luce della generale situazione del comprensorio, con conseguente illegittimità del gravato provvedimento.

3. Violazione di legge: Violazione e falsa applicazione del D.P.R: 6 giugno 2001 n. 380; L.R: n. 16 del 22 dicembre 2004; L.R. n. 19 del 28 novembre 2001; dell’art. 3 L. 7 agosto 1990 n. 241; violazione e falsa applicazione della variante al P.R.G. adottata con D.P.G.R.C. dell’11 giugno 2004 n. 323; dell’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per motivazione completa e insufficiente.

Il gravato provvedimento è altresì illegittimo in quanto adottato in assoluta carenza di istruttoria e di motivazione, vertendo l’unico motivo di diniego sulla circostanza, peraltro imputabile all’Amministrazione medesima, della mancata adozione di strumenti attuativi.

La P.A. non ha provveduto ad effettuare alcuna necessaria valutazione circa la natura e la consistenza dell’intervento oggetto dell’istanza, oltre che delle condizioni dell’area in cui lo stesso dovrebbe essere realizzato, valutazione questa da effettuarsi anche nell’ipotesi di una parziale edificazione e non completa urbanizzazione, con la conseguenza che le ragioni del diniego devono essere motivate in rapporto alla situazione generale del comprensorio a quel momento esistente.

L’obbligo motivazione nel caso de quo era poi ancora più pregante, atteso il parere favorevole – obbligatorio sebbene non vincolante – reso dalla Commissione Edilizia.

4. Violazione di legge. Violazione dell’art. 3 L. 7 agosto n. 241; dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere per contraddittorietà e irrazionalità.

La carenza di istruttoria è rinvenibile anche nella contraddittorietà dell’operato dell’Amministrazione, evincibile dalla motivazione posta a base del preavviso di rigetto e da quella del provvedimento finale di diniego.

Nella prima si era infatti evidenziata la non assentibilità dell’intervento in base al disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, in considerazione della circostanza che l’intervento di ristrutturazione interessante l’intero edificio sarebbe assentibile in forza del citato disposto solo nell’ipotesi in cui il fabbricato abbia destinazione residenziale e non destinazione industriale, come nell’ipotesi di specie, laddove nella seconda si era invece invocata l’inapplicabilità nel caso di specie del citato disposto dell’art. 9 comma 2, trattandosi di norma destinata a trovare applicazione solo nelle ipotesi di assenza di piano esecutivo e di contestuale mancanza di una disciplina urbanistica nelle more dell’adozione dei piani esecutivi, mentre la variante di Prg individua gli intereventi eseguibili nella more dell’approvazione dei piani urbanistici esecutivi.

Da ciò si evince che l’operato della P.A. è viziato anche da eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca, estrinseca ed irrazionalità, laddove il complessivo quadro dell’agere provvedimentale dell’Ente non consente di comprendere i reali motivi ostativi all’applicazione dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01.

Si è costituito il Comune di Napoli con deposito di documenti e di memoria difensiva, instando per il rigetto del ricorso.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 10 novembre 2010.
Motivi della decisione

1. Come descritto nella narrativa in fatto il ricorrente ha impugnato il diniego di rilascio del permesso di costruire per il frazionamento di un immobile destinato a complesso industriale, fondando la domanda di annullamento su quattro motivi.

1.2 L’atto gravato, come detto, è motivato sulla base del duplice rilievo che nell’ambito 13 – ex raffineria – rinviato a pianificazione esecutiva, in cui è situato l’immobile oggetto dell’istanza di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 143 comma 18 delle N.T.A della variante di Prg, nelle more di approvazione dei piani urbanistici esecutivi e del piano di trasferimento, sono consentite attività edilizie fino alla manutenzione straordinaria e non di ristrutturazione, come nel caso in esame, nonché in virtù del fatto che l’art. 9 comma 2 del T.U.E. – richiamato nel parere favorevole della C.E.I. – che consente interventi di ristrutturazione, trova applicazione solo nei casi di assenza di piano esecutivo e di contestuale mancanza di una disciplina urbanistica nelle more dell’approvazione della disciplina attuativa, laddove nella specie, nel Comune di Napoli, ai sensi della variante di P.R.G. adottata con DPGRC n. 323 del 11 giugno 2004, sono previsti gli interventi eseguibili nelle more di approvazione dei piani urbanistici esecutivi, ai sensi dell’art. 2 comma 4 e dell’art. 143 comma 18.

2. Ciò posto, il Collegio ritiene di esaminare i motivi di ricorso secondo un ordine logico, nell’ottica di maggiore satisfattività degli interessi di parte ricorrente ed analizzando congiuntamente le censure che si presentano connesse da un punto di vista logico e strutturale.

3. Va quindi prioritariamente esaminato, in quanto di carattere sicuramente assorbente, il primo motivo di ricorso nella parte in cui il ricorrente (censura sub. 1.1) deduce che l’intervento di cui è causa non costituirebbe intervento di ristrutturazione edilizia, precluso nella zona de qua, nelle more di approvazione del piano esecutivo, ai sensi dell’art. 143 comma 18 della variante di P.R.G, ma intervento di "frazionamento", ovvero un intervento edilizio non inquadrabile in alcuna delle altre categorie e pertanto assentibile, ove non vietato in riferimento alla disciplina specifica delle singole zone, ai sensi dell’art. 22 della variante di P.R.G., con conseguente illegittimità del gravato provvedimento.

3.1 L’assunto non può essere condiviso.

3.2 Ed invero, ai fini della qualificazione degli interventi edilizi, occorre prendere le mosse dalla disciplina contenuta nel D.P.R. 380/01, in quanto inderogabile ad opera dei regolamenti comunali e delle previsioni di P.R.G., secondo quanto espressamente sancito dall’art. 3 comma 2 del D.P.R. 380/01, in forza del quale "le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall’articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490".

Il comma 1 del medesimo disposto normativo, alla lettera d), qualifica gli "interventi di ristrutturazione edilizia", come "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica".

Tale disposto normativo si completa con quello dell’art. 10 comma 1 lett. c), che disciplina gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitanti di permesso di costruire, prevedendo che tali siano "gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso".

3.3 Ne consegue che l’intervento de quo, caratterizzato da aumento di unità immobiliari, comporta la creazione di un manufatto diverso dal precedente e va pertanto qualificato quale intervento di ristrutturazione edilizia, necessitante altresì di permesso di costuire, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 comma 1 lett. d) e 10 comma 1 lett. c) del D.P.R. 380/01.

In tal senso si è pronunciata d’altronde la giurisprudenza anche in riferimento all’analogo e previgente disposto dell’art. 31 l. 5 agosto 1978 n. 457 (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 07 ottobre 2003, n. 983, secondo cui "Ai sensi dell’art. 31 l. 5 agosto 1978 n. 457, il frazionamento edilizio ossia la creazione da una preesistente unità immobiliare di più distinte consistenze autonomamente utilizzabili pur nel rispetto della sagoma e della volumetria originarie, configura una " ristrutturazione edilizia", considerando che la risultante dell’intervento consiste comunque nella creazione di un organismo edilizio diverso da quello precedente"; T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 23 novembre 2005, n. 5030, secondo cui "Ai sensi dell’art. 31, l. 5 agosto 1978 n. 457, il frazionamento edilizio, ossia la creazione da una preesistente unità immobiliare di più distinte consistenze autonomamente utilizzabili, pur nel rispetto della sagoma e della volumetria originaria, configura una " ristrutturazione edilizia ", atteso che la risultante dell’intervento consiste comunque nella creazione di un organismo edilizio diverso da quello precedente").

E’ infatti evidente che l’intervento di frazionamento immobiliare, comportando aumento di unità immobiliari, porti alla creazione di un organismo edilizio diverso dal precedente, anche nell’ipotesi in cui, come nella specie, non comporti aumento di volumetria e cambio di destinazione d’uso e modifica della sagoma, e vada pertanto annoverato fra gli interventi di ristrutturazione edilizia, necessitanti di permesso di costruire, ai sensi del combinato disposto degli art. 3 comma 1 lett. d) e dell’art. 10 comma 1 lett. c) del D.P.R. 380/01.

4. Più complessa si presenta invece la censura, del pari sollevata con il primo motivo di ricorso (sub. 1.2.), secondo cui l’intervento de quo, anche a volerlo considerare quale intervento di ristrutturazione edilizia, doveva intendersi consentito nelle more di approvazione del piano esecutivo, ai sensi dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, come già ritenuto dalla Commissione Edilizia.

Pertanto, secondo il ricorrente, del tutto immotivatamente il Comune avrebbe disatteso tale parere, con il sancire l’inapplicabilità nella specie di tale disposto normativo, in quanto l’art. 143 comma 18 delle N.T.A. della variante di P.R.G. del Comune di Napoli disciplinerebbe espressamente gli interventi eseguibili nella zona de qua, nelle more di approvazione dei piani esecutivi.

4.1 Ai fini della corretta risoluzione di tale problematica occorre previamente verificare se l’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 consenta interventi quale quello di specie – come ritenuto dalla C.E.I. nel parere favorevole reso – per poi verificare, nell’ipotesi di risposta positiva a tale primo quesito, se lo stesso sia derogabile ad opera delle diverse previsioni di piano regolatore, come sostanzialmente ritenuto dal Comune nella motivazione del provvedimento finale (laddove nella motivazione contenuta nei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza si era ritenuto che l’art. 9 comma 2 si riferisse ai soli manufatti a destinazione residenziale).

4.2 Al primo quesito occorre dare senz’altro risposta positiva.

Ed invero mentre le previsioni di cui al comma 1 dell’art. 9 si riferiscono solamente alla aree sprovviste dello strumento urbanistico generale (consentendo, salvo disciplina più restrittiva ad opera dalla legislazione regionale, interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro o risanamento conservativo), il comma 2 dello stesso art. 9 disciplina in termini meno restrittivi quelle prive del necessario piano attuativo, ma dotate di uno strumento urbanistico generale idoneo a fornire le coordinate di fondo dello sviluppo del territorio.

Tali aree non possono pertanto essere propriamente qualificate quale "zone bianche", perché esse non sono prive di pianificazione generale, ma della disciplina urbanistica di dettaglio richiesta dal P.R.G. vigente.

In questi casi, oltre agli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo, sono ammessi altresì quelli di ristrutturazione edilizia, alle condizioni esplicitate nel medesimo disposto normativo.

L’art. 9 comma 2 del D.P.R. 380/01 riproduce al riguardo in larga misura il contenuto del quarto comma dell’art. 27 della legge n. 457/1978 – da ritenersi tuttora vigente in relazione agli immobili ricompresi in zone di recupero – estendendone la disciplina a tutte le aree sprovviste della pianificazione attuativa prescritta dal P.R.G. quale condizione per l’edificazione. La relazione parlamentare al D.P.R. n. 380/01 chiarisce, in ordine all’art. 9 cit. che "il comma 2 riproduce un’estensione contenuta nel richiamato art. 27 della legge n. 457, prevedendo che la stessa disciplina si applichi anche alle aree nella quali non siano approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti come condizione per l’edificabilità dell’area".

L’art. 9 comma 2 del D.P.R. 380/01, non diversamente dall’art. 27 legge n. 457 del 1978, prevede la possibilità di intervenire solo su edifici esistenti, con opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo ex art. 3, lettera a),b),c) dello stesso D.P.R.380/01, senza particolari limitazioni. Lo stesso art. 9 ammette, inoltre, gli interventi di ristrutturazione di cui alla lett. d) dell’art. 3, purchè riguardino singole unità immobiliari o loro parti. Ove invece, i suddetti interventi di ristrutturazione edilizia interessino l’intero fabbricato, o più edifici, la loro ammissibilità è subordinata ad una duplice condizione:

1)Il mantenimento delle "destinazioni preesistenti" almeno nella misura del 75%;

2)Il convenzionamento con il Comune "limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale" in ordine ai prezzi di vendita e ai canoni di locazione, nonché il concorso negli oneri di urbanizzazione.

Rimangono esclusi per converso tutti gli altri interventi edilizi.

La disciplina dell’art. 27, legge n. 457/1978 fu inizialmente introdotta per i soli immobili ricompresi in zone di recupero. L’art. 14 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ha sostituito un nuovo quarto comma agli originari commi quarto e quinto dell’art. 27 cit. Nel passaggio dalla vecchia alla nuova formulazione del citato disposto dell’art. 27 si è attenuato il favor precedentemente accordato alla destinazione residenziale rispetto alle altre. L’art. 27 infatti impediva originariamente la trasformazione delle preesistenti destinazioni residenziali, ma non anche di quelle diverse, con il duplice effetto di favorire il recupero di aree degradate e promuovere l’insediamento, sulle stesse di funzioni residenziali. La ristrutturazione degli immobili degradati in zona di recupero ed in mancanza di pianificazione attuativa, infatti, da un lato imponeva il mantenimento delle preesistenti destinazioni residenziali, dall’altro consentiva la trasformazione residenziale delle destinazioni diverse.

L’attuale art. 27 legge n. 457/1978, come anche l’art. 9 D.P.R. 380/01, consente invece la trasformazione delle destinazioni preesistenti nella misura massima del 25%, senza disporre alcunché di specifico per la quota di funzioni residenziali. Dal tenore letterale della norma si evince che ai fini dell’ammissibilità dell’intervento di ristrutturazione non rileva la destinazione residenziale; si dichiarano infatti ammissibili gli interventi che modifichino "fino al 25% delle destinazioni preesistenti"; l’uso del plurale depone senz’altro per il riferimento non ad una sola destinazione, ma a tutte quelle preesistenti. Infatti laddove il legislatore ha inteso riferire la disciplina dell’art. 9 comma 2, D.P.R. 380/01 e dell’art. 27 legge n. 457/1978, alla sola destinazione residenziale, lo ha fatto esplicitamente, imponendo il convenzionamento "limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale".

In definitiva mentre il legislatore del 1978 perseguiva il duplice intento del recupero delle aree degradate e della promozione degli insediamenti residenziali in area urbana, nella legge n. 179/1992 sembra prevalere l’intervento conservativo degli insediamenti preesistenti – qualunque essi siano – anche sotto il profilo funzionale, limitandone tuttavia la radicale trasformazione, in mancanza di intervento di pianificazione necessario a raccordare le nuove destinazioni funzionali con il contesto urbanistico di riferimento.

L’art. 9 comma 2 del T.U. edilizia consente pertanto, secondo quanto evidenziato da attenta dottrina, la ristrutturazione edilizia in mancanza della pianificazione di dettaglio anche al di fuori delle zone di recupero, al fine evidentemente di prevenire i fenomeni di degrado e di tutelare la proprietà immobiliare, altrimenti esposta alle conseguenze economiche negative dei ritardi della pubblica amministrazione nell’attività di pianificazione, contenendo peraltro le trasformazioni funzionali nella misura del 25% in mancanza di una previa pianificazione di dettaglio.

Nel contesto della legislazione della casa degli anni 70 era infatti evidente lo scopo di favorire l’insediamento di nuove funzioni residenziali e di promuoverne la vendita o la locazione in regime convenzionato. Successivamente tale finalità è divenuta recessiva e la novella del 1992 ne ha segnato l’abbandono, modificando la norma in modo da consentire il recupero degli edifici esistenti, anche in mancanza di pianificazione di dettaglio, ma secondo modalità sostanzialmente conservative.

In tale contesto le trasformazioni più rilevanti, eccedenti la misura del 25% di tutte le destinazioni d’uso preesistenti, rimangono assoggettate alla previa pianificazione attuativa., sia nella previsione della legge n. 179/1992, sia in quella del D.P.R. 380/2001. Tali previsioni tuttavia consentono di modificare anche la destinazione residenziale prima intangibile, con il solo limite del convenzionamento con il Comune limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, in ordine ai prezzi di vendita e ai canoni di locazione, nonché il concorso negli oneri di urbanizzazione.

Alla stregua di tale ricostruzione appare evidente che l’intervento di cui è causa, seppure riferito ad un intero edificio e non a singole unità immobiliari o a parti di esso, e ricadente quindi nella disciplina della seconda parte dell’art. 9 comma 2, sia assentibile, in base alla prescrizione di legge, secondo quanto a tal riguardo ritenuto nel parere della C.E.I., in quanto nell’ipotesi di specie si ha comunque la conservazione della precedente destinazione, ad uso industriale, destinazione questa non ostativa all’assentibilità degli interventi di ristrutturazione, secondo quanto innanzi evidenziato.

Pertanto, alla luce delle suesposte argomentazioni, si presentava erronea la motivazione contenuta nei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Detta erronea motivazione non è stata reiterata nel provvedimento finale ove invece si è ritenuta l’inapplicabilità del disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, in forza della disciplina speciale dettata in riferimento alla zona in cui ricade l’intervento de quo, ai sensi dell’art. 143 comma 18 delle N.T.A. del P.R.G. di Napoli, a sua volta attuativa della prescrizione dell’art. 2 comma 4 delle N.T.A..

4.3 Deve pertanto essere analizzata, ai fini della risoluzione della problematica de qua, la questione relativa alla prevalenza della disciplina legislativa di cui al D.P.R. 380/01, ovvero di quella di cui alle N.T.A della variante di P.R.G..

4.4 La risoluzione di tale questione presuppone peraltro la risoluzione di altra problematica, ovvero quella della natura delle N.T.A., questione questa che si pone comunque come pregiudiziale, in considerazione della circostanza che parte ricorrente non ha impugnato, neppure con il presente ricorso, il disposto dell’art. 143 comma 18 delle N.T.A. della variante di P.R.G., con la conseguenza che, solo ove si assegnasse a tale disposto natura regolamentare, il Collegio, previa sua disapplicazione, potrebbe pervenire all’accoglimento di tale censura, in considerazione della prevalenza della disciplina di cuoi all’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 rispetto alla normativa dettata dalle N.T.A. della variante di P.R.G..

Secondo una consolidata giurisprudenza in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore generale, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale (ex multiis, Cons. Stato, Sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5258), occorre tenere distinte le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici; la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) dalle altre regole che disciplinano le modalità dell’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano e nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull’osservanza di canoni estetici; sull’assolvimento di oneri procedimentali e documentali; regole tecniche sull’attività costruttiva). Infatti, mentre per le disposizioni appartenenti alla prima categoria si impone, in relazione all’immediato effetto conformativo dello jus aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, altrimenti le regole di zonizzazione e di localizzazione versano in condizione di inoppugnabilità, a diversa conclusione deve pervenirsi, invece, con riguardo alle prescrizioni appartenenti alla seconda categoria, le quali, essendo contenute in norme di natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo e possono essere, quindi, oggetto di censura in occasione della sua impugnazione.

Infine si deve rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 19 febbraio 2009, n. 1322), il giudice amministrativo ha il potere di disapplicare un regolamento non conforme a legge, valutando così direttamente il contrasto tra provvedimento e legge, ed annullando il provvedimento, a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento e del relativo provvedimento attuativo.

Ciò posto, occorre ritenere che al disposto dell’art. 143 comma 18 delle N.T.A. e al più generale disposto dell’art. 2, comma 4, delle N.T.A. della variante di P.R.G., invocati dal Comune in senso ostativo rispetto all’accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, in quanto volti a disciplinare gli interventi edificatori eseguibili nelle more di approvazione dei piani esecutivi, non imponendo in via immediata un vincolo conformativo all’area de qua, né un vincolo preordinato all’esproprio o un vincolo strumentale, vada assegnata natura regolamentare.

Ed invero si deve ritenere che solo i vincoli di inedificabilità preordinati all’esproprio o quelli di carattere strumentale, in quanto incidenti in via diretta e immediata sulle potenzialità edificatorie di singoli beni, assumano connotato provvedimentale.

A tal riguardo la giurisprudenza ha infatti chiarito che "nel caso in cui le N.T.A. di un P.R.G. stabiliscano che ogni intervento edilizio in una determinata zona presuppone la previa approvazione di uno strumento urbanistico attuativo di esclusiva iniziativa pubblica, il vincolo gravante sulla zona è di tipo strumentale e non conformativo". Nell’ipotesi di vincolo strumentale secondo la giurisprudenza deve trovare applicazione 1. L’art. 2, 1° comma, della L. 19 novembre 1968 n. 1187 (v. oggi l’analogo art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001), che ha fissato entro il limite temporale del quinquennio l’efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali "nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettando i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità". Tale disposto è infatti applicabile "non solo con riferimento ai vincoli preordinati all’esproprio o a quei vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ma anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale, oppure alla formazione di uno strumento esecutivo" (cfr Consiglio di Stato Sez. IV – sentenza 24 marzo 2009, n. 1765).

Nell’ipotesi di specie deve ritenersi che il vincolo di inedificabilità imposto dalle N.T.A. del Comune di Napoli non sia un vincolo di tipo strumentale.

Ed invero l’intervento de quo ricade nella zona F, sottozona Fc, disciplinata dagli artt. 45 e 48 della

Per la sottozona Fc è consentita la presentazione di strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa

pubblica o privata, per aree di almeno 4 ha ai sensi dell’art. 48 delle N.T.A..

Del pari l’art. 143 comma 2 delle N.T.A. della variante di P.R.G. prevede che il piano di tale ambito si attui mediante strumenti urbanistici esecutivi, di iniziativa pubblica o privata.

Né l’intervento de quo sembra porsi in contrasto in via immediata con la destinazione della zona, come si evince dalla disamina dell’art. 143 comma 1 lett. c) delle N.T.A. della variante di P.R.G. secondo cui "nell’ambito individuato nella scheda 71, la variante persegue l’obiettivo della riqualificazione del paesaggio urbano per la formazione di un moderno insediamento di beni e servizi, attraverso" "la costruzione di un nuovo tessuto produttivo formato dalle attività produttive esistenti da potenziare, se compatibili, con gli interventi urbani, dai manufatti industriali che rivestono interesse architettonico o tipologico testimoniale, da conservare o riqualificare a nuovi usi, e da attività produttive da insediarsi in luogo di quelle dismesse".

Alla stregua di tali rilievi al disposto dell’art. 143 comma 18 delle N.T.A. è da assegnarsi – come all’analogo disposto dell’art. 2 comma 4 delle N.T.A. di P.R.G., riferito in via generale a tutti gli ambiti in relazione ai quali si è prescritta la necessità dello strumento attuativo – portata regolamentare e non provvedimentale, non disciplinando in via immediata le potenzialità edificatorie dell’area de qua.

Gli stessi disposti infatti recano una disciplina avente l’analoga funzione del disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, che è quella di disciplinare gli interventi eseguibili, fino all’approvazione del piano esecutivo, ritenuto imprescindibile dalla variante di P.R.G..

Peraltro, come sottolineato, mentre l’art. 9 comma 2 del D.P.R. 380/01 consente gli interventi di ristrutturazione edilizia, nei limiti in precedenza evidenziati e consentirebbe l’intervento de quo, in quanto non comportante una modifica della preesistente destinazione d’uso, i disposti dell’art. 143 comma 18 e dell’art. 2 comma 4 delle N.T.A. precludono tali interventi.

4.5 Una volta acclarata la natura sostanzialmente regolamentare dei disposti delle N.T.A. invocati dal Comune a sostegno del diniego, deve aversi riguardo alla successiva problematica, relativa alla derogabilità o meno del disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. ad opera di disposizioni, come nella specie, di portata regolamentare.

A tale quesito va data risposta negativa, in quanto pur potendosi considerare la normativa di cui all’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 come di portata generale e quindi derogabile da normativa di carattere speciale, detta normativa di carattere speciale deve essere recata da norme di pari rango e quindi di fonte legislativa. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 07 settembre 2010, n. 17331 secondo cui "l’art. 9 comma 2 D.P.R. n. 380 del 2001 presenta un carattere generale e la sua operatività è recessiva – secondo gli ordinari canoni interpretativi – in presenza di conflitto con altra norma di pari grado, riguardante peculiari ambiti o fattispecie (e perciò speciale) quale appunto l’art. 17 l. reg. Campania n. 35 del 1987").

L’inderogabilità del disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 ad opera della normativa di carattere secondario dei Comuni si evince anche dall’interpretazione sistematica dell’intero disposto dell’art. 9 D.P.R. 380/01, in quanto il primo comma, relativo alla disciplina degli interventi eseguibili in assenza di P.R.G. (individuati in quelli manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento conservativo di cui alle lett. a) b), c) dell’art. 3 D.P.R: 380/01) fa salvi i più restrittivi limiti previsti da leggi regionali (limiti questi destinati a trovare applicazione, in forza del principio di specialità dianzi ricordato, anche in riferimento all’ipotesi di cui all’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01) mentre l’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 non prevede la derogabilità, neanche in senso più restrittivo, ad opera delle previsione di P.R.G..

Se così fosse d’altronde si verrebbe a frustrare lo scopo, innanzi evidenziato, posto a base della disciplina di cui all’art. 9 comma 2 del D.P.R. 380/01, che è quello di non precludere gli interventi edilizi eseguibili sull’esistente nelle more di approvazione dei piani attuativi, al fine di evidentemente di prevenire i fenomeni di degrado e di tutelare la proprietà immobiliare, altrimenti esposta alle conseguenze economiche negative dei ritardi della pubblica amministrazione nell’attività di pianificazione.

In tale contesto è consentita anche la ristrutturazione edilizia in mancanza della pianificazione di dettaglio, anche al di fuori delle zone di recupero, prevalendo l’intervento conservativo degli insediamenti preesistenti – qualunque essi siano – anche sotto il profilo funzionale, limitandone tuttavia la radicale trasformazione, in mancanza di intervento di pianificazione necessario a raccordare le nuove destinazioni funzionali con il contesto urbanistico di riferimento, secondo quanto innanzi evidenziato.

A tale stregua le prescrizioni dell’art. 2 comma 4 e dell’art. 143 comma 18 delle N.T.A. della variante di P.R.G., in quanto contrastanti con quella di cui all’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, vanno disapplicate, con conseguente accoglimento della censura di cui al punto 1.2. del ricorso.

5. Del pari fondata è la censura di cui al punto 1.3, posto che le prescrizioni delle N.T.A. del P.R.G. di Napoli, precludendo gli interventi di ristrutturazione edilizia nelle more dell’adozione dei piani esecutivi, assimilano illegittimamente l’area de qua – per le quali manca la disciplina di dettaglio, ma non la disciplina di P.R.G. – alle aree per le quali manca la disciplina di P.R.G., disciplinate dal distinto disposto dell’art. 9 comma 1 del D.P.R. 380/01.

6. Dalla disamina condotta consegue anche la fondatezza dell’ultimo motivo di ricorso in quanto lo stesso agere provvedimentale è stato nell’ipotesi di specie caratterizzato da contraddittorietà, in quanto mentre nella motivazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza si era ritenuto che l’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01 si applicasse ai soli manufatti a destinazione residenziale e quindi non all’ipotesi di specie, nella motivazione del provvedimento finale di diniego si è ritenuto che l’art. 9 comma 2 non potesse trovare applicazione in forza della disciplina speciale recata dall’art. 143 comma 18 delle N.T.A. di P.R.G., in attuazione del disposto dell’art. 2 comma 4 delle medesime N.T.A.. Entrambe le motivazioni, peraltro, alla luce di quanto innanzi evidenziato sono da ritenersi erronee.

7. Vanno ora esaminate, per completezza, nonostante l’assorbenza dei precedenti motivi, le censure di cui al secondo e terzo motivo di ricorso.

Con tali motivi parte ricorrente deduce che non sarebbero preclusi gli interventi di edificazione nell’ipotesi di mancata adozione degli strumenti attuativi in un termine ragionevole, dovendo gli stessi intendersi decaduti, ovvero, richiamandosi ad un certo orientamento giurisprudenziale, ove la zona risulti completamente urbanizzata (secondo motivo). Deduce infine che la motivazione del provvedimento non potrebbe basarsi sulla sola constatazione della indefettibilità del piano attuativo ai fini dell’edificazione, essendo per contro necessaria la disamina sia della natura e della consistenza dell’intervento oggetto dell’istanza, che delle condizioni dell’area in cui lo stesso andrebbe ad essere realizzato.

Osserva il Collegio che sulla questione di diritto sottesa a tali censure si è formato un orientamento giurisprudenziale, come già evidenziato da questo T.A.R. (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 01 marzo 2006, n. 2498; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, sentenza n. 7706/07) che si è andato consolidando nel corso degli anni, attraverso l’individuazione di distinte soluzioni interpretative in rapporto alle diverse situazioni concrete di volta in volta emergenti.

Così, nel caso in cui si tratti di asservire per la prima volta all’edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate – che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria – si è costantemente richiesta la necessità del piano esecutivo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 20.5.1980 n. 18 e 6.12.1992 n. 12; V Sezione, 13.11.1990 n. 776; 6.4.1991 n. 446 e 7.1.1999 n. 1; T.A.R. Campania, IV Sezione, 2.3.2000 n. 596).

È evidente che in tale prima fattispecie, nella quale l’integrità d’origine del territorio non è sostanzialmente vulnerata, deve essere rigorosamente rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell’approvazione del piano regolatore generale e della realizzazione dello strumento urbanistico d’attuazione, che garantisce una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico.

Per contro, nel caso inverso di lotto intercluso o in altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività – quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, scuole, etc. – lo strumento urbanistico esecutivo non può ritenersi più necessario e non può, pertanto, essere consentito all’Ente locale di trincerarsi dietro l’opposizione di un rifiuto, basato sul solo argomento formale della mancata attuazione della strumentazione urbanistica di dettaglio (cfr., per tutte, T.A.R. Campania, IV Sezione, 6.6.2000 n. 1819).

Oscillazioni possono cogliersi nella giurisprudenza nelle situazioni intermedie, nelle quali il territorio risulti già, più o meno intensamente, urbanizzato.

In tali casi si è infatti in base ad un orientamento giurisprudenziale ritenuto che la reiezione possa giustificarsi soltanto nel caso in cui l’Amministrazione abbia adeguatamente valutato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona e abbia congruamente evidenziato le concrete e ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 6.10.1992 n. 12; V Sezione, 3.10.1997 n. 1097, 25.10.1997 n. 1189 e 18.8.1998 n. 1273; T.A.R. Lazio, II Sezione, 29.9.2000 n. 7649; T.A.R. Campania, IV Sezione, 18.5.2000 n. 1413).

In tale prospettiva infatti l’Ente locale, infatti, essendo in possesso delle informazioni concernenti l’effettiva consistenza del reticolo connettivo del suo territorio, comprendente le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, i servizi pubblici nonché le edificazioni pubbliche e private già esistenti, è sicuramente in grado di stabilire se e in che misura un ulteriore, eventuale carico edilizio possa armonicamente inserirsi nell’assetto del territorio già realizzato o in via di realizzazione.

Naturalmente, in questo caso, al Comune è consentito, pur sempre, di rifiutare ulteriori assensi edilizi, a condizione, tuttavia, che motivi adeguatamente le ragioni del diniego, in rapporto alla situazione generale del comprensorio a quel momento esistente.

Peraltro detto orientamento giurisprudenziale deve intendersi superato, in riferimento alle nuove edificazioni, alla stregua del dettato dell’art. 9 comma 2 D.P.R: 380/01, che prevede espressamente gli interventi eseguibili nelle more di approvazione del piano attuativo (in tal senso Consiglio di stato, sez. IV, 05 marzo 2008, n. 940 secondo cui "nell’attuale quadro normativo, qualora lo strumento urbanistico generale preveda che il permesso di costruire possa essere rilasciato solo dopo l’approvazione di un piano attuativo, va senz’altro respinta – con un diniego avente natura vincolata – l’istanza volta a costruire nuovi manufatti, ove non sia stato approvato il medesimo piano attuativo.

Infatti, l’art. 9, comma 2, del testo unico in materia edilizia (approvato col D.P.R. n. 380 del 2001) ha previsto che – "nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto dell’edificazione" – sono tassativamente ammessi alcuni interventi, tra cui non rientra la realizzazione di nuovi edifici.

Con tale disposizione, il legislatore delegato:

– ha enunciato il principio della indefettibilità del piano attuativo prescritto dallo strumento generale (già desumibile dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942, come affermato dal Consiglio di Stato con le decisioni Sez. V, 23 marzo 2000, n. 1594; Sez. V, 8 luglio 1997, n. 772; Sez. V, 16 giugno 1997, n. 640; Sez. V, 30 aprile 1997, n. 412; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 451);

– ha rimarcato la rilevanza nel sistema del piano attuativo, in quanto strumento indispensabile per l’affermazione dell’ordinato assetto del territorio (Sez. V, 3 marzo 2004, n. 1013; Sez. IV, 25 agosto 2003, n. 4812);

– ha reso irrilevante ogni indagine di fatto sulla sussistenza o meno "nei pressi" o "nella zona" delle opere di urbanizzazione (anche se, in precedenza, l’amministrazione abbia violato le previsioni dello strumento generale, rilasciando permessi di costruire in assenza del prescritto piano attuativo).

Tranne il caso del piccolo lotto intercluso, il prescritto piano attuativo non ammette equipollenti (Sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3007), nel senso che in sede amministrativa – per l’esame di una istanza di permesso – o in quella giurisdizionale non possono essere effettuate le indagini spettanti all’autorità competente ad approvare il medesimo piano (sulla base del relativo procedimento), in assenza delle quali il legislatore considera lesa l’assoluta esigenza che vi sia un razionale assetto del territorio.

Sotto tale profilo, va rimarcato che la previsione dello strumento urbanistico generale – sulla indefettibilità del piano attuativo – non decade per il decorso del tempo (per la sua non riconducibilità alla tematica dei vincoli di natura espropriativa: Sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3007) e che comunque l’interessato può stimolare l’approvazione del medesimo piano, con gli strumenti consentiti dal sistema").

Alla luce di tale precisazione deve ritenersi che le censure di cui al secondo e al terzo motivo di ricorso non possano trovare applicazione rispetto al caso di specie, in quanto riferite alla distinta ipotesi degli interventi di nuova edificazione (rispetto alle quali sarebbero infondate alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, che si ritiene di condividere, di cui alle recenti sentenze del Consiglio di Stato sez. VI n. 3007/2007 e sez. IV, n. 940/2008, non avendo parte ricorrente dato prova dell’interclusione del lotto di cui è causa).

Peraltro proprio il richiamo a tali pronunce avvalora ancora di più la fondatezza delle censura di cui ai motivi 1.2. e 1.3. e 4 del ricorso, in quanto se è innegabile che il piano attuativo prescritto dallo strumento generale si presenta come indefettibile ai fini della nuova edificazione, in forza del disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, senza che al riguardo possa rilevare ogni indagine di fatto sulla sussistenza o meno "nei pressi" o "nella zona" delle opere di urbanizzazione, per contro devono ritenersi ammissibili gli interventi sull’esistente, consentiti dal medesimo disposto dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01.

Ritenendo diversamente infatti si verrebbero a subordinare gli interventi edilizi sull’esistente all’adozione, non subordinata ad alcun limite temporale, dei piani attuativi, posto che secondo quanto evidenziato, solo i vincoli preordinati all’esproprio e i vincoli strumentali devono ritenersi decaduti con il decorso del termine cinque anni.

Pertanto se è vero che il P.R.G. può subordinare gli interventi di nuova edificazione all’adozione dei piani attuativi laddove gli stessi siano considerati indefettibili, senza che tale scelta, da ritenersi insindacabile alla luce dell’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, possa intendersi decaduta per il decorso del quinquennio, è anche vero che, per contro, il P.R.G. non può in riferimento agli interventi edilizi sull’esistente dettare, secondo quanto innanzi evidenziato, regole più restrittive da quelle poste dall’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/01, destinate a valere senza limiti di tempo fino all’adozione dei piani attuativi.

8. Il ricorso va dunque accolto alla stregua di quanto innanzi specificato.

9. Sussistono gravi ed eccezionali motivi, in considerazione delle problematiche di diritto sottese alla presenta fattispecie, per la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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