Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-01-2011) 25-02-2011, n. 7443 Falsità materiale in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Palermo e, poi, la Corte d’Appello, hanno condannato gli attuali ricorrenti responsabili del delitto di falsità materiale in atto pubblico, aggravato dalla natura fidefacente dello stesso, per avere – nella loro qualità di medici – alterato, mediante aggiunta all’originale di tre pagine di una cartella clinica relativa alla degenza della paziente GA.Cl., da essi sottoposta, presso la Casa di Cura VILLA SERENA Srl, ad intervento chirurgico di laparatoistectomia. Le condizioni della donna, infatti, dopo l’operazione erano peggiorate ed ella era stata ricoverata presso l’Ospedale Civico di (OMISSIS), dovere era stata sottoposta a terapia cd. "salvavita". La GA. promosse, allora, procedimento civile contro il Dr. G. e la Casa di Cura VILLA SERENA, per il risarcimento dei danni: la citazione allegava copia delle cartelle cliniche sia dell’Ospedale Civico sia di VILLA SERENA, ma – al momento della costituzione – il convenuto G. produceva copia conforme di una cartella clinica che risultò difforme da quelle prodotte dalla GA., risultando composta da ulteriori tre pagine, intestate alla Casa di Cura VILLA SERENA e firmate anche dai medici P., F. e V.. Dette pagine aggiunte consistevano in una integrazione del diario clinico, portante attestato di esami cimici praticati sino al trasferimento della GA. all’Ospedale Civico.

La querela di falso proposta dalla GA. su queste pagine erano respinta dal Tribunale civile.

I giudici del merito hanno ritenuto:

– la qualità di pubblici ufficiali dei medici;

– la natura di atto pubblico della documentazione, ancorchè proveniente da Casa di Cura privata, ma convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale.

I ricorsi interposti dagli imputati si articolano sui seguenti motivi: Ricorso G.:

– erronea applicazione della legge penale avendo i giudici assegnato ai prevenuti la qualità di pubblici ufficiali, quando essi non erano dipendenti o funzionari della clinica VILLA SERENA, nè la struttura disponeva di natura pubblica, potendosi rappresentare esclusivamente l’esercizio di servizio di pubblica necessità; e perchè l’inserimento di ulteriori atti non costituisce in sè condotta illecita e non vi è prova che il G. abbia provveduto all’aggiunta; manca la prova di una delega di funzioni in capo al G. nè risulta che egli avesse la rappresentanza dell’ente (pag. 22/23); nè ove fosse considerato funzionario di fatto, sono stati stabiliti limiti temporali per l’esercizio della funzione; nè (motivi pag. 15) la cartella è atto pubblico, bensì atto meramente ricognitivo;

– In fatto si osserva:

a) risulta che il G. compilò una bozza di "pro memoria" e lo depose sul tavolo del direttore sanitario della Casa di cura, sicchè successivamente ed inconsapevolmente l’ufficio amministrativo di VILLA SERENA trasmise unitamente alla cartella anche il pro memoria, i quali portano autonomi numeri di pagina e sono perfettamente individuabili e, soprattutto, il loro contenuto risponde al vero, poichè non vi è prova che siano stati artatamente inseriti esami o attività sanitarie;

b) erroneamente il Tribunale da affidamento al teste P., che è marito della GA. e la sua versione (che la copia della cartella clinica era affogliata alla documentazione trasmessa all’Ospedale Civico da VILLA SERENA) non è credibile, mentre affidabile è la diversa dichiarazione della d.ssa S., che ha negato che sia stata consegnata documentazione clinica da parte di VILLA SERENA;

c) tutte le dichiarazioni degli imputati indicano che nessun foglio aveva funzione di promemoria per il Direttore Sanitario;

d) la sentenza confonde il falso materiale (aggiunta di fogli) con quello ideologico (alterazione degli esiti degli esami medici), mai contestato agli imputati, così si erra nella qualifica giuridica quando si censura la diversa entità delle sacche di sangue come annotata, circostanza che, d’altra parte risulta irrilevante;

h) la sentenza trascura la doverosa prassi per la presentazione di un pro memoria al Direttore Sanitario;

e) i registri ospedalieri (acquisiti in atti) registrano l’intensa attività che non compare nel diario clinico;

f) erra la sentenza nel ritenere che il G. fosse dipendente ospedaliere), quando era inesistenza nei suoi confronti ogni funzione pubblica ed, in ogni caso, la qualifica si è certamente persa quando la GA. è passata ad altro Ospedale uscendo dalla sua sfera di controllo;

g) l’errore sulla data dipende da un lapsus spiegabile con il fatto che il pro memoria fu redatto a notevole distanza di tempo dai fatti;

– l’inosservanza della legge processuale nell’aver indicato la GA. quale persona del reato di falso poichè la documentazione incriminata non assume natura di atto pubblico nè oggetto materiale di falso, trattandosi di atto nullo, infine, il danneggiato da un falso in atto pubblico non è il privato ma l’Amm.ne dello Stato, nè la Sentenza indica in che cosa sia consistito il danno per la GA., dalla decisione del Tribunale Civile non emerge che il falso nella cartella abbia cagionato danni alla GA.; la condanna al risarcimento dei danno non specifica a che cosa si riferisca la somma;

– carenza e contraddittorietà della motivazione avendo la sentenza omesso di menzionare gli argomenti difensivi dell’avv. Imbergamo, così violando il principio di autosufficienza della decisione e quelli costituzionali della difesa;

– carenza e contraddittorietà della motivazione avendo lasciata irrisolta la data del falso (il pro memoria) ascritto al G., circostanza utile (anche ai fini di computo prescrittivo);

– carenza e contraddittorietà della motivazione avendo ritenuto che G. abbia ammesso di avere operato l’aggiunta incriminata, avendo soltanto ammesso di aver redatto il documento che lasciò quale pro-memoria sul tavolo del Direttore Sanitario, senza che sia stata individuata, con prova certa, la persona che operò l’inserimento; e che l’inserimento sia opera di un pubblico ufficiale (non tutti gli operatori presenti in una clinica dispongono di detta qualifica); nè il G. era il solo ad avere interesse all’inserimento, poichè nella causa civile fu evocato l’ente VILLA SERENA (di poi condannato) nè egli aveva la fisica disponibilità della documentazione clinica;

– carenza e contraddittorietà della motivazione quanto al possibile errore sulla propria ritenuta qualità pubblica frutto di interpretazione giurisprudenziale.

Ricorsi F., V., P.:

1^ ricorso:

– erronea applicazione della legge penale avendo i giudici assegnato alla documentazione aggiunta al diario clinico la natura di atto pubblico, qualifica espressamente negata dal Tribunale civile che ritenne il documento privo di valenza probatoria (anche perchè, redatto successivamente al verificarsi dei fatti), profilo fugacemente esaminato dalla sentenza che ha ritenuto di relegare all’ambito civilistico, ma non penale, quella valutazione;

– carenza di motivazione sull’apporto degli imputati alla causazione del reato, essendo il documento redatto dal G., i quali sono rimasti estranei alla condanna al risarcimento dei danni ed i quali non avevano interesse alcuno al mendacio (perpetrato per evitare la condanna civilistica); essi apposero la firma in calce ai fogli per aiutare la direzione della Casa di Cura per la ricostruzione dei fatti; si trattava di appunti sparsi che G. autonomamente utilizzò nella causa civile, sull’elemento soggettivo la sentenza non fornisce apporto critico adeguato;

– carenza di motivazione sulla esatta individuazione del tempus commissi delicti mentre la logica avrebbe dovuto retrodatare il fatto ai primi mesi del (OMISSIS), poichè il dettaglio estremo dei fatti medico-chirurgici faceva propendere per una redazione pressochè coeva alla degenza;

– erronea applicazione della legge penale avendo il giudice escluso che il falso potesse ritenersi innocuo, poichè la vicenda processuale successiva potè svolgersi senza l’apporto del documento incriminato;

2^ Motivo: Inosservanza della legge processuale poichè i ricorrenti furono assistiti in 1^ grado dall’avv. Inzerillo che difendeva anche il Dr. G., il quale si trovava in posizione incompatibile con quella dei coimputati, tanto avrebbe dovuto imporre alla Corte d’Appello l’incompatibilità, la cui omissione determina nullità concernente l’assistenza e difesa dell’imputato.
Motivi della decisione

Occorre trattare, innanzitutto, le eccezioni procedurali il cui accoglimento potrebbe rendere inutile il successivo scrutinio dei ricorsi.

E’ manifestamente infondata (oltre che tardiva perchè proposta per la prima volta in Cassazione) l’eccezione dedotta dall’avv. Inzerillo sulla validità della prima decisione, avuto riguardo alla asserita conflittualità di posizioni degli imputati da quegli difesi avanti il tribunale.

Infatti, trascurando l’effettiva ricorrenza della disposizione (non si rilevano, invero, dichiarazioni dei coimputati idonee a rendere impossibile la proposizione di tesi difensive, reciprocamente inconciliabili, tali da rendere concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa), l’inosservanza del disposto di cui all’art. 106 c.p.p., comma bis 4, invocato dalla parte, non costituisce causa di nullità o di inutilizzabilità delle dichiarazioni asseritamente inficiate dal vizio dedotto, comportando essa (oltre l’eventuale responsabilità disciplinare del difensore) soltanto la necessità, da parte del giudice, di una verifica particolarmente incisiva relativamente alla loro attendibilità (Cass. pen., sez. un., 22 febbraio 2007, Dike).

Del pari, priva di rilevanza è raffermata assenza di legittimazione della GA. alla costituzione di parte civile, poichè le Sezioni Unite hanno statuito (come puntualmente ricordato dalla decisione impugnata, ma il ricorrente trascura l’osservazione, con profilo di aspecificità dell’impugnazione) che i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente (Cass. Sez. Un., 25 ottobre 2007 Pasquini, CED Cass. 237855).

L’omessa indicazione, nell’intestazione della sentenza, delle conclusioni delle parti (nella specie, peraltro, risultanti dalla narrativa del fatto), non costituisce motivo di nullità della stessa (cfr. sez. 3, 24 marzo 2009, Aberham, Ced Cass., rv. 243764), poichè la lesione del diritto difensivo può apprezzarsi nell’effettiva considerazione degli argomenti affacciati non nella formale menzione nella compilazione dell’atto.

E’ logica la spiegazione che fissa a data antecedente e prossima al 26.10.2004 la commissione del fatto raccordandosi al momento in cui fu depositata la cartella clinica incriminata (e che, al riguardo, richiama anche l’Ordinanza resa dal giudice civile);

d’altra parte di Dirigente Sanitario fu nominato in epoca posteriore ai fatti qui considerati.

La possibilità che sia maturato decorso prescrizionale che abbia estinto il delitto è del tutto infondata.

Per quanto riguarda le censure sulla qualificazione soggettiva dei prevenuti, ritenuti dai giudici del merito pubblici ufficiali in quanto medici presso la Clinica VILLA SERENA Srl, organismo operante in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, le sentenze hanno esaurientemente rammentato la giurisprudenza di questa Corte (anche a Sezioni Unite).

Lettura che è stata recentemente mantenuta dal giudice di legittimità, sulla scorta del fatto che il medico convenzionato con il Servizio pubblico riveste la qualifica di pubblico ufficiale svolge la sua attività per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di esami e prestazioni alla cui erogazione il cittadino ha diritto presso strutture pubbliche, ovvero presso strutture private convenzionate (cfr., tra le altre, Cass. pen., sez. 6, 22 febbraio 2007, Manzoni, Ced Cass., rv. 238439). Ed è proprio la condotta di certificazione, trasmessa tra enti a carattere pubblicistico, che viene in rilievo nella presente vicenda. Le diverse opinioni del ricorrente non hanno pregio, trascurando che nell’atto convenzionale del Servizio Sanitario vi è delega all’esercizio di questi poteri, ivi compreso quello della rappresentanza dell’organismo all’atto delle certificazioni rese, sicchè può affermarsi che, in quest’area egli concorre a formare la volontà della p.a. in materia di assistenza sanitaria ed esercita in sua vece poteri autoritativi e certificativi. I motivi avanzati al proposito non hanno rilievo ed interesse.

Anche il secondo profilo di censura non merita accoglimento.

La cartella clinica redatta dal medico, operante in struttura convenzionata con il Servizio Sanitario, ha natura di atto pubblico, essendo destinato ad attestare il regolare espletamento di accertamenti sanitari. Essa concreta il titolo in forza del quale sorge – in via astratta (irrilevante essendo che nel caso di specie tale richiesta non sia stata avanzata) – in favore del titolare della convenzione il diritto al pagamento delle prestazioni documentate.

La documentazione clinica provenendo dal pubblico ufficiale attesta la funzione ricognitiva del diritto dell’ente al rimborso e, quale dichiarazione di verità o di scienza, assume connotato di atto pubblico redatto nell’esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale.

Non riveste, ancora, rilievo alcuno la circostanza per cui il falso possa essere stato compilato quando già la paziente era stata dismessa dalla Casa di Cura convenzionata: a mente dell’art. 360 c.p. si tratta di profilo ininfluente, dal momento che l’attestazione documentale si riferiva ad attività espressa nella sua qualità di pubblico ufficiale (cfr. art. 360 c.p.).

L’opinione del giudice civile non incide sulla valutazione penale dell’atto: dalla decisione del Tribunale di Palermo, sul punto, si conferma che il documento rivestiva – comunque – una valenza probatoria tra le parti (qui non rileva il limitato ambito su cui si rifletteva l’attestazione), evidenziando, dunque, un portato certificativo intrinseco frutto del potere radicato nell’attività del suo autore.

Non risulta che la decisione abbia assegnato al mendacio natura ideologica, collegando lo stesso all’artificiosa "aggiunta" dei fogli integrativi, nè – d’altra parte – ai presenti fini la differenza della condotta di infedeltà assume rilievo giuridico ed interesse, permanendo l’artefazione a cui mirava l’autore del fatto. Donde l’assenza di interesse per la relativa censura.

Manifestamente infondato è il richiamo all’errore sulla propria qualifica da parte del pubblico ufficiale (tema già affrontato dalla sentenza, cfr. pag. 8), essa è configurata da norme amministrative e di pubblica convenzione (con il Servizio Sanitario Nazionale), sicchè l’ignoranza del quadro normativo che assegna detta qualità, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza sulla legge penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato di falso ex art. 476 c.p..

Le restanti doglianze concretano valutazioni sul fatto o sulla considerazione dei risultati istruttori acquisiti nel corso del processo: per esse la decisione rende esauriente giustificazione, sicchè l’istanza di riesame delle stesse risulta improponibile al giudice di legittimità. In particolare:

– è plausibile la critica alla versione difensiva resa dal G. a giustificazione della sua condotta con la qualifica dei documenti quali meri "promemoria" per il direttore sanitario, essendo nei fatti coinvolta anche la clinica: egli produsse questi documenti nel procedimento civile quale atto unitario, senza menzione alcuna della diversa funzione che egli aveva inteso assegnare alle sue parti (cfr.

Sent. pag. 7); quanto avanzato dal ricorrente nel presente processo è una ipotesi alternativa che non elide la ragionevolezza di quella fatta propria dai giudici di appello (e di primo grado); cosi, analogamente, è del tutto ragionevole ascrivere all’imputato anche l’atto di inserimento nel dossier di queste artificiose affogliazioni (o personalmente o per sua disposizione), essendo egli stesso l’autore delle scritture (come ritenuto dai giudici e dagli altri ricorrenti) e giovando ad un interesse assai prossimo a sè, come ha dimostrato la citazione per il risarcimento dei danni (sul punto non rileva il concorrente interesse dalla struttura sanitaria, una volta dimostrato quello primario dell’artefice della lesione ai diritti della GA.); se, poi, il diario clinico annoverasse più esami di quanti furono annotati sulla (originale) cartella clinica è dato che manifestamente attiene al fatto e che non modifica il giudizio sulla condotta di "aggiunzione" addebitati al G.; non si ravvisa lacuna logica nell’argomentazione giudiziale;

– alla stregua di questi passaggi della motivazione, ritenuti da questa Corte assistiti da ragionevolezza e da logica, la scelta di affidare probatoriamente la voce del testimone P., piuttosto che quella della d.ssa S., non palesa patologia di sorta:

essendo consentito al giudice di merito assegnare il vaglio di attendibilità, non solo in base ad una dichiarata e motivata maggiore affidabilità della voce testimoniale rispetto ad altra ma, altresì, tenendo conto delle evidenze probatorie esistenti nel processo che consentano di negare, in termini di elevata credibilità razionale, l’ipotesi alternativa.

Resta da esaminare la doglianza che lamenta l’assenza di motivazione circa l’apporto efficace alla commissione del reato da parte degli altri firmatari dei documenti aggiunti all’originale cartella clinica.

Va, tuttavia, osservato che le sentenze di merito hanno accertato che costoro firmarono in calce questi documenti e, sul punto, non vi è contestazione della difesa. Questo elemento, da solo, è stato ritenuto sufficiente ad ascrivere la responsabilità penale del falso commesso dal G. (cfr. Sent. pag. 7).

Nell’assenza di una qualche spiegazione che possa giustificare l’apposizione della propria firma sui documenti ‘aggiuntì, l’assunto giudiziale si presenta del tutto logico:

costoro erano stati partecipi della terapia praticata alla GA. e, quindi, erano consapevoli della irregolarità di quell’attestato tardivo. Anche se non direttamente coinvolti nella richiesta del risarcimento dei danni verso la donna, anch’essi erano interessati a salvaguardare dal pregiudizio patrimoniale dell’organismo da cui dipendevano per un fatto a cui avevano, anche se senza diretta responsabilità civilisticamente dannosa, dato causa. L’argomentazione giudiziale, pur singolarmente stringata, risulta sufficiente a manifestare il percorso logico seguito dai giudici.

Dal rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenuta dalla Parte civile, che si reputa equo liquidare in complessivi Euro 2.500, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e con danna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenuta dalla Parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.500, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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