T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 25-02-2011, n. 1212 Licenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, R.P. impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe con cui gli si ordinava di ripristinare l’originaria destinazione d’uso dell’immobile di Via Sella Orta 10/A, utilizzato per l’esercizio di un’attività di somministrazione alimenti e bevande, e si revocava la licenza rilasciata a tal fine; in virtù di numerose censure in fatto e in diritto, il ricorrente chiedeva l’annullamento, nonchè, in via incidentale, la sospensione dell’efficacia degli indicati provvedimenti.

1.2. Nessuno si costituiva per il Comune di Capri.

1.3. Con decreto presidenziale n. 1572 del 21.07.2010 era accolta la richiesta di misure cautelari provvisorie, accoglimento confermato dall’ordinanza collegiale n. 1622 del 28.07.2010 che accordava la richiesta sospensione.

1.4. All’esito dell’udienza di trattazione del 25/01/2011, il Collegio tratteneva la causa in decisione.
Motivi della decisione

2.1. I descritti provvedimenti impugnati si basano sull’illegittimo mutamento della destinazione d’uso dell’immobile al piano terra dello stabile sito in Capri alla via Sella Orta 10/a. Nella prospettazione dell’Ente locale intimato, infatti, tale mutamento della destinazione d’uso "da abitazione a attività di ristorazione" sarebbe avvenuto in assenza dei prescritti titoli edilizi; conseguentemente, il Comune di Capri ha ordinato il ripristino dell’uso originario (ordinanza n. 71 del 09.06.2010) e ha revocato la licenza di ristorazione n. 662 rilasciata al ricorrente in data 23.06.2009 (determina n. 76 del 20.06.2010).

2.2. Il ricorrente, dopo aver rilevato l’ostilità degli altri ristoratori della zona, muove ai provvedimenti numerose e articolate censure di seguito sinteticamente descritte.

2.3. Quanto all’ordinanza di rimessione in pristino, il ricorrente lamenta: 1) la violazione di legge per non aver considerato che l’immobile è stato realizzato anteriormente al 1942 (il ricorrente produce una stampa del 1825 in cui sono raffigurati i locali "de quo’) e che, quindi, deve essere considerato "a destinazione libera" poiché la regolamentazione delle destinazioni d’uso è stata introdotta con D.M. 1444/1968; 2) la violazione di legge e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti in quanto sarebbero stati interpretati in maniera scorretta i grafici catastali e poiché, comunque, il mutamento di destinazione d’uso si riferirebbe a una porzione minima, di 12 mq, dei locali utilizzati, mentre i due provvedimenti si riferiscono all’intero immobile; 3) la violazione di legge per aver mal applicato il combinato disposto degli artt. 10 d.p.r. 380/2001, 2 L.R. Campania n. 19/2001 e della variante del P.R.G. adottata con delibera n. 30 del 20/09/2005 in cui si consente la trasformazione della destinazione d’uso per i locali siti al piano terra e adibiti a deposito (categorie C2 e C3) in attività commerciali o di ristorazione (cat. C1), dovendosi, per questo, considerare l’intervenuto mutamento della destinazione d’uso, senza opere, come attività del tutto libera per cui non sarebbe necessaria neppure la D.I.A.; 4) la carenza di un’adeguata motivazione; 5) la violazione delle garanzie procedimentali di cui alla L. 241/1990 per aver "incorporato" la comunicazione di avvio del procedimento nello stesso provvedimento finale.

2.4. In merito al provvedimento di revoca della licenza commerciale, il ricorrente contesta: 1) l’illegittimità derivata dal presupposto provvedimento di riduzione in pristino; 2) analogamente a quanto sostenuto nei confronti del provvedimento di riduzione in pristino, la violazione di legge, il travisamento dei fatti e il difetto di istruttoria per non aver considerato che i locali sono adibiti a destinazione commerciale da tempo immemorabile e per aver, invece, considerato cristallizzata un’inesistente destinazione residenziale; 3) la violazione di legge per non aver individuato l’interesse pubblico del provvedimento di revoca, soggetto all’ordinario regime del "contrarius actus’; 4) la violazione di legge e l’eccesso di potere per non aver tenuto in considerazione le osservazioni presentate dal ricorrente nella fase procedimentale, a seguito di comunicazione di avvio del procedimento per la revoca della licenza.

3.1. In primo luogo, devono essere esaminate le prime due censure di cui al superiore par. 2.3.

3.2. A tal fine è necessario verificare quale sia il percorso logicogiuridico seguito dall’ente locale nel giudicare dell’effettiva sussistenza di un mutamento della destinazione d’uso. Tanto si evince dalla nota dell’Ufficio tecnico del Comune di Capri datata 13.05.2010 con prot. n. 8204, integralmente richiamata dal provvedimento (doc. n. 4 prod. ricorrente); ebbene, l’ufficio tecnico si riferisce a una planimetria catastale del 31.01.1940 dalla quale si desume che "la consistenza immobiliare "de qua" era integralmente ad uso residenziale". La citata nota prosegue rilevando che, nell’autorizzazione edilizia n. 11 del 1971, era espressamente riportata la destinazione per uso "negozio" degli ambienti fronte strada ma non dei vani interni che devono, quindi, tutt’ora ritenersi vincolati all’uso residenziale. Il responsabile dell’ufficio tecnico conclude, quindi, che l’attuale destinazione ad attività di ristorazione dell’intera porzione di immobile al piano terra, ivi compresi i vani interni deve reputarsi illegittima.

3.3. Come si è detto, questa valutazione di illegittimità costituisce il presupposto su cui si fondano entrambi i provvedimenti impugnati.

4.1. Il descritto percorso argomentativo dell’ente è viziato nel senso lamentato dal ricorrente con le prime censure in argomento che, pertanto, devono ritenersi fondate.

4.2. Giova ribadire che la destinazione d’uso non può essere desunta semplicemente dai dati catastali, ma, al fine di individuare l’uso precedente, occorre fare riferimento alla destinazione d’uso, di fatto accertata nel corso del sopralluogo effettuato dagli organi tecnici comunali, nel procedimento di rilascio della licenza edilizia (cfr. T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 21 novembre 2005, n. 1495; Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 18 novembre 1998, n. 661; Cassazione penale, sez. III, 23 aprile 1982). La destinazione che rileva è, quindi, quella riportata nel titolo autorizzatorio dell’intervento edilizio e non quella risultante dai dati catastali.

4.3. Da ciò consegue che gli immobili realizzati in epoca in cui non occorreva alcun titolo edilizio devono ritenersi, come invero sostenuto dal ricorrente, "a destinazione libera" (sul punto si veda la fondamentale pronunzia della Cassazione penale, sez. un., 29 maggio 1982).

4.4. Sennonchè gli atti di causa e la stessa istruttoria condotta dal Comune evidenziano l’esistenza dei locali in questione già nel 1940, ma il ricorrente sostiene che il manufatto esista da tempo immemorabile e produce, all’uopo, una stampa d’epoca (doc. n. 10 prod. ricorrente) che consentirebbe di datare il manufatto al 1825.

4.5. Del resto, lo stesso ente locale mostra di non dubitare della legittimità del manufatto, ma non fa alcun riferimento a titoli edilizi per l’originaria edificazione, con ciò confermando che l’immobile è stato edificato quando non occorreva alcun titolo di costruzione (obbligo introdotto, per il centro abitato, prima con R.D.L. n. 640 del 25.03.1935 e, poi, con la legge n. 1150/1942).

4.6. Conclusivamente, si deve affermare che la risalenza delle opere non consente di ritenere consolidata alcuna destinazione d’uso dei locali "interni" in questione; del resto, quand’anche, vi fosse stato un titolo edilizio, difficilmente avrebbe contemplato la destinazione d’uso nell’odierna accezione, in quanto le categorie omogenee di destinazioni d’uso, tutt’ora parametro di riferimento, sono state introdotte solo con il D.M. 1444/1968.

5.1. Il provvedimento di riduzione in pristino, quindi, è illegittimo nella parte in cui sanziona il mutamento di destinazione d’uso dei locali "interni" in argomento, assumendo il presupposto della pregressa destinazione residenziale che, per quanto detto, non è invece dimostrata.

6.1. Parimenti coglie nel segno la seconda censura laddove si rileva che l’ordine di riduzione in pristino si riferisca al complesso dei locali posti al piano terra senza distinzione alcuna e non solo a quelli per cui, nella erronea prospettazione comunale, si sarebbe verificato il mutamento della destinazione d’uso.

6.2. Giova, in proposito, osservare che la conclamata destinazione ad attività commerciale dei locali posti a fronte strada (cfr. autorizzazione dell’11.10.1971 all. n. 1 del doc. 10 della produzione del ricorrente) è considerata equivalente a quella di attività di ristorazione, essendo le due tipologie di attività ricomprese nella categoria C1 del P.R.G. del Comune di Capri (cfr. delibera del 20.09.2005 riportata al n. 14 della produzione del ricorrente).

6.3. E’, infatti, consolidato in giurisprudenza il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui "il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanisticocostruttivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria" (da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4546).

7.1. Il ricorso, quindi, va accolto per i motivi appena esposti ma ciò non esime dall’esaminare, pur sinteticamente, le altre censure in ottica conformativa e per i principi di effettività e completezza della tutela (cfr., ex multis, Consiglio Stato, sez. VI, 04 agosto 2009, n. 4905).

8.1. In particolare, non risulta adeguatamente documentato il presupposto della pregressa destinazione d’uso dei locali interni a magazzino o deposito (cat. C2 e C3) che è destinazione espressamente dichiarata compatibile con quella ad attività di ristorazione, di negozio o di caffè (cat. C1); se, peraltro, si fosse trattato di un immobile compreso nelle cat. C2 e C3, l’intervento avrebbe dovuto essere considerato del tutto liberalizzato ai sensi dell’art. 2 co. 5 L.R. Campania 19/2001 ("il mutamento di destinazione d’uso senza opere, nell’àmbito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee, è libero") e della citata delibera in variante del piano regolatore del 20.09.2005.

9.1. Se, poi, l’accoglimento per i motivi suesposti consente di ritenere senz’altro assorbita la censura di carenza di motivazione (peraltro, in caso di abusi commessi in zona sottoposta a vincolo paesistico, com’è nel caso di specie, non si ritiene necessaria una motivazione diffusa e l’atto è, comunque, motivato "per relationem" alla citata nota dell’U.T.C. del 13.05.2010 con prot. n. 8204), va stigmatizzato il comportamento del Comune che, pur riconoscendo la necessità del rispetto delle garanzie procedimentali e, in particolare, della comunicazione di avvio del procedimento, inammissibilmente la incorpora nel provvedimento conclusivo..

11.1. Passando brevemente alle censure relative all’atto con cui si è revocata la licenza per la somministrazione di alimenti e bevande, sono ovviamente fondate le censure di illegittimità derivata, e di difetto di istruttoria per aver considerato dirimente la presunta pregressa destinazione residenziale che, per quanto si è detto, non può, invece, ritenersi provata.

11.2. Diversamente, le ulteriori censure non hanno pregio in quanto non può sostenersi che una revoca siffatta debba soggiacere alle regole proprie del "contrarius actus" con conseguente necessità di motivare in ordine all’interesse pubblico sotteso all’autotutela poiché "il legittimo esercizio di un’attività commerciale è ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico – edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere" (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 09 novembre 2010, n. 23700), dovendosi, quindi ritenere l’interesse pubblico alla revoca "in re ipsa" per la violazione della normativa urbanistica. Così, il non aver dato conto delle osservazioni dell’interessato, circostanza di per sé, idonea a incidere sulla legittimità del provvedimento, in concreto non avrebbe potuto spiegare siffatta efficacia in quanto nelle osservazioni presentate nel corso del procedimento il ricorrente si è, appunto, limitato a invocare il rispetto delle regole in tema di nuova valutazione dell’interesse pubblico in sede di autotutela.

12.1. Il ricorso è, quindi, fondato e va accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

12.2. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza come per legge.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta):

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna il Comune di Capri al pagamento di diritti, spese e onorari di giudizio in favore del ricorrente che liquida in Euro. 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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