T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 25-02-2011, n. 55 Fabbricazione e commercio non autorizzati Materie esplodenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Nel corso della manifestazione "Olimpiadi della cipolla" svoltasi il 31 agosto 2008 a Cannara, venivano lanciati alcuni razzi, uno dei quali esplodeva in modo irregolare causando serie lesioni ad una spettatrice.

Il razzo (IV categoria dei materiali esplosivi) risultava acquistato presso l’esercizio commerciale del ricorrente (autorizzato alla detenzione e vendita di esplosivi della I, IV e V categoria, con licenza in data 12 febbraio 2008) da parte di un soggetto privo del necessario titolo di polizia.

2. A seguito dell’episodio, il ricorrente ed i soggetti che avevano installato ed acceso i razzi venivano segnalati all’A.G.O., e, con decreto del Prefetto di Perugia prot. MITPRPGUTG004511320081111 in data 11 novembre 2008, la suddetta licenza del ricorrente veniva sospesa "fino alla definizione del procedimento" (penale).

3. Il ricorrente impugna il provvedimento di sospensione, lamentando che:

– non sussistono i presupposti che, ai sensi degli articoli 10 e 11 del T.U.L.P.S. di cui al R.D. 773/1931, consentono la revoca, la sospensione o il diniego delle autorizzazioni di polizia in essere; infatti, non è stato motivatamente contestato al ricorrente alcun abuso del titolo, né la mancanza della buona condotta, mentre non è sufficiente la pendenza di un procedimento penale, e tanto meno la mera denuncia;

– in ogni caso, vi è illogicità manifesta e travisamento dei fatti, in quanto non è stata esattamente individuata la fattispecie penale che sarebbe stata violata dal ricorrente, e comunque a carico del ricorrente non esiste (cfr. comunicazione resa, ex artt. 335, comma 3, c.p.p. e 110bis, disp. att. c.p.p., dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, in data 30 gennaio 2009) alcuna iscrizione di notizia di reato, che costituisce l’indefettibile presupposto di ogni procedimento penale; ciò evidenzia anche un difetto di istruttoria;

– il collegamento della durata della sanzione ad un procedimento penale inesistente, determina l’indebito procrastinarsi sine die della sanzione, che appare così di entità immotivatamente sproporzionata.

4. Per l’Amministrazione resiste, controdeducendo, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato.

5. Il ricorso è fondato e pertanto dev’essere accolto, nei sensi e limiti appresso indicati.

5.1. Non può certo sostenersi che non sia stata individuata, o resti incerta, la fattispecie di cui viene contestata al ricorrente la violazione.

Il provvedimento impugnato richiama l’articolo 55 del T.U.L.P.S. – che vieta la vendita di materiale esplosivo a persona priva del necessario titolo autorizzatorio di polizia (comma 3) e sanziona la violazione del divieto come reato contravvenzionale (comma 5) – e descrive il fatto contestato al ricorrente in relazione a detta fattispecie.

E" vero che nel provvedimento si afferma anche che il ricorrente "è stato deferito in stato di libertà per il reato di cui all’ex art. 347 C.P.P.", ma è evidente che si tratta di una formulazione erronea, che non intendeva, ne avrebbe potuto dare rilevanza sostanziale ad un richiamo avente effetto limitato alla qualificazione processuale della segnalazione di reato, e che comunque non può creare alcun dubbio sulla effettiva contestazione di rilevanza penale.

5.2. D’altra parte, nemmeno l’avvenuta vendita del razzo a persona non autorizzata ad acquistarlo viene messa in dubbio dal ricorrente.

Le modalità di tale vendita non escludono la colpa del ricorrente, il quale, per sua stessa dichiarazione (cfr. nota dei Carabinieri di Cannara prot. 68/54 in data 1 novembre 2008), si sarebbe "fidato" di quanto dichiarato dall’acquirente circa il possesso del titolo di polizia necessario all’acquisto del prodotto esplodente.

Tale divieto (così come gli obblighi di registrazione ed informazione gravanti sul titolare della licenza di p.s., previsti da altri commi dell’articolo 55) è direttamente finalizzato alla tutela della pubblica incolumità, costituisce un limite intrinseco all’esercizio dell’attività commerciale nel settore, e non ammette interpretazioni riduttive.

In altri termini, il titolo di polizia che rende concretamente esercitabile la libertà di iniziativa economica in relazione agli esplosivi, è indefettibilmente condizionato a tutela della pubblica incolumità e dell’ordine pubblico, che, in ragione della natura dei prodotti commerciabili, potrebbero risentire pregiudizio dalla incontrollata circolazione ed utilizzazione di essi.

Del resto, anche la licenza rilasciata al ricorrente esplicitava, al punto 2, il divieto in questione.

5.3. Può perciò ritenersi che la violazione del divieto in questione, in quanto connaturato al titolo autorizzatorio, costituisca di per sé una forma di abuso del titolo stesso, come tale suscettibile di integrare la fattispecie dell’articolo 10 del T.U.L.P.S., che prevede, in generale, la revoca o la sospensione delle autorizzazioni di polizia in caso di "abuso della persona autorizzata".

Tanto, per evidenti esigenze di cautela amministrativa, prima ancora che sanzionatorie (a scopo di disincentivazione dei comportamenti non conformi); e comunque prescindendo dallo stato e dall’esito del procedimento penale che pure consegue alla violazione del divieto.

Anche recentemente, è stato ribadito che l’autorizzazione di polizia va utilizzata conformemente alle prescrizioni contenute nelle leggi e nelle altre varie fonti subprimarie e la loro violazione costituisce un uso anomalo e quindi un abuso del titolo, da sanzionare alla stregua dell’art. 10 del T.U.L.P.S.. E ciò in disparte i rilievi penali che l’uso abusivo della licenza può comportare. (così’, Cons. Stato, VI, 29 settembre 2010, n. 7185, con riferimento ad una licenza di servizio di trasporto e scorta valori).

5.4. Resta da considerare il profilo di censura incentrato sulla mancata fissazione di un termine per la durata della sospensione.

5.4.1. Il ricorrente, nella memoria conclusiva, fa leva sul principio della necessaria temporaneità della sospensione del provvedimento, oggi sancito dall’articolo 21quater della legge 241/1990.

Il riferimento sembra al Collegio solo indirettamente rilevante.

Come sottolineato anche nelle pronunce invocate dal ricorrente (cfr. TAR Lazio, Roma, III, 1 febbraio 2010, n. 1275; II, 1 marzo 2010, n. 3179; TAR Umbria, 15 maggio 2009, n. 243), deve ritenersi che la predetta disposizione, nel condizionare la legittimità della sospensione dell’efficacia o dell’esecuzione del provvedimento all’espressa indicazione di un termine, si collochi nella prospettiva che il provvedimento venga adottato e trovi giustificazione in vista di una più adeguata ponderazione dei presupposti di fatto e di diritto, e quindi della possibile adozione, in via di autotutela, di provvedimenti definitivi.

Ma, nel caso di un provvedimento di sospensione collegato a violazioni degli obblighi o doveri incombenti sul destinatario, non ci sono vizi del provvedimento da emendare; i provvedimenti previsti dall’articolo 10 del T.U.L.P.S. postulano sì un riesame volto a valutare la (perdurante) sussistenza dei requisiti che giustificano il (mantenimento del) titolo autorizzatorio, tuttavia, la sospensione e la revoca non sembrano essere legate da un legame di propedeuticità, trattandosi di due misure, omogenee quanto a finalità, ma graduate in base alla gravità dei presupposti che le giustificano e, correlativamente, degli effetti sulla sfera del destinatario; così come non vi è un collegamento necessario tra dette misure e le sanzioni penali previste dall’articolo 55.

5.4.2. Si è detto che la sospensione dell’autorizzazione è autonoma rispetto alle conseguenze penali che possono derivare dalla violazione del divieto; dette conseguenze, oltre alla pena prevista dall’articolo 55, comma 5, del T.U.L.P.S., configurandosi, in ipotesi, una condanna per "contravvenzione commessa con abuso di professione, arte, mestiere, industria o commercio, con "violazione dei doveri ad essi inerenti", potrebbero anche consistere nell’applicazione della pena accessoria della sospensione dall’esercizio (nel caso in esame, dell’attività di "commercio"), per una durata da quindici giorni a due anni, ai sensi dell’articolo 35, c.p..; ma, si ripete, la sospensione amministrativa non è un’anticipazione di quella che potrebbe conseguire alla condanna penale, al contrario presuppone valutazioni ed ha finalità autonome (come esposto, cautelari, ma anche lato sensu sanzionatorie).

Tale autonomia richiede che i presupposti della sospensione vengano motivatamente considerati ai fini dell’adozione del provvedimento. In questa prospettiva, un profilo da considerare è certamente quello della durata della sospensione, in quanto tale da incidere profondamente sull’attività economica del soggetto (che era stato, e potenzialmente resta, a ciò autorizzato).

Agganciare senz’altro la durata della sospensione all’esito dell’eventuale procedimento penale rappresenta una commistione impropria, che, al di fuori di ogni diretta valutazione preventiva della condotta, può esporre il destinatario a conseguenze negative sproporzionate.

Pertanto, il rispetto del principio generale di proporzionalità impone che, a monte dell’adozione del provvedimento, intervenga una valutazione motivata della condotta del trasgressore, quanto meno al fine di graduare la durata della sospensione.

6. Dall’accoglimento del ricorso discende l’annullamento del provvedimento impugnato.

Salva, evidentemente, l’adozione di ulteriori motivati provvedimenti.

7. Sussistono giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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