Niente più difesa d’ufficio per i praticanti avvocati. Corte Costituzionale 10 marzo 2010 n°106

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza n. 259 del 24 marzo 2009, emessa nel corso del giudizio promosso da R.G., praticante avvocato, nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Santa Maria Capua Vetere, al fine di ottenere la disapplicazione del provvedimento di reiezione della sua domanda di iscrizione nell’elenco dei difensori d’ufficio, il locale Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in relazione agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, nonché 97 Cost. – dell’art. 8, secondo comma, ultimo periodo del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e come modificato dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti al pretore), dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale) e dall’art. 246 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) – nella parte in cui stabilisce che, dopo un anno dalla iscrizione al registro speciale tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori presso il tribunale nel cui circondario hanno la residenza, i praticanti procuratori «…sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’ordine circondariale che ha la tenuta del registro suddetto, limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della legge 16 luglio 1997, n. 254 (Delega al Governo per l’istituzione del giudice unico di primo grado), rientravano nelle competenze del pretore». «Davanti ai medesimi tribunali e negli stessi limiti, in sede penale, essi [i praticanti avvocati] possono essere nominati difensori d’ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero».
Ad avviso del rimettente, quest’ultima previsione, viola l’art. 24, secondo comma, Cost. poiché impone al soggetto indagato, o imputato, di subire la nomina di un difensore dotato di una professionalità inferiore rispetto a quella di cui godono coloro che hanno completato l’iter di abilitazione all’esercizio della professione forense.
La norma impugnata contrasterebbe inoltre con il combinato disposto degli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost., poiché la parte assistita da un praticante avvocato nominato difensore d’ufficio non può godere del patrocinio a spese dello Stato, in quanto gli artt. 80 e 81 del d.P.R. 30 maggio 2001, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) condizionano tale beneficio alla iscrizione degli avvocati negli elenchi speciali ivi previsti.
Secondo il giudice a quo, risulterebbe altresì violato l’art. 97 Cost., in quanto le limitazioni imposte dalla legge al patrocinio da parte dei praticanti impediscono una razionale organizzazione e gestione dell’ufficio centralizzato competente in ordine alle richieste di nomina di difensori d’ufficio provenienti dalle autorità giudiziarie e di polizia.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha eccepito l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni, rilevando che la difesa d’ufficio, affidata ai praticanti avvocati in sede penale, è rigorosamente limitata ai reati minori, quelli, cioè che, in base alle norme previgenti alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della legge 16 luglio 1997, n. 254, rientravano nella competenza del Pretore.
A giudizio dell’interventore la questione è altresì infondata poiché la scelta limitativa così operata rientra nella discrezionalità legislativa e, in quanto collegata alla differenza di status del praticante, si basa su una valutazione non irragionevole, né arbitraria (ordinanza n. 163 del 2002).
Altrettanto infondata – secondo la difesa dello Stato – è la presunta violazione dell’art. 97 Cost., atteso che la disposizione sulla difesa d’ufficio da parte dei praticanti avvocati non è norma di organizzazione dei pubblici uffici.
Considerato in diritto
1. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere investe la norma che consente ai praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione nell’apposito registro speciale tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati, di essere nominati – in sede penale – difensori d’ufficio, nonché di svolgere le funzioni di pubblico ministero e di proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori, sia come rappresentanti del pubblico ministero, davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’Ordine circondariale che ha la tenuta del predetto registro e limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti sino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, di attuazione della legge 16 luglio 1997, n. 254 (Delega al Governo per l’istituzione del giudice unico di primo grado), rientravano nelle competenze del pretore.
Questa disciplina è dettata dall’art. 8, secondo comma, del regio decreto-legge 27 novembre, 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e ulteriormente modificato dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti al pretore), dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale), e dall’art. 246 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), ai sensi del quale i praticanti procuratori, dopo un anno dalla iscrizione nel registro speciale […..], sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’Ordine circondariale che ha la tenuta del registro suddetto, limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della legge 16 luglio 1997, n. 254, rientravano nelle competenze del pretore.
L’ultimo periodo della impugnata norma precisa che «Davanti ai medesimi tribunali e negli stessi limiti, in sede penale, essi [i praticanti avvocati] possono essere nominati difensori d’ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero».
Ad avviso del rimettente, quest’ultima disposizione viola anzitutto l’art. 24, secondo comma, Cost. poiché impone al soggetto indagato, o imputato, di subire la nomina di un difensore d’ufficio dotato di una professionalità non ancora compiuta rispetto a quella di cui godono gli avvocati, dopo aver percorso l’intero iter di abilitazione all’esercizio della professione.
La norma impugnata contrasterebbe inoltre con il combinato disposto degli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost., poiché la parte assistita da un praticante non può di fatto usufruire del patrocinio a spese dello Stato – al quale sia stato preventivamente ammesso – in quanto gli artt. 80 e 81 del d.P.R. 30 maggio 2001, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sostituiti dagli artt. 1 e 2 della legge 24 febbraio 2005, n. 25 (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), limitano espressamente il beneficio esclusivamente agli avvocati iscritti nell’albo da almeno due anni e nell’elenco speciale previsto da queste ultime norme.
Secondo il rimettente risulterebbe altresì violato l’art. 97 Cost., in quanto le limitazioni imposte dalla legge al patrocinio da parte dei praticanti impediscono una razionale organizzazione e gestione dell’ufficio centralizzato competente in ordine alle richieste di nomina di difensori d’ufficio provenienti dalle autorità giudiziarie e di polizia.
2. – La questione, sollevata in riferimento all’art. 24, secondo comma, Cost., è fondata.
Va premesso che essa non può dirsi risolta dalla sentenza n. 5 del 1999. Con tale pronuncia questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della prima parte del secondo comma dell’art. 8, ritenendo che la libera facoltà di affidare al praticante il patrocinio, nell’ambito delle materie di sua competenza, si fondi sulla consapevolezza, da parte del mandante, della qualifica di praticante del suo patrocinatore. L’accettazione della stessa esclude la violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost.
Nell’occasione, la Corte ha escluso anche il contrasto con l’art. 33, quinto comma, Cost., ritenendo che la mera attività di patrocinio consentita al praticante, soggetta al controllo dell’ordine professionale, non elude la regola dell’esame di Stato, requisito necessario per l’abilitazione all’esercizio dell’attività professionale pleno iure.
Diversa è la fattispecie contemplata nell’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 8, il quale fa riferimento alla possibilità di nomina del praticante come difensore d’ufficio. In questa circostanza all’indagato o all’imputato potrebbe essere assegnato, senza il concorso della sua volontà, un difensore che non ha percorso l’intero iter abilitativo alla professione. Inoltre, nel caso di nomina a favore dell’irreperibile, sarebbe esclusa ogni possibilità di porre rimedio all’inconveniente denunciato, mediante la sostituzione con un difensore di fiducia.
In questi termini, la questione attiene alla garanzia dell’effettività della difesa d’ufficio.
Deve ancora rilevarsi che la differenza tra il praticante e l’avvocato iscritto all’albo si apprezza non solo sotto il profilo – prospettato dal giudice rimettente – della capacità professionale (che, nel caso del praticante, è in corso di maturazione, il che giustifica la provvisorietà dell’abilitazione al patrocinio), ma anche sotto l’aspetto della capacità processuale, intesa come legittimazione ad esercitare, in tutto o in parte, i diritti e le facoltà proprie della funzione defensionale.
In primo luogo, il praticante iscritto nel registro, pur essendo abilitato a proporre dichiarazione di impugnazione, non può partecipare all’eventuale giudizio di gravame.
Il praticante si trova, inoltre, nell’impossibilità di esercitare attività difensiva davanti al tribunale in composizione collegiale, competente in caso di richiesta di riesame nei giudizi cautelari.
Né potrebbe costituire argomento contrario la possibilità, per il praticante avvocato, di essere nominato difensore di fiducia: un conto è che tali limiti di competenza professionale e di capacità processuale siano liberamente accettati dall’imputato, altro è che essi siano imposti in sede di nomina del difensore d’ufficio.
3. – Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, ultimo periodo, del regio decreto-legge 27 novembre, 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) – convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti al pretore), dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale), e dall’art. 246 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) – nella parte in cui prevede che i praticanti avvocati possono essere nominati difensori d’ufficio.
Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, terzo comma, e 97 Cost., restano assorbite.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, ultimo periodo, del regio decreto-legge 27 novembre, 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) – convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti al pretore), dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale), e dall’art. 246 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) – nella parte in cui prevede che i praticanti avvocati possono essere nominati difensori d’ufficio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Nota

1. Il caso deciso.
R.G., praticante avvocato iscritto al registro speciale dei praticanti presso il Consiglio dell’Ordine di Santa Maria Capua Vetere, propone domanda al locale tribunale per essere iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio; il Tribunale solleva tuttavia questione di legittimità costituzionale in quanto il vigente ordinamento forense non consente ad un praticante abilitato al patrocinio, che pertanto non ha ancora terminato l’iter che gli consente dopo l’esame di conseguire l’abilitazione, di iscriversi nel registro dei difensori d’ufficio.

2. La questione.
Un praticante abilitato al patrocinio, che pertanto ha già effettuato almeno un anno di c.d. pratica forense, può iscriversi nel registro dei difensori d’ufficio senza violare gli artt. 3 e 24 Cost., nonché il diritto del cliente ad avere una difesa professionale nonché gratuita per i non abbienti?

3. La risposta della Corte Costituzionale, 10 marzo 2010 n°106.
La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, ultimo periodo, del regio decreto-legge 27 novembre, 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) – convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti al pretore), dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale), e dall’art. 246 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) – nella parte in cui prevede che i praticanti avvocati possono essere nominati difensori d’ufficio.

4. Nota esplicativa.
Il laureato in giurisprudenza che intenda intraprendere la professione forense, al termine dell’iter universitario, deve effettuare un periodo di tirocinio presso uno studio legale, durante il quale dovrebbe essere in grado di acquisire molte (tutte è sostanzialmente impossibile) delle pratiche tecniche e conoscenze necessarie ad un giovane che per la prima volta si avvicina al mondo forense.
Il periodo di tirocinio ha una durata biennale; per il primo anno successivo all’inizio della c.d. pratica forense, il praticante abilitato non può comparire in giudizio né personalmente né per delega di alcun avvocato. La situazione muta dopo il primo anno dall’iscrizione nel registro dei praticanti: trascorso tale periodo, infatti, il praticante viene ammesso all’esercizio del patrocinio, limitatamente ai tribunali del distretto di corte d’appello in cui è compreso l’ordine circondariale di iscrizione, per un periodo non superiore a sei anni; la competenza del praticante abilitato al patrocinio è limitata solo ad alcuni procedimenti. L’art. 8 dell’ordinamento della professione di avvocato e procuratore, in particolare, prevede, in sede penale, la possibilità per il praticante abilitato al patrocinio di essere nominato difensore d’ufficio, esercitare le funzioni di P.M. e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori che come rappresentanti del P.M.
La norma sembra violare gli articoli 3 e 24 della Costituzione; in particolare, emerge la circostanza per la quale un praticante, di fatto, sia impossibilitato ad usufruire del gratuito patrocinio, e ciò appare fortemente lesivo del diritto – costituzionalmente garantito – ad una giustizia gratuita per tutti i cittadini che si trovino in condizioni di indigenza; in virtù di tale norma, infatti, due cittadini, entrambi in condizioni economiche di bisogno, l’uno difeso da un avvocato e l’altro da un praticante, si troverebbero ad essere trattati in maniera diversa (nonostante trattasi di situazioni uguali), in quanto il praticante abilitato, appunto, non può essere ammesso al beneficio del gratuito patrocinio, previsto solamente per gli avvocati.
Già in precedenza, con la sentenza n°5/99, la Consulta – interrogata nuovamente sulla costituzionale legittimità dell’art. 8 R.D. 1578/33 – ha precisato che la disciplina della pratica forense prevede che essa comporti il compimento di tutte le attività proprie della professione forense, compresa la redazione di atti giudiziari; dopo il primo anno di tirocinio, com’è noto, il praticante non è più soggetto alla supervisione e al controllo dell’avvocato proprio dominus, e può legittimamente compiere autonomamente gli atti propri della professione mediante l’autonoma trattazione di almeno venticinque procedimenti all’anno (art. 8 del d.P.R. n. 101 del 1990). La temporanea e limitata ammissione al patrocinio che tale pratica comporta presupponga una previa verifica e valutazione, da parte dello stesso ordine professionale, del tirocinio già svolto (artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 101 del 1990). Tale sistema non può in alcun modo ritenersi derogatorio della disciplina per l’abilitazione professionale prevista dalla legge, in quanto consente al praticante un’attività in ogni caso compresa all’interno della pratica forense e soggetta all’ordinario controllo del Consiglio dell’Ordine di appartenenza. La facoltà di affidare al praticante il patrocinio per una questione giuridica che rientri nelle materie di sua competenza, pertanto, si fonda sulla consapevolezza, in capo al patrocinato, della qualifica di praticante del proprio difensore; l’accettazione di tale situazione esclude ogni violazione di norma costituzionale.
L’ultima parte dell’art. 8 del citato r.d., in particolare, fa proprio riferimento alla possibilità di nominare il praticante difensore d’ufficio, come nel caso affrontato dal giudice a quo.
Tale circostanza può apparire lesiva del diritto alla difesa e del principio di eguaglianza formale e sostanziale, in quanto un soggetto indagato e/o imputato il quale faccia richiesta di un difensore d’ufficio, potrebbe a sua insaputa essere assegnato a un praticante abilitato, che pertanto non ha ultimato l’iter che porta all’abilitazione professionale, e materialmente è senza ombra di dubbio titolare di un’esperienza inferiore rispetto ad un avvocato regolarmente abilitato.
In realtà, la Consulta precisa come la principale differenza tra il praticante e l’avvocato non sia sotto il profilo della capacità professionale, ben potendo verificarsi l’ipotesi di un praticante estremamente preparato e di un avvocato estremamente ignorante, bensì sotto l’aspetto formale della capacità processuale: il praticante, ad esempio, non può comparire davanti al giudice dell’impugnazione, né davanti al tribunale in composizione collegiale.
Per tutti questi motivi, pertanto, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 8 r.d. 1578/33, nella parte in cui consente al praticante abilitato al patrocinio l’esercizio della difesa d’ufficio.
5. Precedenti giurisprudenziali.
Corte cost. 5/99.

6. Spunti bibliografici.
Codice penale con leggi complementari, Giuffrè, 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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