Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-04-2011, n. 8829 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto munito di formula esecutiva emesso in data 22.9.1993 il Presidente del Tribunale di Modena ingiungeva alla Sici s.r.l. il pagamento di L. 193.436.750 ed accessori in favore del fallimento Comet s.r.l., che conseguentemente radicava procedura esecutiva mobiliare presso il Tribunale di Parma, in forza del detto titolo.

La debitrice Sici proponeva opposizione all’esecuzione e in tale sede sosteneva di aver già corrisposto al creditore la somma di L. 100.000.000 e di essere a sua volta creditrice nei confronti del fallimento dell’importo di L.. 24.296.290, e ciò in conformità dell’esito di un giudizio instaurato ai sensi della L. Fall., art. 98 definito in data 7.8.2001, dalla stessa precedentemente intrapreso.

Sulla base dei detti rilievi chiedeva pertanto che, computato il versamento precedentemente effettuato e operata la compensazione del credito di L. 24.296.290 con il debito risultante a suo carico, il credito residuo del fallimento, lievitato per il decorso del tempo, fosse determinato in L. 158.761.788. Il giudice dell’opposizione disponeva in senso conforme, con decisione che veniva impugnata dal fallimento sotto il duplice riflesso che la compensazione era stata eccepita e riconosciuta in sede di opposizione all’esecuzione, anzichè in quella propria di opposizione al decreto ingiuntivo, e che la decisione era stata sottratta al giudice funzionalmente competente, individuabile nel giudice fallimentare. La Corte di appello di Bologna adita, riformando parzialmente la sentenza impugnata, rigettava l’opposizione all’esecuzione proposta davanti al Tribunale di Parma, limitatamente alla dedotta compensazione per L. 24.296.290.

In particolare la Corte territoriale rilevava che nella specie si sarebbe trattato di compensazione giudiziale; che il credito della Sici, originariamente illiquido, avrebbe presupposto un accertamento in sede di ammissione al passivo; che nel giudizio ordinario di opposizione a decreto ingiuntivo il giudice avrebbe dovuto prendere atto della improcedibilità della domanda del fallimento di accertamento di un proprio credito, ed avrebbe dovuto eventualmente disporre la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c.;

che conclusivamente la Sici avrebbe dovuto eccepire la compensazione in sede di giudizio monitorio, sottoporre il credito oggetto di compensazione al giudizio degli organi fallimentari, richiedere la sospensione del processo al giudice dell’opposizione al decreto di ingiunzione.

Avverso la detta decisione la Sici proponeva quindi ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva con controricorso il fallimento.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 14.3.2011.
Motivi della decisione

Con i motivi di impugnazione la Sici ha rispettivamente denunciato:

1) violazione della L. Fall., art. 56, per il fatto che il credito da compensare era sorto a seguito di sentenza del 24.5.2001, e quindi in data successiva alla formazione del titolo posto a base del credito azionato, circostanza quindi che ne avrebbe legittimato la deduzione anche in sede di opposizione all’esecuzione;

2) vizio di motivazione per contraddittorietà sul medesimo punto, avendo la Corte affermato, da una parte, la pregiudizialità dell’accertamento del credito della Sici rispetto alla pronuncia costitutiva di compensazione ed avendo rilevato, dall’altra, che la funzione di accertamento – dichiarativa dei provvedimenti di ammissione al passivo dei crediti comporterebbe l’irrilevanza della data della sentenza emessa sull’opposizione allo stato passivo;

3) violazione dell’art. 91 c.p.c. per la condanna al pagamento delle spese processuali disposta a suo carico, a torto ritenuto soccombente.

Il ricorso è infondato.

In proposito va osservato che la questione oggetto di controversia è stata delineata dal giudice del merito nei seguenti termini: se in sede di opposizione all’esecuzione, fosse o meno ammissibile eccepire in compensazione nei confronti di un fallimento un credito accertato dopo la costituzione del titolo esecutivo, ma azionato precedentemente con la richiesta (inizialmente non accolta ) di ammissione al passivo.

Tale questione è stata risolta negativamente dal giudice del merito in quanto: a) nel giudizio di opposizione ad esecuzione forzata è consentito dedurre soltanto cause estintive del credito verificatesi dopo la formazione del titolo; b) nella specie si sarebbe trattato di compensazione giudiziale, e l’illiquidità del credito opposto in compensazione ne avrebbe postulato preventivamente la sua insinuazione al passivo; v) la società opponente avrebbe dovuto opporre la compensazione nel giudizio di opposizione al decreto monitorio, per evitare che la conseguente decisione coprisse il dedotto ed il deducibile.

Orbene gli argomenti posti a base della decisione come sopra indicati risultano corretti e pertanto da condividere.

Non è infatti dubbio che in sede di opposizione all’esecuzione possono farsi valere esclusivamente i fatti estintivi del credito azionato maturati dopo la formazione del titolo esecutivo, così come è analogamente certo che il credito della Sici, seppur non ancora liquido, preesistesse alla detta formazione.

Da tale circostanza discende dunque che sarebbe stato onere dell’attuale ricorrente formulare la domanda del relativo riconoscimento nel giudizio di cognizione che aveva dato causa alla costituzione del titolo fatto valere in sede esecutiva e, conseguentemente, che per effetto della mancata allegazione si è venuta a determinare sul punto una preclusione da giudicato, avendo questo riguardo non soltanto al dedotto ma anche al deducibile. Nè per vero le deduzioni svolte dalla ricorrente nei motivi di impugnazione inducono a diverse conclusioni.

Ed infatti, la denuncia contenuta nel primo motivo riguarda la pretesa violazione della L. Fall., art. 56 e art. 1242 c.c., disposizioni che tuttavia solo parzialmente ( vale a dire per l’art. 1242 c.c.) risultano applicate nella contestata decisione della Corte di appello, che risulta viceversa incentrata sul secondo dei due articoli richiamati. Peraltro, pur accedendo all’ipotesi della violazione dell’art. 56 che, come detto, la Corte territoriale non ha comunque espressamente applicato, non muterebbero le conclusioni già anticipate.

Il punto in discussione non è certamente quello concernente la corretta interpretazione della L. Fall., art. 56, sulla quale la Sici si sofferma (p. 7) ma, più precisamente, quello della determinazione del momento in cui il controcredito da questa vantato si può considerare esistente. E alla luce di tale parametro non sembra possa fondatamente dubitarsi che al momento della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo il credito in questione, seppur illiquido, poichè non determinato, fosse già esistente (come d’altra parte successivamente accertato).

D’altra parte di ciò sembra non dubitare neanche la ricorrente, che sostanzialmente pone a base del proprio assunto un dato errato, consistente nella confusione del concetto relativo all’esistenza del credito con quelli concernenti il suo accertamento e la sua liquidità ("il giudice., avrebbe dovuto respingere l’appello., perchè il credito .. ha acquisito i requisiti della certezza e liquidità solo a seguito della citata sentenza del Tribunale di Modena..", p. 5), nozioni queste ultime del tutto diverse ed autonome rispetto alla prima. La preesistenza del credito, dunque, avrebbe dovuto indurre alla relativa prospettazione nel giudizio di cognizione con la formulazione dell’eccezione di compensazione sicchè in mancanza, come correttamente ritenuto della Corte di appello, si è formata una preclusione conseguente all’intervenuto giudicato.

La censura formulata con il secondo motivo attiene poi ad un preteso vizio di motivazione, dedotto sotto il profilo della contraddittorietà e dell’insufficienza, che è in realtà insussistente. Sul primo punto l’asserita contraddizione deriverebbe dai seguenti contrastanti rilievi: a) la liquidazione e l’accertamento del credito opposto in compensazione avrebbero significato pregiudiziale rispetto alla successiva pronuncia, avente efficacia costitutiva; b) la funzione di accertamento – dichiarativa dei provvedimenti di ammissione dei crediti al passivo comporta l’irrilevanza della data di pronuncia della sentenza che decide sull’opposizione allo stato passivo.

Peraltro, in proposito è agevole rilevare, da una parte, che il denunciato vizio non inciderebbe su un punto decisivo della controversia e, dall’altra, che non è configurabile la rappresentata contraddittorietà, poichè l’affermazione sub a) è da porre in relazione all’indicazione degli effetti processuali riconducibili ad eccezione di compensazione articolata davanti al giudice ordinario per un credito vantato nei confronti di un fallimento (improcedibilità del giudizio, eventuale sospensione dello stesso), mentre quella sub b) è da porre viceversa in relazione alla ritenuta necessità di proposizione dell’eccezione di compensazione fin dall’insorgenza del credito, e non anche dalla data della sentenza che definisce il giudizio di opposizione allo stato passivo. Sul secondo aspetto, la motivazione sarebbe insufficiente perchè il credito opposto in compensazione avrebbe acquisito i requisiti di certezza e liquidità solo a seguito della sentenza del tribunale di Modena, prospettazione che non appare meritevole di adesione sia dal punto di vista sostanziale che formale.

Sotto il primo profilo vale infatti quanto sopra precisato a proposito della confusione operata dalla Sici fra l’esistenza e l’accertamento del credito, rispetto ai quali valgono evidentemente diversi tempi di riferimento; sotto il secondo, è sufficiente rilevare che la motivazione addotta al riguardo dalla Corte di appello è del tutto in linea ed in sintonia con la " ratio " della decisione adottata, il che esclude che sia configurabile il lamentato vizio di motivazione.

La doglianza formulata con il terzo motivo, relativa alla ripartizione delle spese processuali, è infine inammissibile.

L’ingiustizia della decisione infatti è stata dedotta esclusivamente per il fatto che a torto sarebbe stata rigettata la domanda di essa ricorrente ed erroneamente, quindi, sarebbe stata affermata la sua soccombenza, anzichè quella del fallimento appellante.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *