Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-02-2011) 01-03-2011, n. 7922 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

PG, Dott. Russo R.G. per l’inammissibilità dei ricorsi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Decidendo in sede di annullamento con rinvio, dopo la sentenza 39920 del 12.6 – 13.10.2009 di questa Corte suprema, il GIP di Torino, in esito alla rinnovata udienza preliminare del procedimento nei confronti di C.F. e M.M., cui in esito a vicende afferenti attività di Toroc (Comitato organizzatore delle Olimpiadi del 2006) erano rispettivamente contestati i delitti di concorso in truffa pluriaggravata e riciclaggio, giudicava sussistere il reato di cui all’art. 110 e 323 c.p., con C. e M. concorrenti nel reato proprio commesso dal coimputato V.C., e, ritenendo che non si versava in ipotesi di "fatto nuovo" nell’accezione di cui all’art. 423 c.p.p., comma 2 con ordinanza deliberata il 26.3.2010 invitava il pubblico ministero alla contestazione di "un fatto diverso da quello contestato, ma in realtà dando una diversa qualificazione giuridica del fatto" (mutuando dichiaratamente la locuzione dalla sentenza di questa Corte 30024/2006).

2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, denunciando la ritenuta abnormità del provvedimento.

2.1 Essa è argomentata nel ricorso in favore di M. con le seguenti deduzioni:

– il GIP avrebbe esorbitato dai propri poteri e dai limiti indicati dall’art. 423 c.p.p., comma 1 sostituendosi al p.m. e al giudice del dibattimento, in realtà confezionando, a prescindere dal nomen juris attribuito al proprio provvedimento, una sentenza di condanna per un reato non contestato e per un fatto del tutto diverso (il concorso in abuso d’ufficio piuttosto che il riciclaggio), cosa non consentita pur nell’esercizio dell’invito o della sollecitazione previsti dall’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 423 c.p.p., comma 1 non essendo permesso al GUP di anticipare alcun giudizio sulla responsabilità dell’imputato;

– violazione del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti, in ragione del contenuto anticipatorio di condanna del provvedimento impugnato e quindi dell’inutilità dell’attività difensiva nell’ulteriore corso dell’udienza preliminare;

– violazione di legge perchè l’ordinanza impugnata si risolverebbe in una imputazione coatta ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 5 istituto del tutto diverso;

violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3 perchè la sostituzione nel ruolo del p.m., secondo il ricorrente intervenuta nel caso, esorbiterebbe dai limiti assegnati al giudice del rinvio anche in ordine alle questioni di diritto decise.

2.2 Il ricorso in favore di C. argomenta l’abnormità dell’ordinanza con i seguenti due motivi:

– violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3 perchè il GUP avrebbe selezionato dalle emergenze processuali un fatto diverso rispetto a quello contestato dal p.m., addebitando una condotta che, ferma l’indebita locupletazione della somma, sarebbe in radice diversa, rendendo irrilevante il profilo dissimulatorio posto a base della truffa originariamente contestata e divenendo essenziale la violazione di legge pubblicistica e quindi l’esercizio di una funzione pubblicistica da parte del V., con il conseguente stravolgimento in punto di fatto dell’impianto accusatorio, quanto anche alla descrizione della condotta; significativamente, in proposito, lo stesso GUP avrebbe oscillato nella definizione attribuita al proprio provvedimento, tra l’esplicazione del potere di riqualificazione giuridica del medesimo fatto e l’invito alla contestazione da parte del p.m. di un fatto diverso. L’abnormità risiederebbe in particolare nell’aver violato il limite del giudizio di rinvio, che afferiva solo ai criteri di valutazione prognostica in relazione all’eventuale inutilità del dibattimento, così non potendo procedere ad altro che alla riqualificazione giuridica del fatto storico come contestato;

estraneità ai poteri di controllo e di giudizio conferiti dall’ordinamento al GUP rispetto alla formulazione dell’accusa da parte del p.m., perchè in realtà il GUP avrebbe svolto ed esplicitato in modo esteso esattamente l’operazione logico-giuridica in cui consiste la formulazione dell’accusa, al di fuori delle tassative ipotesi di cui all’art. 409 c.p.p., e art. 521 c.p.p., comma 2 caratterizzate oltretutto dalla contestualità dello spogliarsi della cognizione del seguito. In particolare, non sarebbero assimilabili il potere di invitare alla precisazione di un’imputazione originariamente indeterminata e quello in relazione ad una modifica del fatto oggetto dell’accusa che il giudice non ritenga adeguata agli atti processuali, sicchè il GUP non avrebbe potuto formulare tale invito, dovendosi limitare a restituire gli atti all’ufficio dell’accusa per la ritenuta diversità del fatto, in analogica applicazione dell’art. 521 c.p.p., comma 2. 2.3 Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per la dichiarazione di inammissibilità di entrambi i ricorsi.

3. Va esclusa l’abnormità del provvedimento del GIP impugnato dai ricorrenti, il che determina l’inammissibilità dei ricorsi, trattandosi di provvedimento per sè altrimenti non impugnabile, con le conseguenze di legge in ordine alle spese processuali ed alla somma in favore della Cassa delle ammende, equa in relazione ai casi.

E’ non rilevante il tema dell’esatta qualificazione del provvedimento adottato dal GIP, posto che quale che sia quella più corretta (dalla mera riqualificazione del medesimo fatto all’indicazione puntuale di un fatto diverso rispetto a quello per cui si procedeva) entrambe appartengono alla competenza fisiologica del giudice per le indagini preliminari, sicchè lo stesso ha in ogni caso esercitato poteri riconosciutigli dal sistema processuale quale interpretato dalla Corte delle leggi e da questa Corte di legittimità, mentre l’eventuale vizio nell’esercizio di tali poteri costituirebbe irregolarità insuscettibile di autonoma impugnazione.

Non può tuttavia non osservarsi come a fronte di una situazione in ipotesi incerta, la riformulazione di un’imputazione in termini specifici, da parte del pubblico ministero ancorchè su sollecitazione doverosamente motivata del GIP, costituisce la soluzione più garantista per l’imputato, che acquisisce piena consapevolezza dei termini esatti – in fatto ed in diritto – della contestazione per cui si procederà oltre, secondo il valore del contraddittorio tutelato specificamente dalle previsioni di nullità per le imputazioni incerte o indeterminate.

In particolare, la richiesta formale di precisazione o modifica della contestazione, rivolta dal GIP al pubblico ministero, lungi dall’essere atto abnorme costituisce concretizzazione specifica e fisiologica del riconosciuto potere di applicazione analogica dell’art. 521 c.p.p. ovvero di applicazione estensiva dell’art. 423 c.p.p. e, prima ancora, del vero e proprio dovere del GIP di interlocuzione volta a sollecitare la modifica o precisazione della contestazione, quando ne ritenga sussistenti le condizioni.

Come infatti da tempo affermato dalla Corte costituzionale (sent. 88 del 1994) il vigente sistema del processo penale è basato sulla necessaria correlazione tra accusa e sentenza, sicchè la costante corrispondenza dell’imputazione a quanto emerge dagli atti è esigenza presente in ogni fase processuale ed anche nell’udienza preliminare. Per questo l’art. 424 c.p.p. "va inteso nel senso che, all’esito dell’udienza preliminare, al giudice non sia precluso che mediante un proprio provvedimento possa sollecitare il p.m. ad apportare le opportune modifiche all’imputazione quando emergono fatti diversi da quelli contestati" (essendo indifferente che a tale conclusione si pervenga con applicazione analogica dell’art. 521 o estensiva dell’art. 423 c.p.p.). In particolare, "nulla, nella lettera e nello spirito della disciplina in esame, vieta che alle modifiche dell’imputazione ritenute opportune il pubblico ministero possa essere sollecitato mediante un provvedimento del giudice, il quale, ravvisando l’emergere di fatti diversi da quelli contestati, lo inviti espressamente a tali adempimenti".

Tale facoltà, ha precisato fin da allora la Corte costituzionale, può essere esercitata anche dopo la chiusura della discussione, purchè nel corso dell’udienza. 11 che, va qui osservato, da conto pure dell’infondatezza della censura di violazione dell’art. 627 c.p.p., perchè – e solo dopo aver ritenuto anche tale censura in ipotesi riconducale al concetto di abnormità, attesa la tassatività dei mezzi di impugnazione in relazione alla peculiare e specialmente non decisoria natura del provvedimento de qua, che lascia del tutto impregiudicata ogni difesa nella fase propria, e diversa, del giudizio – il giudice del rinvio decide con gli stessi poteri del giudice del provvedimento annullato.

Significativo è che anche la giurisprudenza di questa Corte suprema abbia ancora in tempi recenti confermato la ‘letturà del sistema già dal 1994 prospettata dalla Corte delle leggi, insegnando che la sollecitazione al pubblico ministero lungi dal costituire essa atto abnorme costituisce piuttosto il requisito di procedimento, il passaggio del procedimento, indispensabile perchè ogni altro provvedimento in ipotesi idoneo a determinare la regressione del procedimento non sia, esso, atto abnorme (SU, sent. 5307 del 20.12.2007 – 1.2.2008).
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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