Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-01-2011) 25-02-2011, n. 7438 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

quanto segue:

Il Tribunale di Potenza, con sentenza 15.5.2008, assolse R. P.P., L.V., P.L., Ro.

A. (ufficiale dei CC il primo, sottufficiali i secondi) dai reati loro rispettivamente ascritti per insussistenza del fatto.

Tutti sono imputati del delitto ex art. 479 c.p. (capo A) per avere redatto un falso verbale di perquisizione nell’ambito delle indagini relative all’omicidio di B.A., omettendo di dare atto del rinvenimento presso l’indagato Bi.Ma. di un paio di scarpe sporche di terra, e del delitto ex art. 378 c.p. (capo B) per avere aiutato il predetto Bi., con la condotta sopra indicata e con successiva con dotta tenuta nell’ambito di altro procedimento penale a eludere le investigazioni delle competenti autorità; il solo Ro. è imputato del delitto ex art. 476 c.p., comma 2, art. 479 c.p., art. 61 c.p., n. 9 (capo C) per avere, nel verbale relativo a perquisizione eseguita nella palestra gestita dal Bi., falsamente dato atto della presenza del brg. C., del quale veniva apposta anche la falsa firma in calce al verbale.

I fatti sono contestati come commessi il (OMISSIS).

La CdA di Potenza, investita delle impugnazioni della PC e del PG, con la sentenza di cui in epigrafe, ha rigettato l’appello del PG e ha dichiarato inammissibile quello della PC. Ricorrono per cassazione le due parti già appellanti.

Il PG deduce violazione del disposto di cui all’art. 129 c.p.p., atteso che la prescrizione, già maturata al momento della sentenza di primo grado avrebbe dovuto dar luogo alla relativa pronunzia, dal momento che non può farsi luogo ad assoluzione nel merito se non quando appaia evidente la prova dell’innocenza dell’imputato. La Corte territoriale ha fatto un uso non corretto della recente pronunzia del giudice di legittimità (SS.UU., sent. n. 35490 del 2009, ric. Tettamanti). Invero, la causa estintiva non è sopravvenuta alla assoluzione in primo grado, ma preesisteva, e non poteva ritenersi pendente la impugnazione della P.C., poichè la stessa CdA la aveva dichiarata inammissibile; conseguentemente proprio la causa estintiva avrebbe dovuto avere la prevalenza sulla pronunzia nel merito.

Deduce, inoltre, manifesta illogicità della motivazione atteso che la CdA afferma l’evidenza della prova liberatoria, trascurando fonti di prova univocamente orientate nel senso della colpevolezza degli imputati, prove consistenti essenzialmente nel contenuto delle espletate intercettazioni telefoniche (delle quali il ricorrente produce stralci).

Il difensore della PC B.F. (costituitosi solo nei confronti degli imputati L. e P.) deduce violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello, atteso che non può certamente dirsi che detta impugnazione non contenesse la indicazione specifica dei motivi di diritto e degli elementi di fatto per i quali si riteneva non corretta la decisione del primo giudice (al proposito il ricorrente trascrive l’intera dichiarazione di appello).

Errata poi è anche la affermazione della CdA, in base alla quale l’appello sarebbe inammissibile perchè le conclusioni scritte della PC erano state depositate in udienza da avvocato diverso da quello costituitosi con procura speciale, atteso che una cosa è la costituzione, altra è la rappresentanza, di talchè il difensore di PC ben può designare ex art 102 c.p.p., un suo sostituto in dibattimento.

Rilevato poi che la CdA, contraddittoriamente, dopo aver dichiarato la inammissibilità dell’appello, lo esamina, comunque, nel merito, dichiarandolo infondato, il ricorrente deduce anche violazione dell’art. 129 c.p.p., sostanzialmente per le medesime ragioni illustrate dal PG (anche il difensore della PC trascrive numerosi passi delle conversazioni intercettate), osservando che i giudici di merito hanno sbrigativamente affermato la non credibilità delle dichiarazioni provenienti dall’app. C., sostenendo che costui, evidentemente faceva confusione tra i vari episodi attinenti alle numerose indagini cui aveva partecipato nel corso degli anni.

L’affermazione è viziata da profonda illogicità, atteso che un "caso" così rimarchevole, come quello relativo all’omicidio di B. A., non poteva non aver lasciato precisa traccia nella memoria degli inquirenti. Si sottolinea, poi, come le accuse provenienti dal predetto graduato avevano trovato riscontro nel contenuto delle conversazioni intercettate, conversazioni il cui esame risulta completamente pretermesso dalla Corte di merito.

Il quadro probatorio, pertanto, era tutt’altro che favorevole agli imputati, con la conseguenza che i giudici del merito non avrebbero potuto giungere alla formula assolutoria nel merito, ma avrebbero dovuto limitarsi a dichiarare la prescrizione dei reati, con tutte le conseguenze del caso, nei confronti della impugnazione proposta dalla PC. Il 13.1.2011 il difensore di L. e P. ha depositato memoria difensiva.

Il 16.1.2011 analoga memoria è stata depositata dal difensore di R.P. e Ro..

Va innanzitutto chiarito che, contrariamente a quel che sostiene nella ridetta memoria il difensore di L. e P., il delitto sub A) è contestato anche a costoro.

Tanto si evince dal capo di imputazione e tanto risulta dalla lettura della sentenza.

Dunque, non è incongrua la costituzione di PC anche nei confronti di questi due imputati.

Venendo all’esame del ricorso della PC, è da osservare che la dichiarazione di inammissibilità dell’appello dalla stessa proposto, nella parte in cui la Corte territoriale sostiene che l’impugnazione era carente della indicazione dei motivi di diritto e degli elementi di fatto, attraverso i quali le censure alla sentenza di primo grado venivano articolate, è errata.

Da un esame della predetta impugnazione, emerge, invero, che l’appellante ha contestato punti specifici del percorso argomentativo e della ricostruzione fattuale operata dal giudice di primo grado, articolando un non incongruente ragionamento giuridico.

La CdA, ha poi ritenuto di dover giungere alla dichiarazione di inammissibilità anche per motivi meramente formali (cfr. supra).

La decisione appare tuttavia fondata su di una non corretta lettura delle norme processuali, atteso che, come esattamente rileva la difesa del ricorrente, la costituzione di PC (che può avvenire anche a mezzo di procuratore speciale, ex art. 76 c.p.p.) va distinta dalla rappresentanza processuale della stessa parte, conferita a mezzo di procura speciale, ai sensi dell’art. 100 c.p.p.. I due atti sono diversi e autonomi, pur essendo possibile delegare, con la stessa procura, sia la dichiarazione di costituzione, che la rappresentanza.

Pertanto, il difensore della PC può certamente designare, a norma dell’art. 102 c.p.p., un sostituto, che ha facoltà di svolgere in dibattimento ogni attività e, quindi, anche di presentare le conclusioni, in luogo del sostituito, a prescindere dal fatto che questi si sia costituto anche PC, come procuratore speciale della PO (ASN 199503769-RV 201061).

La Corte lucana, tuttavia, ritiene di dover motivare anche nel merito, giungendo a ritenere inammissibile il ricorso anche sotto tale aspetto ed è tale seconda motivazione che, in questa sede, in ragione di quanto premesso, deve essere presa in considerazione, unitamente alle censure che la ricorrente PC muove ad essa.

Poichè, per altro, trattasi di censure contenutisticamente "sovrapponigli" a quelle articolate dall’impugnante PG, esse, possono essere trattate congiuntamente, giungendosi alla conclusione che entrambi i ricorsi vanno considerati infondati.

Quanto al delitto del capo C), infatti, si osserva in sentenza che manca la prova della falsità ideologica del verbale e della falsità materiale della firma del C..

Ciò che manca, in realtà, è un accertamento tecnico sulla non autenticità della sottoscrizione del sottufficiale. E’ chiaro infatti che, se fosse apocrifa la firma, falso sarebbe, di riflesso, il contenuto del verbale.

Che tale accertamento tecnico manchi perchè mai espletato, ovvero perchè il PM (che evidentemente potrebbe aver proceduto con sua consulenza tecnica) non ha voluto produrlo, è del tutto indifferente. Ciò che rileva è che esso non risulta ex actis.

A fronte di tale situazione processuale, altra opzione non rimaneva ai giudici di primo e secondo grado che quella di un’assoluzione nel merito.

Anche da un punto di vista logico; poi, non si comprende, o almeno non è esplicitato, quale vantaggio avrebbe tratto il Ro. dal "portar presente" a un atto di indagine (quella perquisizione, conclusasi per altro, a quanto è dato comprendere, con esito negativo) un commilitone che presente non era.

Nè i ricorrenti articolano, sul punto, valide argomentazioni.

Quanto al delitto sub A), la CdA ha affermato la evidenza della prova liberatoria, sulla base di un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del C..

Dette dichiarazioni sono state giudicate confuse, illogiche, contraddittorie, frutto di cattivi ricordi e di sovrapposizioni mnemoniche.

Al proposito, i giudici di appello motivano ampiamente, mettendo in evidenza – appunto – aporie e contraddizioni, confrontando la versione del brigadiere con quelle provenienti da altri testi.

Trattasi, ad evidenza, di un apprezzamento di merito, che, in quanto correttamente motivato, non è sindacabile in questa sede. Nè il contenuto delle intercettazioni, pur trascritto, nei suoi passi salienti, dai ricorrenti appare concludente.

Esso, invero, viene sostanzialmente svalutato dai giudici del merito, che colgono – evidentemente – nelle conversazioni captate la espressione di una non inspiegabile preoccupazione per lo sviluppo delle indagini, messe in moto dalle dichiarazioni del C..

Quanto, infine, al favoreggiamento (reato sub C), nella parte in cui esso sarebbe stato consumato con la condotta descritta al capo A), appare consequenziale (e dunque logicamente e giuridicamente inattaccabile) la decisione assolutoria adottata dalla CdA; per quel che riguarda l’ulteriore condotta (quella che si sarebbe sviluppata nell’ambito di diverso procedimento penale), i giudici del merito hanno preso atto della natura del tutto generica della contestazione e ne hanno tratto le inevitabili conseguenze.

E neanche su tale punto, i ricorrenti articolano specifiche censure.

Consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna della PC al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna B.F. al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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